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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Stili di comunicazione e relazione

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante:

  • riconoscere con quale stile comunichiamo;
  • saper flessibilizzare lo stile per potersi relazionare ad interlocutori diversificati

Esempi di stili comunicativi, con parole tipiche dello stile:

  • Intellettuale – parallelismo, canovaccio, piattaforma progettuale.
  • Dinamico – veloce, rapido, risultato, obiettivi, vincere.
  • Aggressivo – ha capito? Non so se sono stato chiaro? Mi sta seguendo? Qui c’è troppa gente che cazzeggia, non abbiamo tempo da perdere. È ora di concludere, adesso!
  • Sottomesso – se lei vuole, se preferisce, come lei desidera, se non disturbo, facciamo quello che vuole lei, non c’è problema, siamo molto flessibili su tutto.
  • Rustico/volgare – ma và, non rompere i coglioni,  sono tutte seghe, ve la tirate troppo, è ora che ci diamo una mossa.
  • Politicante – bisogna valutare, si tratta di ricercare un compromesso, dobbiamo trovare delle sinergie, serve una piattaforma programmatica, è necessario un confronto di visioni.
  • Anglo-manageriale – il breakeven point, il marketing mix, la supply chain, la customer loyalty, è una questione di customer satisfaction, dobbiamo fare qualcosina sul cross-selling, anche in relazione alla gantizzazione del progetto.
  • Ottimista – è una bella opportunità, ci sono forti possibilità, è un progetto bellissimo, sento che le cose andranno veramente bene, sono sicuro che ce la faremo. 
  • Pessimista – non si può fare, è difficile, non ce la possiamo fare, ci sono troppe incognite, è un mondo difficile, non lo hanno mai fatto altri, è troppo nuovo, non lo conosco, non mi fido.
  • Concreto: scadenze, fissare, concludere, concretizzare, definire, inquadrare, arrivare a stringere, non perdere tempo, non perdiamo tempo, andiamo al sodo, badiamo ai risultati.

…ogni altro stile identificabile nel panorama sociale circostante.

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante per la vendita consulenziale e la negoziazione saper riconoscere gli stili altrui e capire con quale stile rispondere.

Caratteristiche

Conoscere bene le caratteristiche dei prodotti e dei servizi, conoscerle a fondo e nei dettagli.

La conoscenza delle caratteristiche di prodotto, o delle caratteristiche del progetto che stiamo esaminando, è conseguibile attraverso lo studio, il confronto con esperti, e soprattutto attraverso metodi che permettano di metterla alla prova, come il role-playing.

Sessioni di domanda-risposta possono aiutare molto a mettere alla prova la conoscenza del prodotto.

Per una società di formazione, il direttore potrebbe dire ai propri consulenti: fammi vedere come spieghi ad un cliente la differenza tra coaching, training, counseling, e un workshop. Fammi vedere cosa risponderesti se un cliente ti chiede che differenza c’è.

Vantaggi

Conoscere i vantaggi competitivi significa sapere quali plus abbiamo rispetto alla concorrenza, e come questi vantaggi diventano utili, si trasformano in benefici tangibili o percepibili per un cliente o utilizzatore.

I vantaggi possono essere sia competitivi (riferiti a possibili alternative della concorrenza: in cosa siamo migliori rispetto ad altri) o vantaggi assoluti, riferiti al beneficio che ne può trarre il fruitore (che aiuto e vantaggi hanno le nostre proposte o soluzioni).

Benefici e relazione tra benefici ipotizzati e bisogni reali

Che benefici può trarre un cliente dalle nostre caratteristiche, dai nostri vantaggi competitivi?

I benefici riguardano una molteplice sfera di bisogni, sui quali dovremmo fare grande chiarezza. Spesso i benefici ipotizzati sono altamente distanti dai bisogni reali, che possono riguardare aree come:

  • il bisogno di risparmiare e liberare risorse per altri progetti;
  • il bisogno di sicurezza, garanzie, affidabilità;
  • il bisogno di efficienza, e di strumenti che la rendono possibile;
  • il bisogno di immagine, la necessità di poter esibire qualcosa ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici;
  • il bisogno di azione, la necessità di poter dire ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici, che si sta facendo qualcosa;
  • il bisogno autorealizzativo, diventare il massimo di ciò che si può essere, raggiungere il proprio potenziale, o un proprio sogno, sviluppare un proprio ideale.

I benefici non si collegano automaticamente alle caratteristiche dei prodotti, servizi o idee, ma diventano tali solo quando si realizza una connessione mentale tra caratteristica e bisogno.

Unicità e distintività

In quali elementi di prodotto o di servizio riusciamo ad essere unici, ineguagliabili? In quali punti di forza si concentra la nostra unicità? Cosa possiamo fare solo noi così, avere solo noi, o “essere” solo noi?

In cosa si caratterizza la nostra distintività? Nella certezza della parola data? Nei tempi di consegna? In qualche brevetto? Nelle relazioni umane? Nella capacità di analisi? Nella capacità di vendere fiducia? Nell’essere i leader di mercato per ricerca e sviluppo? O nell’essere i leader di costo? O di convenienza? O in quali altri campi? 

In altre parole, in cosa vogliamo essere percepiti come “diversi” per uscire dalla massa indistinta dei possibili fornitori?

Il nostro valore, il valore reale e il valore percettivo

Da dove deriva il nostro valore? Essenzialmente, dalla capacità di offrire benefici, soluzioni, e dare risposte ad esigenze sentite. Il valore può provenire anche dall’insieme delle caratteristiche di credibilità personale, di credibilità aziendale, sommato alle caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità del mix di offerta aziendale, dei suoi prodotti/servizi, sistemi di prezzo, logistica, distribuzione, informazione, e customer care

Il valore reale (osservato dal punto di vista del venditore) è spesso diverso dal valore percettivo visto dal cliente. Il cliente può solo intuire e cogliere solo in parte, da pochi elementi di contatto, una realtà complessa. 

Il valore può essere amplificato o invece “ucciso” da poche informazioni o da dettagli apparentemente insignificanti che distruggono la fiducia (distrust signals, segnali di sfiducia). 

Una delle missioni fondamentali del venditore e del negoziatore è far emergere il valore e costruire il clima di fiducia ed emettere i segnali generatori di fiducia (trust signals) che permettono alla relazione di avanzare.

Trasmettere il concetto di cui si è portatori, e interessarsi al processo del cliente

Ogni venditore porta con sè stesso un’immagine di sè (self image) e una immagine della propria azienda (corporate image). Queste realtà percettive emergono in ogni interazione, che egli ne sia consapevole o meno. 

Egli porta con sè anche l’immagine che possiede della propria azienda, i suoi limiti, i suoi punti di forza, ne definisce una immagine mentale: “azienda tradizionalista” “azienda tecnologica” “boutique”, oppure “discount” – non importa di quale settore merceologico si stia parlando.

Vendere i prodotti di un’impresa non significa esporre semplicemente il suo catalogo prodotti. Significa soprattutto vendere il “concetto” che l’azienda rappresenta. 

Ad esempio, un venditore BMW dovrebbe sapere che in qualsiasi trattativa di vendita sta rappresentando non solo un insieme di bulloni, ruote e lamiere, ma soprattutto il concetto di un’auto prestigiosa, tedesca, solida, sportiva, un punto di arrivo

Sulla negoziazione politica o progettuale, troviamo un parallelo. Avere come partner un paese come la Germania in un progetto significa far entrare nel progetto un senso di “ordine” e di “tecnologia”, avere l’Italia può significare far entrare il concetto di “creatività”, ma anche connotazioni negative come “confusione” per l’Italia, o “rigidità” per la Germania.

Ogni negoziatore deve sapere quali immagini mentali porta con sè e quali sono associate al proprio sistema di appartenenza.

Identificarsi come un “punto di arrivo”

Chi entra in negoziazione vedendosi come una “seconda scelta” inevitabilmente trasmette questo concetto alla controparte. 

Identificarsi come un punto di arrivo è importante per creare un senso di autostima e sicurezza che emergerà nella trattativa. Questo è reso possibile solo da un grande lavoro sulla consapevolezza di sè e dei punti di forza aziendali.

Vendere un “punto di arrivo” è ben diverso dal vendere un insieme di parti meccaniche o pezzi di servizio.

La scena si complica se consideriamo che il cliente ha una propria percezione di cosa sia un “punto di arrivo” e questa può essere diversa dalla nostra.

Entra qui in scena la “psicologia della comprensione del cliente”, il desiderio forte di entrare nel suo mondo, alimentato da curiosità, volontà di capire, desiderio di non fermarsi alla superficie.

Per vendere un concetto assimilabile ad un “punto di arrivo” bisogna sapere quale è il punto di partenza, cioè da quale situazione parte il cliente, e perché egli aspira ad un diverso punto di arrivo. 

Dobbiamo chiederci se e perché il cliente è contento della situazione che in quel momento ha o vive, cosa desidera cambiare, in quali termini desidera evolvere, e cosa lo frena. In altre parole, dobbiamo interessarci del processo del cliente (entrare nei processi). Solo in questo modo la vendita potrà diventare consulenziale e trovare le migliori opzioni che permettono di concretizzare un risultato aziendale. 

Fare questo, significa applicare alla vendita i metodi della “Consulenza di Processo”, ovvero far convergere vendita e consulenza in un unico metodo di vendita consulenziale.

Passare dall’interesse generico alle pratiche conversazionali che lo rendono concreto

Tutti condividono a parole e in teoria un generico senso di “attenzione verso il cliente” ma pochi lo sanno tradurre in pratiche conversazionali e azione. 

Nei “momenti della verità”, in una vera negoziazione di vendita con un vero cliente, possiamo osservare e misurare se i concetti diventano realtà conversazionale, se cioè il venditore riesce a tradurre i concetti di “centratura sul cliente” in vere domande, in riformulazioni, in esplorazione, ricentraggio degli argomenti di conversazione. 

Dobbiamo analizzare se egli sa cogliere i depistaggi, o i tentativi di esproprialo del suo ruolo consulenziale. Dobbiamo accorgerci, se siamo Direttori Vendite o coach di vendita, se il venditore ha vere capacità di fare domande centrali e fare analisi – o se invece si disinteressa del processo del cliente, non pone domande, non cerca di capirlo veramente, non esplora il suo “mondo” e le sue evoluzioni, e lascia che sia il cliente a decidere quale ruolo egli deve giocare.

Un altro esempio sul tema del “vendere un concetto” prima ancora di un prodotto. L’esempio questa volta è semi-autobiografico, poiché tratta di un mercato, quello della formazione e del coaching, nel quale viviamo ogni giorno. 

Chi opera con o per il nostro Studio, ad esempio, deve essere ben consapevole del fatto che fare consulenza e formazione significa applicare dei modelli scientifici e non essere dei ciarlatani improvvisati. Un consulente o formatore può essere interprete, anche ottimo, di teorie e modelli elaborati da altri autori, oppure può diventare contemporaneamente autore e ricercatore se ha adeguate capacità. 

Nel nostro studio abbiamo svolto un grande sforzo di ricerca per produrre (generare, creare) numerosi modelli proprietari, prodotti formativi e consulenziali nuovi, integrandoli in paradigmi evoluti per lo sviluppo personale e organizzativo. Tra questi modelli troviamo il Metodo Action Line Management (ALM) ™, le Regie di Cambiamento™ per la formazione avanzata, il Deep Coaching Protocol™ per lo sviluppo personale, e creando inoltre il metodo HPM™ (Human Performance Modeling) per lo sviluppo del potenziale personale.

Chi opera con il nostro Studio deve quindi sapere che per i suoi servizi di formazione il cliente troverà un mondo di unicità, di modelli proprietari che altri non hanno. Questo permette al cliente di ottenere formazione consulenziale con tecniche nuove e proprietarie, anticipare di anni quello che uscirà sul mercato “per tutti” ed avere un vantaggio competitivo, scoprire tecniche uniche create dalla ricerca attuata direttamente dallo Studio, avere a disposizione modelli non reperibili altrove. 

Una consulenza o training centrata sul cliente e sul suo processo deve essere distanziata dal concetto di “corsificio” e questo significa saperlo comunicare, per chi opera dal lato dello Studio. 

Lo stesso problema e obiettivo, capire le unicità, vale per ogni azienda di prodotti o servizi.

La conoscenza che deve possedere chi opera per un’impresa non può essere superficiale. In generale, chi rappresenta una realtà deve essere consapevole di quale realtà rappresenta, quali potenziali porta con se.

Una rappresentazione di sè distorta, o lacunosa, emerge inevitabilmente in ogni “momento della verità” e in ogni vendita che aspira ad essere consulenziale. 

Le tecniche conversazionali

Cosa significa “tecnica conversazionale”? Dobbiamo innanzitutto capire che una interazione di vendita e una negoziazione sono basate – nel face to face – su specifici meccanismi della conversazione. Tra questi:

  • la gestione dei turni di conversazione (turn management)
  • il ricentraggio degli argomenti di conversazione
  • le tecniche di “ammorbidimento” delle relazioni (repair)
  • la produzione di domande (dare ascolto), opposta alla produzione di emissioni persuasive o informative (ottenere ascolto).

Riuscire a bilanciare il flusso che esiste tra dare ascolto e ottenere ascolto (balancing) è una precisa tecnica conversazionale.

Nella vendita classica il conflitto è “per parlare” e lo scopo è parlare più dell’altro o sovrastarlo con le proprie argomentazioni. 

Nella vendita consulenziale troviamo il gioco opposto, il gioco diventa “chi fa parlare di più l’altro”, e lo scopo strategico è indurre il cliente in uno stato di “apertura” per poter ottenere le informazioni indispensabili a costruire un pacchetto consulenziale o di offerta. 

Ottenere uno stato di apertura significa aprire sempre più il “flusso empatico” – il flusso di attenzione verso l’interlocutore che lo porta a fare delle aperture (disclosure), a dischiudere le proprie informazioni o posizioni. Tale tecnica è denominata nel nostro metodo Info-Bleeding (trasudazione informativa) e permette di ottenere informazioni indispensabili a rifinire la strategia e formularla.

Questo risultato richiede precise tecniche conversazionali, che nel nostro metodo assorbiamo dalle scienze di Analisi della Conversazione (Conversation Analysis), dalle tecniche di intervista degli informatori (Humint), dalle tecniche di intervista clinica in psicoterapia, e da altre fonti scientifiche, non ultime le tecniche utilizzate nelle investigazioni, opportunamente adattate al fatto di non volere in nessun modo creare una sensazione di “interrogatorio”.

Dietro ad ogni incontro tra realtà personali (incontro tra persone) e tra realtà aziendali (incontro tra aziende) esistono enormi potenziali da esplorare e questa consapevolezza alimenta chiunque non si accontenta della superficie, in ogni manifestazione dell’essere umano e della conoscenza umana.

La consapevolezza di sè (self-awareness) include il “come io comunico”, l’analisi di “qual è il mio stile conversazionale in una negoziazione”, ed è il tratto più importante della capacità di vendita, poiché in ogni vendita una persona porta con sè “se stesso”, i propri limiti, i propri principi morali e le sue esperienze ed abilità pratiche.

Le caratteristiche dell’azienda cliente e del sistema cliente – in senso più generale – sono estremamente importanti, ma (senza sminuirle) di minore importanza strategica rispetto alla costruzione di una buona conoscenza di sè e della propria azienda, poiché questo “lavoro” viene riutilizzato in ogni relazione di vendita, mentre lo studio di un cliente specifico è un investimento essenziale ma che trova rientro in una sola ed unica relazione di vendita. 

La consapevolezza dell’istituzione che rappresentiamo, delle sue persone, dei suoi confini, delle sue forze e debolezze, è un anello forte della vendita consulenziale che ci accompagna in ogni trattativa, ma esso non verrà mai valorizzato se non è sostenuto dallo sviluppo delle proprie competenze comunicative.


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La cultura del variables-reasoning

Appurato che vi sia un fondamento organizzativo di base:

  • prodotti competitivi e vendibili
  • supporti di vendita adeguati (auto, uffici, telefoni, PC, altri supporti di vendita),

dobbiamo considerare che ampia parte del successo dipenda dalle risorse umane, comprendenti sia le segreterie organizzative che i venditori e i leader.

Il primo e più importante contributo delle discipline scientifiche è il variables reasoning, un’impostazione di fondo del ragionamento scientifico ed un insegnamento prezioso per l’impresa: trattare i problemi in termini di variabili e loro relazioni.

Un problema quale “calano le vendite negli USA” andrà quindi studiato in termini di “cosa determina il calo delle vendite” e “cosa determina un successo di vendita in quel paese”. Dovremo quindi costruire un vasto raggio di ipotesi e spiegazioni possibili.

Ad esempio:

ipotesi 1 – “le vendite calano perché il paese è in fase di recessione “;

ipotesi 2 – “le vendite calano perché sono entrati nuovi concorrenti”,

ipotesi 3 – “le vendite calano perché la nostra rete commerciale si è indebolita”, ecc… 

Queste ipotesi andranno verificate empiricamente (partendo da dati reali), sino ad identificare la causa vera o l’insieme di cause su cui agire.

Ragionare per ipotesi, sviluppare alternative e sottoporle a verifica significa adottare un metodo scientifico. Molte aziende invece operano su problemi di tale natura con azioni impulsive tipo “cambiamo il direttore commerciale”, “raddoppiamo la pubblicità” o “cambiamo fornitore” magari operando proprio sulle leve sbagliate

Essere competitivi significa quindi – innanzitutto – saper analizzare i fattori critici del successo prima di agire. Significa costruire una base di conoscenza aziendale sui rapporti di causa-effetto in cui l’impresa è coinvolta, prima solo abbozzata, poi migliorata e verificata in parte, poi sempre più completa ed esaustiva, fino a possedere il quadro esatto della situazione. Tanto più ampia la base di conoscenza aziendale, tanto meglio l’impresa saprà quali leve toccare e che risultato ne emergerà.

Il tentativo di ragionare per variabili e loro relazioni costituisce innanzi tutto uno strumento pratico. Con un effetto ulteriore: in seguito al suo utilizzo ripetuto esso si trasforma in una impostazione culturale, filosofia guida positiva di una cultura aziendale analitica e basata sul core-problem solving.

La cultura del variables-reasoning vale come linea guida per ogni analisi dei problemi aziendali, in ogni settore e reparto.

Studio del problema
Capire quali sono le variabili critiche
Impostare il problema in termini di relazioni tra variabili: sviluppo di ipotesi sui fattori generativi
Test di ipotesi
Sviluppo di modelli
Revisione dei modelli
Utilizzo dei modelli per l’azione

Il diagramma di relazioni per l’analisi dei fattori di successo nella vendita

Ragionare per variabili all’interno di una analisi del successo di vendita è possibile.

Nell’approccio variables-reasoning si applica un procedimento (prima di tutto mentale, poi eventualmente supportato da supporti scritti o software) in cui il problema o il goal viene analizzato in termini di variabili che lo possono generare, di rapporti causa-effetto e fattori generativi. Si costruisce quindi un quadro di ipotesi da cui partire, visualizzabile tramite un diagramma. Le singole ipotesi devono essere verificate e costituiscono la base per lo sviluppo di strategie.

Ad esempio, per capire come raggiungere elevati obiettivi di vendita è necessario chiedersi quali sono i fattori generativi del successo di vendita, tra cui il personale, il prodotto, la promozione, l’assistenza e le garanzie, l’analisi accurata dei destinatari. Questi costituiscono i macro-fattori del Diagramma di Causa-Effetto. Per ciascun fattore andranno quindi approfondite le principali sotto-cause. Alcuni fattori particolarmente rilevanti possono essere zoommati più in profondità realizzando quindi diagrammi di approfondimento.

Il livello di profondità dell’analisi dipende dal tempo a disposizione, dall’esperienza e dalle conoscenze del settore.

I metodi per costruire il DCE sono stati divisi nel metodo ALM in “negativi”, “positivi” e “a livelli”.

  • I DCE negativi sono applicati a problemi e utilizzano formulazioni verbali negative, es: “Demotivazione, impreparazione e obiettivi confusi determinano calo di vendita”. 
  • I DCE positivi si applicano a goal e utilizzano formulazioni positive, es: “La qualità della formazione dipende dalla capacità di realizzare un’analisi efficace dei fabbisogni formativi, predisporre moduli veramente professionalizzanti, utilizzare docenti e metodi didattici coinvolgenti”. 
  • I DCE “a livelli” presentano le relazioni in termini di variabili pure, es: “Il livello qualitativo del prodotto dipende dal livello di manutenzione dei macchinari e dal grado di purezza delle materie prime”. 

 

Applicazioni ai problemi di vendita 

E’ possibile, secondo il Metodo ALM, costruire un DCE positivo che analizza i fattori del successo di vendita, e un DCE negativo applicato ai problemi di un calo di vendita.

Un DCE positivo sostiene ad esempio che il successo di vendita sia collegato alle capacità personali (competenze, comunicazione, affidabilità, proiezione di un’immagine professionale), ad un accurato studio dei destinatari (segmentazione strategica per individuare il target, segmentazione operativa per individuare i prospects e i decisori, analisi dei bisogni dei destinatari finalizzata a capire come creare valore), alla qualità del prodotto e suo rapporto qualità/prezzo, alla qualità dell’assistenza e garanzie, e alla capacità di promozione. Ciascuno di questi fattori a sua volta dipende da altre cause. Ad esempio, la qualità della promozione dipende dalla qualità del supporto media, dalle capacità di vendita personale e dai supporti cartacei alla vendita diretta o sul punto di vendita (display, cataloghi, listini, company profile, ecc).

Ciascuno di questi elementi dipende a sua volta da altri. Ad esempio, 

  • la conoscenza del prodotto è correlata al settore di provenienza (difficilmente un meccanico potrà occuparsi di alta moda femminile) e all’impegno nello studio del prodotto (che invece chiunque può mettere in atto); 
  • la qualità formativa dipende dall’attivazione di specifici percorsi sulla tecnica di vendita, dall’utilizzo di metodi formativi efficaci quali role-playing e project-works, e dall’affiancamento con persone esperte e tutor; 
  • la motivazione ed impegno dipendono dai benefit e dalla remunerazione (materiale e immateriale: denaro e gratificazioni, possibilità di crescita), e dalla cultura aziendale che deve produrre obiettivi chiari e sistemi di controllo efficaci. 

In ultimo, i supporti logistici, la cui qualità dipende dai supporti materiali (auto, PC, agende, telefoni) e dalla organizzazione ottimale dei tempi e percorsi di visita (time management di vendita).

Come si può notare, al crescere del livello di dettaglio emergono sempre più da vicino le leve strategiche da toccare, i passi concreti e operativi che l’azienda competitiva può attivare.

In altre parole, il variables reasoning permette di arrivare alla radice di cosa determina i risultati, e costruire il cruscotto aziendale, la sala controllo dell’impresa, il quadro comandi della competitività.

Dopo aver costruito il proprio diagramma di relazioni sull’obiettivo, l’impresa saprà dove destinare le risorse, e come impostare un sistema competitivo permanente (il vero risultato ricercato dal metodo ALM).

Lo stesso procedimento, applicato allo studio di un problema (es: il calo di vendite) produce ulteriore ricchezza di analisi, evidenziando gli errori da evitare.

Prima di agire su un calo di vendita, dovremmo infatti essere ben sicuri se il calo sia da attribuire a noi (alla nostra organizzazione e capacità interna) o all’andamento del mercato (domanda globale in calo o recessione) o ad entrambi. In un caso, ricercheremo rimedi interni, nell’altro caso dovremo aprire un’altra serie di domande: il calo è momentaneo o permanente, riguarda noi o tutti, quanto durerà, quali ne sono i motivi, ci conviene rimanere in questo settore, che alternative pensare.

Agire su un problema quale un calo di vendita avendone identificato i fattori causali, produce un risultato non immediato, ma duraturo (ad esempio, agendo sulla qualificazione della rete di vendita e sulle modalità motivazionali profonde). 

Un rimedio immediato può essere raggiunto tramite interventi superficiali (es: promozioni sui prezzi), con l’effetto di non agire sulle cause profonde, e soprattutto di abituare il cliente ad un prezzo inferiore, il che rende difficile poi ritornare ai livelli di prezzo normali. Gli interventi non-causali, quindi, realizzano spesso più un danno che un risultato (al di là delle apparenze del momento).

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online