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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Se pensi di conoscerti davvero bene, sappi che di fronte a sfide nuove potranno emergere lati di te che non conoscevi. E che in ogni caso, per osservarsi o vedersi, serve una grande quantità di strumenti e tecniche.

Come faresti a conoscere il colore dei tuoi occhi se non esistesse in tutta la terra uno specchio per poterti osservare? Questo specchio sono esperienze speciali, sono i professionisti che ti aiutano a percepire te stesso in questi momenti di picco, sono momenti di analisi guidata, di confronto, di introspezione. Per compiere un’esplorazione guidata occorre “lasciarsi aiutare” in questo processo di autoconoscenza.

La crescita personale è il primo vero passo della leadership e dello stare in un gruppo che vuole crescere e gioire. Crescita personale significa anche sfidare il destino, decidere su che cosa lavorare di sé stessi anziché pensare di essere solo e unicamente frutto di decisioni ed eventi esterni.

Farsi aiutare in un percorso di esplorazione e autodeterminazione è un atto intelligente. Farsi aiutare non significa diventare quello che “altri” vogliono, ma anzi, essere i protagonisti e registi dei propri cambiamenti desiderati. Se sali su un treno e ti fidi del macchinista, ricorda sempre che la destinazione l’hai scelta tu, il macchinista e il treno ti servono come strumenti per arrivare prima dove tu vuoi. Lo stesso vale per una guida alpina o un GPS nell’esplorazione di zone sconosciute.

Chi mi porge una lampada per osservare la strada al buio non mi sta dicendo dove andare. Mi sta solo dando uno strumento perché io possa decidere se andare a destra o a sinistra anziché nel burrone.

Come per il colore degli occhi, non lo conoscerai mai fino a che non avrai strumenti esterni per osservarlo. E anche quando tu avrai preso coscienza del fatto che sono verdi, marroni o azzurri, non cambierai mai il colore dei tuoi occhi con la tua volontà. Ma potrai cambiare la potenza e massa dei tuoi muscoli allenandoli bene, potrai cambiare la flessibilità delle tue articolazioni, la tua resistenza aerobica, la tua massa grassa e magra, la resistenza dei tuoi tendini, perché queste caratteristiche sono soggette alle tue azioni quotidiane, alle abitudini, al fatto di “allenarle”, e non solo frutto del destino. E le tue abitudini sono qualche cosa su cui si può assolutamente lavorare.

Vi sono alcuni tratti del carattere che difficilmente potrai cambiare, ma tanti altri che invece sono lavorabili, “costruibili”, soggetti a essere costruiti e potenziati, e la leadership, o una buona capacità comunicativa quando la vuoi avere e nelle occasioni in cui ti serve, sono assolutamente tratti allenabili e potenziabili.

Principio 3 – Il Locus-of-Control

La crescita personale è il primo vero passo della leadership e dello stare in un gruppo che vuole crescere e gioire. Crescita personale significa anche sfidare il destino, decidere su che cosa lavorare di sé stessi (Locus-of-Control interno) anziché pensare di essere solo e unicamente frutto di decisioni esterne ed eventi esterni (Locus-of-Control esterno).

Chi crede e ha visto in azione i cambiamenti che le persone fanno grazie a processi formativi e di coaching ben fatti, non può che credere nel potenziale umano. Questo vale sia per atti a prevalenza fisica, come lo sport, che in attività soprattutto manageriali, mentali e culturali.

Nello sport, chi ha visto i cambiamenti positivi di atleti in seguito a programmi allenanti ben fatti non può che rimanere sbalordito. Chi ha visto gli effetti di un allenamento combinato fisico e mentale sarà ancora più sbalordito.

Nelle professioni manageriali, chi ha trovato su di sé o in altri il miglioramento nelle capacità di public speaking in seguito a training dedicati non può che credere nella grande “plasticità” del potenziale umano, nella sua immensa potenzialità, nel fatto che si possa passare dal­l’essere introversi o “orsi”, oppure vedersi dotati di bassa autoefficacia, a diventare grandi comunicatori, purché si abbia voglia di lavorarci, e ci si dedichi tempo pensando che sia il momento speso meglio della vita e non tempo residuale o un lusso per pochi.

Formarsi è un investimento sacro. Se dovesse servirti un’ora, o un mese, o un anno, per migliorare la tua capacità di sostenere un esame o un test, quanti esami ne trarrebbero beneficio, in tutta la tua vita? E parlo di esami non solo formali, ma anche di colloqui nei quali in ogni caso il tuo “essere” viene fuori, che tu voglia o meno, viene osservato e percepito e di fatto produce la percezione che gli altri hanno di te.

S’impara sia facendo sia ripassando mentalmente l’azione. Un buon coaching sa quando avviare un tipo di apprendimento o l’altro.

Ci sono cose che si imparano meglio nella calma, altre nella tempesta.

Willa Cather

Investire su di sé significa lavorare sulle proprie capacità mentali, prima ancora che sulle conoscenze. Puoi avere studiato psicologia per decenni ma ancora non capire te stesso e le persone. Puoi avere letto migliaia di libri ma non saperne raccontare la sintesi.

Quante ore di studio possono mai compensare un’esposizione scarsa? Quando hai mai creduto a un dietologo che vedi coi tuoi occhi avere un corpo disfatto e sovrappeso?

Quante “spalline” finte servono per compensare una scarsa attenzione al corpo, quante panciere potrai mai indossare per far finta di ridurre il giro vita anziché lavorare sul tuo corpo ogni singolo giorno? Quante frasi e da quanti libri potrai rubare se non hai niente di tuo da dire di vero? Quante bugie potranno esserci nei proclami di un’azienda se poi nei fatti e nei prodotti che usi vedi che non corrispondono al vero?

Come ha detto il grande Bob Marley “You can fool some people sometimes, but you can’t fool all the people all the times” (in una traduzione non letterale, “puoi fregare qualcuno qualche volta, ma non potrai fregare tutti e sempre”).

Chi lavora su di sé ha sempre meno bisogno di fingere. Questa è la verità della Scuola del potenziale umano. Una scuola di Verità, di Ricerca, di Conoscenza.

Ci sono molti modi per conoscersi. In molti casi serve un lavoro di gruppo e un feedback onesto, in altri casi è nella solitudine che si forgia il guerriero, è nella durezza della realtà che si costruisce la leadership. Questo vale anche per i leader veri che non possono delegare ad altri il lavoro che devono fare su di sé.

Il più grande samurai della storia, Miyamoto Musashi (1584-1645), fu certamente un leader e ancora oggi è culturalmente un leader dopo secoli. Arrivò ad avere più di tremila studenti che studiavano sotto di lui, oppure sotto la guida di suoi allievi diretti; e oggi in Giappone ci sono molte scuole che derivano dalla sua. Ma vediamo come vi è arrivato.

Si ritirò in meditazione e insegnamento a cinquant’anni, vagò nelle foreste più impervie dai 13 ai 29 anni, sopravvivendo e sfidando con un bastone di legno altri samurai dotati invece di katana d’acciaio. Se fosse stato “nominato” samurai o avesse ereditato il titolo, non avrebbe vinto nemmeno contro una mosca morta. Quanti leader di oggi si sono veramente “fatti le ossa” combattendo sul campo, lottando per una causa, spesso senza aiuti, senza raccomandazioni, senza rinunciare ai propri valori?

Musashi, cresciuto maneggiando un bastone, aveva certamente un vantaggio su chi si era formato con ben più di risorse di lui. Al­l’epoca dei samurai un guerriero (bushi) aveva due spade alla cintura: la katana (spada lunga) e la wakizashi (spada corta). Musashi insegnava ai suoi allievi che morire con una di queste armi ancora nel fodero significava non aver fatto tutto il possibile per vincere.

Musashi si forgiò e si formò combattendo, visse diversi anni in totale eremitaggio nelle foreste più impervie, dedicandosi esclusivamente al­l’affinamento delle tecniche marziali dai 13 anni (età del suo primo combattimento mortale).

Togli a un leader i servi, gli yes-man, i soldi, le persone e le risorse ipocritamente ubbidienti, gli agi, mettilo da solo e senza risorse, e vedremo di che pasta è fatto davvero.

Chi è leader e coordina team ad alte prestazioni lavora su di sé sempre, e deve farlo per possedere doti di leadership oltre la media, perché le sfide che compaiono sono speciali.

Due esercizi pratici:

•     esaminiamo quanti messaggi servono in un solo giorno, per tenere coordinata un’azienda, comandare una nave, coordinare un’operazione di polizia, essere il coach di un team agonistico, di una squadra di calcio o di volley, di tennis o sport di combattimento, dirigere un gruppo di vendita o un team di miglioramento della qualità. O anche solo per servire bene a un tavolo di ristorante;

•     osserviamo questi messaggi: come sono costruiti, se fanno bene al raggiungimento degli obiettivi, quali motivano e quanti invece demotivano o distruggono il gruppo, il clima e la “missione”. Avremo subito un indicatore della Qualità della comunicazione operativa.

Per fare vera comunicazione operativa occorre volere comunicare bene ma anche ripulirsi dal timore di sbagliare o decidere male perché non abbiamo tutta la vita a disposizione per decidere. La vera paura deve essere non decidere. Si tratta di entrare a far parte di un’élite, sia per lo spessore delle persone che si comandano che per la volontà di saper tirare fuori il meglio di sé e degli altri.

Occorre comprendere che in realtà ciò che rende “speciale” un team, ancora prima che le azioni compiute, sono i tipi di atteggiamenti mentali. Il grado di concentrazione e di qualità del pensiero che precede l’azione, la capacità di vedere se stessi e saper diventare “archetipi” di un modo di essere, persone speciali, membri di un team, dedicati a una causa nobile.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

  • Leadership
  • Crescita personale
  • Lavoro su di sé
  • Lavoro di introspezione
  • Conoscersi
  • Osservarsi
  • Autodeterminazione
  • Sfidare il destino
  • Locus of control
  • Formazione
  • Coaching
  • Potenziale umano

Saper ascoltare se stessi precede l’ascolto degli altri (Daniele Trevisani)

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Copyright dal volume  Self Power. Psicologia della Motivazione e delle Performance

Diventare consapevoli degli stati personali

…la maggior parte delle psicopatologie, in ultimo,si originano dal sentirsi privi di potere sulle proprie vite, o anche semplicemente dall’avere la percezione che sia così,

anche quando non è vero

 Michael Aleksiuk[1]

Credo che poche persone nel pianeta abbiano la fortuna di considerarsi esattamente e sempre come vorrebbero essere, o persone ideali.

La maggior parte delle persone sente di avere dei limiti, ma confonde questi limiti con un senso di impotenza. Il senso di impotenza può degenerare in senso di mancanza di controllo sulla vita, la percezione di non poter dirigere il proprio destino, e che – alla fine – tutto sia inutile.

Da questo deriva (come evidenzia la citazione di Aleksiuk) una larga parte delle psicopatologie. Infatti, la depressione ha molto a che fare con il senso di inutilità, impotenza di fronte agli eventi. L’ansia è un senso di inferiorità rispetto ad un evento specifico che ci aspetta ma per il quale non ci sentiamo davvero pronti (ansia localizzata) o persino generalizzata alle tante difficoltà del vivere in generale (ansia diffusa).

Contro tutto questo dobbiamo combattere. Ma chi può pretendere da una persona oggi che diventi una star? Chi può azzardarsi di chiedergli di prendere sette lauree e nel contempo far crescere quattro figli? Eppure il messaggio che arriva, sempre, e molto dalla pubblicità, è “così non vai bene”. Smetti di crederci, rifiutalo.

Migliorarsi è un dovere per se stessi e non per ascoltare pretese assurde. E soprattutto per il contributo agli altri che una persona migliore può dare.

Migliorarsi è fatica. Un saggio di François de La Rochefoucauld del 16° secolo, ha un titolo molto evocativo: La fatica di diventare migliori, e da questo esponiamo un breve passaggio[2]:

 

Se si fa tanto discutere contro le massime che mettono a nudo il cuore umano

è perché ciascuno teme di esservi messo a nudo.

 François de La Rochefoucauld, La fatica di diventare migliori

Uno dei primi passaggi certamente faticosi è acquisire maggiore consapevolezza di quali sono le proprie vere condizioni, e magari scoprire che vi sono molte cose su cui lavorare. Questa scoperta può anche far male.

Considerarsi arrivati in termini di sviluppo personale significa arrestare una ricerca.

Saper leggere le risorse mentali vere di cui disponiamo

Viviamo in un mondo limitato. O almeno così pensiamo. Ogni volta che valutiamo se inseguire o meno un sogno, o lasciarlo andare per sempre, scatta una valutazione – ampiamente inconscia – sulle risorse mentali di cui disponiamo, sul nostro stato personale.

Le energie personali sono risorse che il soggetto possiede. Risorse interiori, non monetarie. Può esistere un forte divario tra le risorse che uno sente di avere (risorse percepite) e le risorse realmente disponibili se sviluppiamo la capacità di accedervi (risorse latenti).

Quando le due diverse “letture” non sono coincidenti, possono accadere diversi problemi, tra cui (1) la sottovalutazione delle proprie risorse, sentire di avere meno energie e competenze di quante se ne abbiano veramente, e (2) la iper-valutazione delle proprie risorse: contare su energie e competenze che in realtà non possediamo. Ne deriva il seguente principio:

Principio 3 – Consapevolezza degli stati personali

Le performance possono essere aumentate quando:

  • l’individuo è in grado di conoscere con estrema precisione lo stato delle proprie energie e risorse mentali accessibili e sa quali sono quelle latenti e allenabili;
  • sulla base dell’analisi, vengono prese coerentemente le decisioni connesse su dove dirigersi per il proprio miglioramento.

Le performance diminuiscono o vengono messe a rischio da:

  • errori di sottovalutazione del proprio potenziale (self-reduction);
  • errori di ingigantimento mentale della sfida, con distorsione cognitiva della sua immagine e portata;
  • errori di valutazione delle proprie risorse e/o sottovalutazione della sfida, che provocano un disastro nel contatto con la realtà.

 

La presa di coscienza sul fatto che ciascuno di noi ha risorse bloccate è un passaggio importante. È indispensabile per far nascere la voglia di migliorare e coltivare il meglio di se stessi, qualsiasi sia il livello di partenza.

[1] Michael Aleksiuk: Power Therapy: Maximizing Health through Self-Efficacy

Aleksiuk, Michael (1996), Power Therapy: Maximizing Health through Self-Efficacy, Hogrefe Verlag, Göttingen. Mia traduzione dall’originale “most psychopathologies ultimately stems from feeling powerless over one’s own life, or just having the perception that one is powerless, even if this is not true“.

[2]François VI, duca di La Rochefoucauld, principe di Marcillac (1613 – 1680), scrittore francese. Fonte: http://it.wikiquote.org/wiki/Francois_de_la_Rochefoucauld

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Copyright dal volume  Self Power. Psicologia della Motivazione e delle Performance