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costruzione della credibilità

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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Continuando a parlare del teatro delle maschere nella comunicazione, oggi ci concentreremo su 3 argomenti differenti, seppur concatenati: la negoziazione dei ruoli, le regole del colloquio e la costruzione della credibilità per l’ascoltatore.

La negoziazione dei ruoli

L’incrocio tra le due rappresentazioni di sé crea un setting di interazione, un teatro di rappresentazioni, una serie di giochi attivi durante l’ascolto nel quale le due parti devono sapersi muovere. 

Alcuni tipi di incrocio possono risultate efficaci: ad esempio, l’incrocio tra consulente-medico e cliente-paziente è simmetrico. Al contrario, l’incrocio tra un cliente-nobile e un venditore problem-solver non è di facile risoluzione e richiede un ribilanciamento del rapporto, una vera e propria negoziazione del rapporto tra le parti. 

Interpretare l’autenticità significa invece uscire da questi giochi e stare su un piano di non-bisogno di dimostrazione, ed evitare lunghi e fastidiosi giochi di ruolo che rischiano solo di confondere la verità e togliere il palcoscenico all’empatia e all’ascolto attivo. 

Le regole del colloquio

Per dare vita ad buon colloquio: 

  • inquadra le “maschere” che gli attori stanno interpretando; 
  • esamina e comprendi i “giochi di relazione” che si stanno avviando; 
  • rispetta le regole di cortesia, deferenza e contegno;
  • sii consapevole della presenza di spazi psicologici, dei confini dei territori psicologici, dei rischi di un’invasione prematura e aggressiva dei territori altrui, e della necessità di entrarvi gradualmente e con tatto; 
  • rispetta una sequenzialità di confini della conversazione all’interno del colloquio stesso, cercando di seguire uno schema conversazionale adeguato; 
  • fissa soglie precise di “tolleranza per l’ambiguità” all’interno del range negoziale fissato e della mission conversazionale in corso; 
  • fissa precise soglie di tolleranza per le invasioni di ruolo, definendo strategicamente i tempi e i momenti in cui la persona può e deve riposizionare il proprio ruolo.
La costruzione della credibilità

Ogni messaggio, ogni presentazione, ogni momento d’interazione, ha un effetto di imprinting, cioè fissa un’immagine verso chi ci sta osservando o ascoltando. Cambiare quell’immagine iniziale, poi, è difficile. 

L’ascolto è una di quelle attività che vengono bene solo se come ascoltatori veniamo considerati degni di fiducia, onesti, competenti.  

Basta solo che vi sia anche solo una vaga percezione che le nostre intenzioni siano nascoste o che stiamo mentendo, per ottenere un blocco immediato della conversazione o del rapporto. 

Dobbiamo quindi esaminare numerosi elementi in grado di generare fiducia o sfiducia tra cui: 

  • lo stile di movimento (velocità del passo, camminata); 
  • le posture e il body language; 
  • le gestualità e l’espressività; 
  • il modo di stringere la mano; 
  • la mimica facciale; 
  • l’abbigliamento e gli accessori personali e professionali 
  • tono e timbro della voce. 

Tutti questi fenomeni sono centrali nella comunicazione, soprattutto nella fase di ascolto, in quanto, se non riusciamo ad emergere come persone “sicuramente affidabili” e competenti, nessuno ci dirà niente.  

La creazione dell’immagine e della credibilità, o la sua distruzione, non avvengono “di colpo” o per effetto di singole evenienze (se non estremamente forti), ma si compongono per sommatoria di: 

  • micro-osservazione; 
  • analisi di incongruenze e dissonanza; 
  • rilevazione di segnali deboli. 

Come evidenziato in “Psicologia di Marketing e Comunicazione“: 

“Le informazioni che possono essere colte durante la visita di un’azienda, nello scrutare una persona o un prodotto, si categorizzano in due classi importanti: i segnali generatori di fiducia (trust signals) e i segnali generatori di sfiducia (distrust signals)”.

  • Trust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano fiducia e rassicurazione. 
  • Distrust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano preoccupazione o sfiducia. 

Il percorso valutativo della nostra persona, di noi come interlocutori affidabili o meno, è costellato, in altre parole, dal ricevimento di tanti segnali e di tante informazioni.  

Se questi segnali e informazioni sono positive e congruenti tra loro, nasce fiducia, se sono negative oppure emergono incongruenze e dissonanze, la fiducia cala. 

Lo stesso vale quando esaminiamo chi parla con noi. 

trust signals svolgono il ruolo di elementi di rafforzamento della fiducia e dell’immagine. I distrust signals sono invece elementi di detrazione, negativi rispetto alla formazione della fiducia. 

L’azienda e il professionista orientati alla crescita devono analizzare attentamente quali elementi della propria comunicazione stiano funzionando da trust signals e quali da distrust signals

Spesso, essere supportati da consulenti nel campo della comunicazione aiuta. Un feedback onesto è, infatti, sempre prezioso e le critiche non vanno considerate come un attacco, ma come un impulso per continuare a crescere e migliorarsi. 

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Elementi che creano fiducia ed elementi che erodono la fiducia

Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei.

 (Niccolò Machiavelli)

Ogni messaggio, ogni presentazione, ogni momento d’interazione, ha un effetto di imprinting – fissa un’immagine verso chi ci sta osservando o ascoltando. Cambiare quell’immagine iniziale, poi, è difficile.

L’ascolto è una di quelle attività che vengono bene solo se come ascoltatori veniamo considerati degni di fiducia, onesti, competenti.

Basta solo che vi sia anche solo una vaga percezione che le nostre intenzioni siano nascoste o che stiamo mentendo, per ottenere un blocco immediato della conversazione o del rapporto.

Il mondo delle relazioni è un mondo di percezioni soggettive, ancora prima che di dati oggettivi. Esaminare cosa accade a livello di percezioni, nella comunicazione e nell’ascolto, è quindi ancora più fondamentale.

Può accadere che siamo di fatto persone degne di fiducia, ma qualcosa in ciò che diciamo o nel come lo diciamo comprometta questa immagine positiva. Vi sono invece emeriti truffatori in grado di dare una sensazione iniziale di grande professionalità e fiducia.

Dobbiamo quindi esaminare numerosi elementi in grado di generare fiducia o sfiducia tra cui:

  • lo stile di movimento (velocità del passo, camminata);
  • le posture e il body language;
  • le gestualità e l’espressività;
  • il modo di stringere la mano;
  • la mimica facciale;
  • l’abbigliamento e gli accessori personali e professionali
  • tono e timbro della voce, la parlata.

Chi di noi affiderebbe i suoi segreti più intimi a qualcuno di cui – per via di alcuni elementi del mix sopra notato – di pancia, non si fida? A qualcuno che si pensa, magari, dopo pochi minuti, metterà tutto quanto su internet o lo darà ad altri?

O a qualcuno di cui scopriamo che stia registrando a nostra insaputa? O a qualcuno di cui non sappiamo le vere intenzioni?

Tutti questi fenomeni sono centrali nella comunicazione, e ancora maggiormente nella fase di ascolto, in quanto se non riusciamo ad emergere come persone “sicuramente affidabili” e competenti, nessuno ci dirà niente.

In alcune professioni poi, dove l’ascolto è l’ingrediente essenziale, come nel coaching, ma anche nella leadership, larga parte del lavoro si svolge con e tramite colloqui. E i colloqui bisogna saperli gestire, sopratutto come ascoltatori eccellenti e attivi.

Questo vale anche e soprattutto nei colloqui di gruppo, dove la complessità delle maschere in gioco è alta. Ognuno gioca un suo ruolo, e la verità si nasconde la, da qualche parte, ma raramente viene fuori se non alla macchinetta del bar o in qualche colloquio confidenziale.

Chi ha partecipato ad una riunione di Direzione o a un Consiglio di Amministrazione non potrà non averlo notato.

Tutte quelle persone avevano i volti incorniciati dal senso della loro importanza. Giocavano al gioco dell’apparire e dell’ostentare e del sopraffare con la massima serietà. Chissà in quale momento della loro vita si erano dimenticati dei loro giochi di bambini.

 (Fabrizio Caramagna)

Il coaching, essendo in larga misura basato su tecniche di colloquio a tu per tu, one-to-one, ha grande bisogno di costruire modalità di colloquio in cui si generi apertura sincera, e fuoriescano le informazioni che servono per gestire il caso e trattarlo.

La creazione dell’immagine e della credibilità, o la sua distruzione, non avvengono “di colpo” o per effetto di singole evenienze (se non estremamente forti), ma si compongono per sommatoria di:

  • micro-osservazione;
  • analisi di incongruenze e dissonanza;
  • rilevazione di segnali deboli.

Come ho evidenziato in Psicologia di marketing e comunicazione:

“Le informazioni che possono essere colte nella visita di un’azienda, nello scrutare una persona o un prodotto, si categorizzano in due classi importanti, i segnali generatori di fiducia (trust signals) e i segnali generatori di sfiducia (distrust signals)”.

  • Trust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano fiducia e rassicurazione.
  • Distrust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano preoccupazione o sfiducia.

Il percorso valutativo della nostra persona, di noi come interlocutori affidabili o meno, è costellato, in altre parole, dal ricevimento di tanti segnali e di tante informazioni.

Se questi segnali e informazioni sono positive e congruenti tra loro, nasce fiducia, se sono negative oppure emergono incongruenze e dissonanze, la fiducia cala.

Lo stesso vale quando esaminiamo chi parla con noi.

I trust signals svolgono il ruolo di elementi di rafforzamento della fiducia e dell’immagine. I distrust signals sono invece elementi di detrazione, negativi rispetto alla formazione della fiducia.

Se immaginiamo ciò che osserva un cliente all’interno di un’azienda, elementi magari casuali, quali un ordinativo di un’azienda importante, dal marchio prestigioso, collocato su una scrivania possono costituire trust-signals, mentre una lettera di reclamo da parte di un consumatore, o la ruggine sul cancello d’ingresso, o la scortesia del persona, costituiscono distrust-signals. Lo stesso vale per i commenti postati dai clienti su siti appositi di valutazione d’aziende e di prodotti.

L’azienda e il professionista orientati alla crescita devono analizzare attentamente quali elementi della propria comunicazione stiano funzionando da trust signals e quali da distrust signals.

Devono esaminare accuratamente ogni elemento di contatto con il cliente (gli elementi denominati Above The Line– cioè oltre la linea di visibilità) e queli Below the Line (al di sotto della soglia di visibilità) e fare un piano accurato per gli elementi Above The Line.

Devono mettersi con gli occhi del pubblico e del cliente ed esaminare quanto da loro trasuda, (vetrine, prodotti, cataloghi, siti web, immagine personale, ecc.) attraverso apposite griglie valutative (griglie di analisi dell’immagine visuale e griglie di emersione dei segnali negativi aziendali)

La “persona” che vuole lavorare sul proprio “Personal Branding” o immagine personale, dovrà curare altrettanto il tipo di abbigliamento (casual o rigoroso, a propria scelta, purché sia ragionata e coerente), i capelli, le unghie, come e dove è collocato il suo ufficio, cosa ha sui tavoli.

L’aspetto esteriore è un meraviglioso pervertitore della ragione.
(Marco Aurelio)

Dovrà osservare il proprio aspetto esteriore ma anche il sito web con gli occhi di un possibile cliente, persino i propri profili sui social media.

E non è sufficiente. Dovrebbe avere attenzione a farsi dare feedback da persone di propria fiducia o da supervisori (supervisors professionali) che devono occuparsi su sua richiesta di “guardarlo con occhio esterno” e offrirgli feedback, sia positivo che negativo, ove vi siano elementi che non vanno o hanno bisogno di ritocchi nella comunicazione.

Il sostegno di supervisione sulle tecniche di ascolto, vero e proprio, viene anche dall’indicare ad una persona che stiamo affiancando, che – ad esempio – tende ad interrompere troppo il cliente, o non fa dei “recap” (ricapitolazioni) durante il discorso per mettere un punto e poi proseguire.

O ancora, che le sue microespressioni facciali lasciano tradire un’incertezza o un giudizio quando questi non fossero voluti.

Un feedback onesto è sempre prezioso e non va considerato come un attacco.

La dinamica dei segnali di fiducia e di sfiducia coinvolge pienamente il professionista in ogni campo, il venditore, il consulente, i suoi comportamenti e atteggiamenti, i suoi messaggi e comunicazioni, la sua modalità di ascolto.

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