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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

I tempi negoziali

La negoziazione è una sequenza di attività comunicative nella quale i partecipanti si impegnano per raggiungere un risultato reso possibile solo da una forma di accordo tra le parti. Trovare l’accordo che soddisfi entrambi, e capirsi bene, sono quindi fattori di successo evidenti, e impegnano il tempo comunicativo.

Ogni negoziazione si può considerare interculturale quando i soggetti che vi partecipano provengono da culture diverse, sono portatori di un bagaglio di esperienze diverse o utilizzano linguaggi diversi.

La diversità immette nel campo negoziale ampi margini di errore e fraintendimento: ogni messaggio che funziona nella propria cultura rischia di essere frainteso nelle culture diverse dalla propria. Una delle dimensioni di maggiore variabilità culturale è il “senso del tempo” e la gestione del tempo (time management), e questo lo ritroviamo anche nei tempi della negoziazione.

Ogni cultura ha i propri “tempi negoziali” e prassi negoziali latenti. Per gli statunitensi (generalizzando molto), ciò che conta è il business, un’azienda che sia nata da poco e quindi giovane può essere trattata come un’azienda che esista da un secolo. Ma questa cultura ha anche altre manifestazioni. Poiché ciò che conta è il contenuto e il merito, negli USA uno studente universitario preparato può esporre una sua ricerca o paper a un convegno, a fianco di rettori dell’accademia, se il lavoro vale. Il suo paper verrà inizialmente selezionato senza nemmeno sapere chi ne è l’autore (metodo del “blind review”).

In Italia è invece importante capire prima con chi si ha a che fare (analisi della storia, ricerca della contestualizzazione, ricerca del network), di chi è “amica” o “nemica” la persona, chi la “sponsorizza”, da dove viene. Un giovane studente “non sponsorizzato” difficilmente riuscirà ad esporre le proprie ricerche in un convegno al di là del loro valore. Il tempo ha valori e strutture diverse.

Così per un negoziatore italiano può essere necessario concentrarsi sulla storia di chi ha di fronte, valutare la sua credibilità, e fare dei test, dei piccoli passi di avvicinamento prima di concludere qualcosa di grosso. 

Per un negoziatore statunitense invece avremo una diagnosi del potenziale del soggetto, una valutazione di quanto l’accordo con questo soggetto può rendere, e un immediata concretizzazione.

Per un interlocutore giapponese, avremo una analisi della storia, e una elevatissima importanza dei ruoli, e il rispetto dell’onore.

Per un interlocutore sudamericano, sarà importante passare tempo assieme e diventare amici, guadagnarsi la fiducia, conoscersi, entrare nella “famiglia”.

Teniamo sempre in considerazione che questi timelines sono estremamente variabili anche all’interno della stessa cultura, è che nulla garantisce che un brasiliano si comporti secondo il timeline stereotipico e sia “maschera” della propria cultura.

La collisione dei timelines negoziali

Quando la negoziazione interculturale prende piede, i diversi modi di concepire il contatto rischiano di trasformarsi in scontro, o in disagio per entrambe le parti. 

Il contrasto tra culture appare evidente quando un europeo si reca in un paese africano, o asiatico, ma l’invito di questa opera, il nostro focus, è evidenziare come la dimensione interculturale entri prepotentemente in ogni negoziazione, anche quelle tra marito e moglie nella stessa casa, o tra aziende della stessa nazione. 

Ogni volta che un diverso sistema culturale (valori, credenze, pensieri, convinzioni, modi di espressione) viene a contatto, abbiamo un certo grado di interculturalità, e la diversità è spesso molto più ampia di quanto pensiamo.

Il contatto tra culture è una dimensione sia di stress che di crescita formidabile per l’essere umano. I risultati della diversità possono produrre creatività ed eccitazione, ma anche incomprensione e disaccordo. 

All’estremo negativo, incomprensione (misunderstanding) e disaccordo (disagreement) generano conflitto, impedendo di raggiungere obiettivi sia personali che comuni.

Uno dei suggerimenti più importanti per i negoziatori interculturali è quello di cercare di condividere un timeline negoziale, cercare un’intesa sul metodo per collaborare efficacemente, ed evitare disaccordo e incomprensione.

Le radici del disaccordo sono da ritrovare sia :

  1. nell’incomprensione, nel non capire i segnali lanciati dall’altro, decodificarli erroneamente, o
  2. nelle divergenze ideologiche di fondo.

Le radici dell’incomprensione stanno invece nella complessità dello scambio informativo umano, nella dimensione tecnica della comunicazione.

Le persone che operano nella stessa cultura sanno muoversi all’interno di un timeline condiviso, sono generalmente in grado di comprendere le sottili differenze sottostanti l’uso delle parole, i segnali non verbali, i gesti, le espressioni corporee, mentre chi non condivide questo bagaglio ne è spesso al di fuori.

Il lavoro di communication training e di coaching sulla comunicazione interculturale si prefigge quindi di far emergere il livello invisibile della comunicazione, sia nella dimensione nazionale (apparentemente intra-culturale), che in quella internazionale.

Esistono molte situazioni che possono portare una persona (A) a dialogare con un’altra persona (B) partendo da basi diverse e inter-culturali. Queste diverse basi di partenza, se non ben comprese da entrambi gli interlocutori, generano una situazione interculturale latente che può portare all’inefficacia della relazione (nei casi migliori) o al conflitto (nel caso peggiore).

Allo stesso tempo troviamo similarità culturali anche a distanza di decine di migliaia di chilometri – un agente di borsa di Milano vive linguaggi e problemi simili a quelli di un collega di Parigi o di Sidney.

Dobbiamo quindi disilluderci dalle apparenze (diversità = distanza chilometrica e linguistica) ed entrare nella realtà (diversità = diversa concezione del mondo).

In ogni conversazione o negoziazione, idealmente, gli interlocutori devono essere consapevoli delle diversità culturali in gioco. 

Il grado di comprensione della dimensione interculturale dovrebbe essere – a livello ottimale – presente in entrambi gli interlocutori. È sufficiente tuttavia che anche solo uno di questi avvii una consapevolezza aumentata affinché aumentino le chance di migliorare la comunicazione. 

Da un lato, quindi, la consapevolezza delle dimensione interculturale è un fattore positivo per il rapporto. Da un altro lato, essa diviene leva di potere. Il potere della conoscenza (power of knowledge) delle dinamiche di comunicazione interculturale si traduce nel vantaggio pratico del capire – meglio dell’altro interlocutore – “cosa sta succedendo qui”, e determina quindi potere della consapevolezza (power of awareness).

Strutturare i tempi della comunicazione e negoziazione

Il tempo soggettivo può scorrere attraverso un libero fluttuare dell’esperienza, o – sul lato opposto – entro schemi rigidi e strutturati.

Esistono vere e proprie patologie derivanti da:

  • strutturare tempi che andrebbero lasciati fluttuare (es: strutturare eccessivamente una vacanza che si vorrebbe rilassante);
  • non strutturare tempi che andrebbero strutturati (es: lasciare svolgere nel caos comunicazionale una riunione decisionale che deve invece produrre un esito preciso entro una esatta scadenza).

L’utilizzo efficiente dei tempi comunicativi negoziali

Ogni interazione avviene attraverso tempi interni che ne delimitano i diversi frame.

L’economia della comunicazione interpersonale può far emergere le disfunzioni nella gestione dei tempi comunicativi.

Spesso i tempi comunicativi non seguono un format condiviso tra i due interlocutori, creando problemi all’efficienza ed efficacia.

Negli incontri professionali e negli incontri critici (es: negoziazione di carriera, negoziazione commerciale), è necessario impostare un format efficiente ed efficace, comunicarlo e condividerlo (impostare e negoziare il format vs. subire il format).

E’ importante darsi dei tempi all’interno di una conversazione negoziale con la consapevolezza che il tempo è una risorsa scarsa e spesso poco valorizzata. 

Ogni negoziazione vive diversi “tempi interni”. Come un film può essere diviso in puntate, o un libro in capitoli, anche una negoziazione o trattativa può essere sezionata in fasi specifiche. 

E’ importante decodificare i momenti relazionali salienti dell’interazione di vendita, disaggregando il flusso continuo di comunicazione in porzioni dotate di senso e valenze specifiche.

Principio – Strutturazione dei tempi negoziali

La comunicazione negoziale efficace richiede:

  • La capacità di dare struttura ai tempi negoziali, identificando le fasi attraverso le quali si intende procedere; 
  • La capacità di immettere nelle strutture dei tempi negoziali sia una struttura adeguata ai nostri goals che un grado di adattamento alla cultura della controparte.

Quello che sembra un flusso ininterrotto di comunicazioni, uno scambio di dati continuo tra due persone, domande e risposte, proposte e chiarimenti, è in realtà sezionabile in specifici “momenti psicologici” che vive sia il venditore che l’acquirente.

In particolare dobbiamo sensibilizzarcii nel percepire:

  • “frame-shifts”, i cambi di gioco che avvengono durante la negoziazione: quando avvengono, chi li ha provocati, che mossa relazionale li ha determinati, che effetti hanno prodotto;
  • il vissuto emotivo dell’acquirente.

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