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125 Domande di Coaching per la Crescita Personale

Domande di Coaching – Ricerca di Sé:

  1. Qual è il tuo scopo più profondo nella vita?
  2. Cosa ti rende unico rispetto agli altri?
  3. Quali sono i tuoi valori più profondi?
  4. In che modo definisci il successo personale?
  5. Quali sono le tue passioni e come le stai coltivando?
  6. Come descriveresti la tua identità in questo momento?
  7. Quali sono i tuoi punti di forza e come li utilizzi?

Domande di Coaching – Obiettivi e Realizzazione Personale:

  1. Quali sono i tuoi obiettivi a breve termine?
  2. Cosa ti impedisce di raggiungere i tuoi obiettivi attuali?
  3. Quali abitudini possono aiutarti a raggiungere i tuoi obiettivi?
  4. Come gestisci i fallimenti e le delusioni?
  5. Quali risorse ti aiutano a raggiungere i tuoi obiettivi?

Domande di Coaching – Relazioni Interpersonali:

  1. Quali sono le tue relazioni più significative?
  2. Come contribuisci positivamente alle tue relazioni?
  3. In che modo affronti i conflitti nelle relazioni?
  4. Cosa significa per te avere relazioni sane?

Domande di Coaching – Comunicazione Efficace:

  1. Come migliorare la tua capacità di ascolto attivo?
  2. Come puoi comunicare in modo più chiaro e assertivo?
  3. In che modo gestisci i malintesi nelle comunicazioni?
  4. Quali sono i tuoi filtri comunicativi e come influiscono?

Domande di Coaching – Gestione del Tempo e Priorità:

  1. Come organizzi il tuo tempo in modo efficace?
  2. Come identifichi le attività prioritarie nella tua vita?
  3. Quali sono le tue sfide principali nella gestione del tempo?
  4. In che modo puoi creare una routine più equilibrata?

Domande di Coaching – Crescita Professionale:

  1. Quali sono i tuoi obiettivi di carriera a lungo termine?
  2. Come sviluppi costantemente le tue competenze professionali?
  3. Quali sfide affronti nel tuo percorso professionale?
  4. Come puoi bilanciare crescita personale e carriera?

Domande di Coaching – Benessere Fisico e Mentale:

  1. Come mantieni un equilibrio tra lavoro e salute mentale?
  2. Quali abitudini quotidiane contribuiscono al tuo benessere fisico?
  3. In che modo gestisci lo stress nella tua vita?
  4. Come riconosci i segnali di esaurimento mentale?

Domande di Coaching – Creatività e Innovazione:

  1. Come stimoli la tua creatività nella vita quotidiana?
  2. Quali strategie adotti per risolvere problemi in modo innovativo?
  3. In che modo puoi incoraggiare la creatività negli altri?

Domande di Coaching – Autoapprendimento:

  1. Quali sono le tue aree di interesse per l’apprendimento continuo?
  2. Come mantieni la tua curiosità e sete di conoscenza?
  3. Quali sono i tuoi libri o risorse preferite per l’autoapprendimento?
  4. Come misuri il tuo progresso nell’apprendimento?

Domande di Coaching – Leadership e Influenza:

  1. Quali sono le tue qualità di leadership?
  2. In che modo influenzi positivamente gli altri?
  3. Come affronti situazioni di leadership sfidanti?

Domande di Coaching – Gestione del Cambiamento:

  1. Come affronti i cambiamenti nella tua vita?
  2. Quali sono le tue strategie per gestire il cambiamento?
  3. In che modo il cambiamento ti ha plasmato come persona?

Domande di Coaching – Gratitude e Mindfulness:

  1. Come coltivi la gratitudine nella tua vita quotidiana?
  2. Quali pratiche quotidiane di mindfulness hai?
  3. In che modo la gratitudine influenza il tuo benessere?

Domande di Coaching – Motivazione e Passione:

  1. Qual è la tua fonte principale di motivazione?
  2. Come mantieni la tua passione e l’entusiasmo?
  3. Cosa fai quando perdi la motivazione?

Domande di Coaching – Risoluzione dei Problemi:

  1. Quali sono le tue strategie per risolvere i problemi?
  2. Come affronti le sfide inaspettate?
  3. In che modo coinvolgi gli altri nella risoluzione dei problemi?

Domande di Coaching – Equilibrio Vita Lavorativa e Vita Privata:

  1. Come bilanci la tua vita lavorativa con quella personale?
  2. Quali sono le tue regole per mantenere l’equilibrio?
  3. In che modo coinvolgi la tua famiglia nelle tue attività?

Domande di Coaching – Autostima e Autocompassione:

  1. Come gestisci i momenti di auto-dubbio?
  2. Quali strategie adotti per coltivare l’autocompassione?
  3. In che modo l’autostima influenza le tue decisioni?

Domande di Coaching – Decisioni e Assunzione di Responsabilità:

  1. Come prendi decisioni importanti nella tua vita?
  2. In che modo assumi la responsabilità delle tue azioni?
  3. Quali sono le tue paure legate all’assunzione di responsabilità?

Domande di Coaching – Abitudini Positive:

  1. Quali abitudini positive hai attualmente?
  2. Come puoi sviluppare nuove abitudini positive?
  3. Quali sono le abitudini che vuoi eliminare?

Domande di Coaching – Finanze Personali:

  1. Come gestisci le tue finanze personali?
  2. Quali obiettivi finanziari vuoi raggiungere nel prossimo anno?
  3. In che modo le tue abitudini finanziarie riflettono i tuoi valori?

Domande di Coaching – Apprendimento Continuo:

  1. Quali sono le tue modalità preferite di apprendimento continuo?
  2. Come hai incorporato l’apprendimento continuo nella tua vita quotidiana?
  3. Quali sono le tue sfide nell’apprendimento continuo?

Domande di Coaching – Confronto e Competizione:

  1. Come affronti il confronto con gli altri?
  2. Quali sono le tue strategie per gestire la competizione?
  3. In che modo il confronto ti influenza positivamente o negativamente?

Domande di Coaching – Sogni e Aspirazioni:

  1. Cosa sogni di realizzare nei prossimi cinque anni?
  2. Quali sono i passi che puoi fare ora per avvicinarti a quei sogni?
  3. In che modo le tue aspirazioni influenzano le tue decisioni quotidiane?

Domande di Coaching – Riconoscimento e Gratificazione:

  1. Come cerchi riconoscimenti per i tuoi successi?
  2. Quali sono le tue fonti di gratificazione nella vita quotidiana?
  3. In che modo riconosci gli sforzi degli altri?

Domande di Coaching – Capacità di Adattamento:

  1. Come gestisci il cambiamento e l’incertezza?
  2. Quali sono i tuoi punti di forza nell’adattarti a nuove situazioni?
  3. In che modo la tua flessibilità ti ha aiutato a superare le sfide?

Domande di Coaching – Passioni Ignorate:

  1. C’è qualcosa che hai sempre voluto fare ma che hai ignorato? Perché?
  2. Quali sono le ragioni che ti impediscono di perseguire le tue passioni?

Domande di Coaching – Relazione con il Denaro:

  1. Qual è la tua relazione emotiva con il denaro?
  2. In che modo questa relazione influisce sulle tue decisioni finanziarie?
  3. Quali sono i tuoi obiettivi finanziari a lungo termine?

Domande di Coaching – Empatia e Compassione:

  1. Come mostri empatia verso gli altri?
  2. Quali azioni quotidiane puoi intraprendere per coltivare la compassione?
  3. Come gestisci le situazioni in cui la tua empatia può essere una sfida?

Domande di Coaching – Visione del Futuro:

  1. Qual è la tua visione ideale per il futuro?
  2. In che modo ti prepari per il futuro che desideri?
  3. Quali sono le tue preoccupazioni principali riguardo al futuro?

Domande di Coaching – Gestione dello Stress:

  1. Quali sono le tue strategie principali per gestire lo stress?
  2. In che modo riconosci i segnali precoci di stress e cosa fai al riguardo?
  3. Come mantenere la calma durante situazioni di grande pressione?

Domande di Coaching – Lavoro di Squadra:

  1. Qual è il tuo ruolo in un team?
  2. Come supporti gli altri membri del tuo team?
  3. Quali sono le tue sfide nella collaborazione?

Domande di Coaching – Legami Familiari:

  1. In che modo influenzi positivamente la tua famiglia?
  2. Quali sono le tue responsabilità familiari più importanti?
  3. Come gestisci le dinamiche familiari complesse?

Domande di Coaching – Autocelebrazione:

  1. Come celebri i tuoi successi, grandi e piccoli?
  2. Quali sono i tuoi rituali di autocelebrazione?
  3. In che modo riconosci i tuoi progressi personali?

Domande di Coaching – Innovazione Personale:

  1. Come stimoli l’innovazione nella tua vita quotidiana?
  2. Quali cambiamenti innovativi puoi introdurre nella tua routine?
  3. Come affronti la paura dell’ignoto?

Domande di Coaching – Coerenza con i Valori:

  1. Come riflettono i tuoi comportamenti i tuoi valori fondamentali?
  2. Quali passi puoi fare per vivere in modo più coerente con i tuoi valori?
  3. Cosa accade quando i tuoi valori entrano in conflitto con gli altri?

Domande di Coaching – Apprezzamento del Presente:

  1. In che modo puoi essere più consapevole del momento presente?
  2. Quali pratiche quotidiane di gratitudine puoi incorporare nella tua vita?
  3. Come eviti di perderti nel passato o di preoccuparti troppo per il futuro?

Domande di Coaching – Vulnerabilità:

  1. In che modo mostri vulnerabilità nelle tue relazioni?
  2. Cosa ti impedisce di essere più aperto riguardo ai tuoi sentimenti?
  3. Come gestisci la paura di essere giudicato dagli altri?

Domande di Coaching – Intelligenza Emotiva:

  1. Quanto sei consapevole delle tue emozioni e di come influenzano il tuo comportamento?
  2. Come gestisci le emozioni intense come la rabbia o la tristezza?
  3. Quali sono i tuoi punti di forza nell’intelligenza emotiva?

Domande di Coaching – Futuro del Lavoro e Carriera:

  1. Come immagini il tuo ruolo nel futuro del lavoro?
  2. Quali competenze ritieni saranno fondamentali per il futuro?
  3. In che modo puoi prepararti per affrontare le sfide future nel tuo campo?

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande

Domanda

Una domanda è un’espressione che serve come richiesta di informazioni . Talvolta le domande vengono distinte dagli interrogativi , che sono le forme grammaticali tipicamente utilizzate per esprimerle. Le domande retoriche , ad esempio, hanno una forma interrogativa ma non possono essere considerate domande in buona fede , poiché non è prevista una risposta.

Le domande sono disponibili in diverse varietà. Le domande polari sono quelle come l’ esempio inglese “Is this a polar question?”, a cui si può rispondere con “sì” o “no”. Domande alternative come “È una domanda polare o una domanda alternativa?” presentare un elenco di possibilità tra cui scegliere. Domande aperte come “Che razza di domanda è questa?” consentire molte possibili soluzioni.

Le domande sono ampiamente studiate in linguistica e filosofia del linguaggio . Nel sottocampo della pragmatica , le domande sono considerate come atti illocutivi che sollevano una questione da risolvere nel discorso . Negli approcci alla semantica formale come la semantica alternativa o la semantica curiosa , le domande sono considerate come denotazioni di interrogativi e sono tipicamente identificate come insiemi di proposizioni che rispondono ad esse.

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Definizioni

Linguisticamente, una domanda può essere definita su tre livelli.

A livello semantico , una domanda è definita dalla sua capacità di stabilire un insieme di risposte logicamente possibili. [1]

A livello pragmatico , una domanda è una categoria illocutoria di atto linguistico che cerca di ottenere informazioni dal destinatario. [1]

A livello di sintassi , l’ interrogativo è un tipo di frase tipicamente associata alle domande e definita da alcune regole grammaticali (come l’ inversione soggetto-ausiliario in inglese) che variano a seconda della lingua.

Alcuni autori confondono queste definizioni. Sebbene le domande prototipiche (come “Come ti chiami?”) soddisferanno tutte e tre le definizioni, la loro sovrapposizione non è completa. Ad esempio “Vorrei sapere il tuo nome”. soddisfa la definizione pragmatica, ma non quella semantica o sintattica. Tali disallineamenti di forma e funzione sono chiamati atti linguistici indiretti .

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Usi

L’uso principale delle domande è quello di sollecitare informazioni dalla persona a cui ci si rivolge indicando l’informazione che l’oratore (o lo scrittore) desidera. [2]

Una leggera variante è la domanda display , in cui al destinatario viene chiesto di produrre informazioni che sono già note a chi parla. [3] Ad esempio, un insegnante o un conduttore di un gioco potrebbe chiedere “Qual è la capitale dell’Australia?” per testare la conoscenza di uno studente o di un concorrente.

Una domanda di direzione è quella che cerca un’istruzione piuttosto che informazioni fattuali. Si differenzia da una tipica domanda (“informazione”) in quanto la risposta caratteristica è una direttiva piuttosto che un’affermazione dichiarativa. [1] Ad esempio:

A: Quando dovrei aprire il tuo regalo?

B: Aprilo adesso.

Le domande possono anche essere utilizzate come base per una serie di atti linguistici indiretti. Ad esempio, la frase imperativa “Passa il sale”. può essere riformulato (in modo un po’ più educato) come:

Passeresti il sale?

Che ha la forma di un interrogativo, ma la forza illocutoria di una direttiva.

Il termine domanda retorica può essere applicato colloquialmente a una serie di usi di domande in cui l’oratore non cerca o si aspetta una risposta (forse perché la risposta è implicita o ovvia), come ad esempio:

Ha perso la testa?

Perché vi ho portato tutti qui? Lasciatemi spiegare…

Sono chiusi? Ma il sito web diceva che era aperto fino alle 10.

Domande caricate (un caso speciale di domande complesse ), come “Hai smesso di picchiare tua moglie?” può essere usato come scherzo o per mettere in imbarazzo il pubblico, perché qualsiasi risposta che una persona potrebbe dare implicherebbe più informazioni di quelle che sarebbe disposta ad affermare.

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Classificazione semantica

La principale classificazione semantica delle domande è in base all’insieme di risposte logicamente possibili che ammettono. Una domanda aperta, come “Come ti chiami?”, consente un numero indefinito di risposte possibili. Una domanda chiusa ammette un numero finito di possibili risposte. Le domande chiuse possono essere ulteriormente suddivise in domande sì-no (come “Hai fame?”) e domande alternative (come “Vuoi marmellata?”).

La distinzione tra queste classi tende ad essere grammaticalizzata. In inglese, gli interrogativi aperti e chiusi sono tipi di clausole distinti tipicamente associati rispettivamente a domande aperte e chiuse.

Domande si No

Articolo principale: Sì, nessuna domanda

Una domanda sì-no (chiamata anche domanda polare , [1] o domanda generale [4] ) chiede se alcune affermazioni sono vere. In linea di principio si può rispondere con un “sì” o un “no” (o parole o espressioni simili in altre lingue). Gli esempi includono “Prendi lo zucchero?”, “Dovrebbero essere creduti?” e “Sono la persona più sola al mondo?”

Domande alternative

Una domanda alternativa [5] presenta due o più scelte discrete come possibili risposte presupponendo che solo una di esse sia vera. Per esempio:

Sostieni Inghilterra, Irlanda o Galles?

La risposta canonica prevista a tale domanda sarebbe “Inghilterra”, “Irlanda” o “Galles”. Una domanda così alternativa presuppone che il destinatario sostenga una di queste tre squadre. Il destinatario può cancellare questo presupposto con una risposta del tipo “Nessuno”.

In inglese, le domande alternative non si distinguono sintatticamente dalle domande sì-no. A seconda del contesto, la stessa domanda può avere entrambe le interpretazioni:

  • Questi muffin hanno burro o margarina? [Sto seguendo una dieta a basso contenuto di grassi.]
  • Questi muffin hanno burro o margarina? [Ho visto che la ricetta dice che potresti usarli entrambi.]

Nel parlato, questi sono distinguibili per intonazione.

Domande aperte

Una domanda aperta (detta anche domanda variabile , [1] domanda non polare , o domanda speciale [4] ), ammette un numero indefinito di risposte possibili. Per esempio:

Dove dovremmo andare a pranzo?

In inglese, questi sono tipicamente incorporati in una frase interrogativa chiusa, che utilizza una parola interrogativa come quando , chi o cosa . Queste sono anche chiamate parole wh , e per questo motivo le domande aperte possono anche essere chiamate domande wh .

Formazione delle domande

Le domande possono essere contrassegnate da una combinazione di ordine delle parole, morfologia , parole interrogative e intonazione . Laddove le lingue hanno uno o più tipi di proposizioni tipicamente utilizzate per formare domande, sono chiamate proposizioni interrogative . Le domande aperte e chiuse sono generalmente distinte grammaticalmente, con le prime identificate dall’uso di parole interrogative .

In inglese , tedesco , francese e varie altre lingue (per lo più europee), entrambe le forme di interrogativo sono soggette a un’inversione dell’ordine delle parole tra verbo e soggetto. In inglese, l’inversione è limitata ai verbi ausiliari , che a volte richiedono l’aggiunta dell’ausiliare do , come in:

  1. Sam legge il giornale. – Dichiarazione
  2. Sam legge il giornale? – Sì-no domanda formata utilizzando l’inversione e do -support

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Domande aperte

Le domande aperte sono formate dall’uso di parole interrogative come, in inglese, quando , cosa o quale . Questi rappresentano variabili che rappresentano le informazioni sconosciute ricercate. Possono anche combinarsi con altre parole per formare frasi interrogative, come ad esempio in quali scarpe :

Quali scarpe dovrei indossare alla festa?

In molte lingue, compreso l’inglese e la maggior parte delle altre lingue europee, la frase interrogativa deve (con alcune eccezioni come le domande eco ) apparire all’inizio della frase, un fenomeno noto come wh-fronting . In altre lingue, l’interrogativo appare nella stessa posizione che avrebbe in una corrispondente frase dichiarativa ( in situ ). [6]

Una domanda può includere più variabili come in:

Di chi sono i regali in quali scatole?

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Domande polari

Lingue diverse possono utilizzare meccanismi diversi per distinguere le domande polari (“sì-no”) dalle dichiarazioni dichiarative (oltre al punto interrogativo ). L’inglese è una delle poche lingue che utilizzano l’ordine delle parole. Un altro esempio è il francese:

francese Traduzione
Dichiarativo Vous avez tuo un oiseau. Hai ucciso un uccello.
Domanda polare Avez-vous tué un oiseau? Hai ucciso un uccello?

Dal punto di vista linguistico, il metodo più comune per contrassegnare una domanda polare è con una particella interrogativa , [7] come il giapponese か ka , mandarino 吗 ma e polacco strano .

Altre lingue usano la morfologia verbale, come il suffisso verbale -n nella lingua Tunica .

Delle lingue esaminate nell’Atlante mondiale delle strutture linguistiche , solo una, Atatláhuca-San Miguel Mixtec , non ha alcuna distinzione tra dichiarativi e domande polari. [7]

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Intonazione

La maggior parte delle lingue ha uno schema intonazionale caratteristico delle domande (spesso comporta un tono alzato alla fine, come in inglese).

In alcune lingue, come l’italiano , l’intonazione è l’unica distinzione. [ citazione necessaria ]

In alcune lingue, come l’inglese o il russo, un dichiarativo ascendente è una frase che è sintatticamente dichiarativa ma è intesa come una domanda mediante l’uso di un’intonazione ascendente. Ad esempio, “Non lo usi?”

D’altra parte, ci sono dialetti inglesi (inglese della California meridionale, inglese neozelandese) in cui i dichiarativi ascendenti (l’ ” uptalk “) non costituiscono domande. [8] Tuttavia è accertato che in inglese esiste una distinzione tra dichiarativi ascendenti assertivi e dichiarativi ascendenti inquisitivi , distinti dalla loro prosodia .

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Richiesta di conferma e presupposizione del relatore

Le domande possono essere formulate come una richiesta di conferma di un’affermazione che l’interrogante ritiene già vera.

Una tag question è una domanda polare formata dall’aggiunta di un frammento interrogativo (il “tag”) a una clausola (tipicamente dichiarativa). Per esempio:

Tu sei John, vero?

Prendiamo qualcosa da bere, ok?

Ti sei ricordato delle uova, vero?

il presupposto del parlante quando costituisce una domanda complessa . Considera una dichiarazione

(A) Qualcuno ha ucciso il gatto

e diverse domande ad esso correlate.

(B) John ha ucciso il gatto, vero? (domanda tag)

(C) È stato John a uccidere il gatto?

Rispetto a:

(D) Chi ha ucciso il gatto?

A differenza di (B), le domande (C) e (D) incorporano il presupposto che qualcuno abbia ucciso il gatto.

La domanda (C) indica l’impegno del parlante nei confronti della verità dell’affermazione secondo cui qualcuno ha ucciso il gatto, ma nessun impegno sul fatto che John lo abbia fatto o meno. [9]

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Punteggiatura

Nelle lingue scritte in latino , cirillico o in altri tipi di scrittura, un punto interrogativo alla fine di una frase identifica le domande scritte. Come nel caso dell’intonazione, questa caratteristica non è limitata alle frasi che hanno la forma grammaticale delle domande: può anche indicare la funzione pragmatica della frase .

In spagnolo all’inizio viene posto un ulteriore segno invertito : ¿Cómo está usted? “Come stai?”. Una variante poco comune del punto interrogativo è l’ interrobang (‽), che combina la funzione del punto interrogativo e del punto esclamativo .

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Risposte

Vedi anche: Domanda sì-no § Risposte e Puntini di sospensione della risposta

La grammatica Cambridge della lingua inglese distingue tra una risposta (essendo un membro dell’insieme di risposte logicamente possibili, come delineato nel § Classificazione semantica ) e una risposta (qualsiasi affermazione fatta dal destinatario in risposta alla domanda). [1] Ad esempio, le seguenti sono tutte le possibili risposte alla domanda “Alice è pronta a partire?”

  1. (a) Sì.

(b) È pronta.

(c) No, non lo è.

  1. (a) Non lo so.

(b) Perché lo chiedi?

(c) Potrebbe esserlo.

iii.(a) Sta ancora cercando il suo portafoglio.

(b) Non ti aspettava prima delle 5 in punto.

(c) Ti farò sapere quando sarà pronta.

Solo le risposte [i] sono risposte nel senso Cambridge. Le risposte in [ii] evitano di impegnarsi in una risposta o no . Le risposte in [iii] implicano tutte una risposta no , ma non sono logicamente equivalenti a no . (Ad esempio, in [iiib], l’intervistato può cancellare l’implicatura aggiungendo un’affermazione del tipo: “Fortunatamente, ha preparato tutto in anticipo.”)

In modo simile, Belnap e Steel (1976) definiscono il concetto di risposta diretta :

Una risposta diretta a una determinata domanda è un pezzo di linguaggio che risponde completamente, ma proprio completamente, alla domanda… Ciò che è cruciale è che sia effettivamente possibile decidere se un pezzo di linguaggio è una risposta diretta a una domanda specifica… Ad ogni domanda chiara corrisponde un insieme di affermazioni che rispondono direttamente . … Una risposta diretta deve fornire una soluzione indiscutibilmente definitiva alla questione. [10]

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Rispondere a domande negative

Articolo principale: sì e no

Le “domande negative” sono frasi interrogative che contengono la negazione nella loro frase, come “Non dovresti lavorare?” Questi possono avere modi diversi di esprimere affermazione e negazione rispetto alla forma standard della domanda e possono creare confusione, poiché a volte non è chiaro se la risposta debba essere l’opposto della risposta alla domanda non negata. Ad esempio, se uno non ha il passaporto, entrambi “Hai il passaporto?” e “Non hai il passaporto?” ricevono una risposta corretta con “No”, nonostante apparentemente pongano domande opposte. Le lingue giapponese e coreana evitano questa ambiguità. Rispondere “No” alla seconda di queste in giapponese o coreano significherebbe “ho un passaporto”.

Una domanda ambigua simile in inglese è “Ti dispiace se…?” La persona che risponde può rispondere in modo inequivocabile “Sì, mi dispiace”, se gli dispiace, o “No, non mi dispiace”, se non gli dispiace, ma una semplice risposta “No” o “Sì” può creare confusione , poiché un singolo “No” può sembrare un “Sì, mi dispiace” (come in “No, per favore non farlo”), e un “Sì” può sembrare un “No, non mi dispiace” ” (come in “Sì, vai avanti”). Un modo semplice per aggirare questa confusione sarebbe porre una domanda non negativa, come “Va bene per te se…?”

Alcune lingue hanno particelle diverse (ad esempio il francese si “, il tedesco doch ” o lo svedese , il danese e il norvegese jo “) per rispondere alle domande negative (o alle affermazioni negative) in modo affermativo; forniscono un mezzo per esprimere contraddizione.

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Domande indirette

Oltre alle domande dirette (come Dove sono le mie chiavi? ), esistono anche domande indirette (chiamate anche clausole di contenuto interrogativo ), come dove sono le mie chiavi . Queste sono usate come proposizioni subordinate in frasi come “Mi chiedo dove sono le mie chiavi” e “Chiedigli dove sono le mie chiavi”. Le domande indirette non seguono necessariamente le stesse regole grammaticali delle domande dirette. [11] Ad esempio, in inglese e in alcune altre lingue, le domande indirette si formano senza inversione di soggetto e verbo (confronta l’ordine delle parole in “dove sono?” e “(mi chiedo) dove sono”). Le domande indirette possono anche essere soggette ai cambiamenti di tempo e ad altri cambiamenti che si applicano generalmente al discorso indiretto .

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Imparare

Le domande vengono utilizzate dalla fase più elementare dell’apprendimento alla ricerca originale. Nel metodo scientifico , una domanda spesso costituisce la base dell’indagine e può essere considerata una transizione tra la fase di osservazione e quella di ipotesi. Gli studenti di tutte le età utilizzano le domande nell’apprendimento degli argomenti e la capacità di far sì che gli studenti creino domande “investigabili” è una parte centrale dell’educazione all’indagine . Il metodo socratico di mettere in discussione le risposte degli studenti può essere utilizzato da un insegnante per condurre lo studente verso la verità senza istruzioni dirette e aiuta anche gli studenti a trarre conclusioni logiche.

Un uso diffuso e accettato delle domande in un contesto educativo è la valutazione delle conoscenze degli studenti attraverso gli esami .

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Origini

Le scimmie acculturate Kanzi , Washoe , Sarah e alcuni altri che sono stati sottoposti a estesi programmi di formazione linguistica (con l’uso di gesti e altre forme visive di comunicazione) hanno imparato con successo a rispondere a domande e richieste piuttosto complesse (comprese le parole interrogative “chi”, “cosa” , “dove”), anche se finora non sono riusciti a imparare a porre domande da soli . Ad esempio, David e Anne Premack hanno scritto: “Sebbene lei [Sarah] abbia capito la domanda, lei stessa non ha fatto alcuna domanda – a differenza della bambina che fa domande interminabili, come “Che cosa? Chi fa rumore? Quando papà torna a casa? Io”. andare a casa della nonna? Dove il cucciolo? Sarah non ha mai ritardato la partenza del suo allenatore dopo le lezioni chiedendogli dove andava, quando sarebbe tornata o qualsiasi altra cosa”. [12] La capacità di porre domande viene spesso valutata in relazione alla comprensione delle strutture sintattiche . È ampiamente accettato che le prime domande vengano poste dagli esseri umani durante la prima infanzia, nella fase presintattica di una parola dello sviluppo del linguaggio , con l’uso dell’intonazione della domanda . [13]

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Vedi anche

Domande di Coaching – Approfondimenti sulle domande – Riferimenti

  1. ^ Vai a: aB C D e f Huddleston, Rodney e Geoffrey K. Pullum. (2002) La grammatica Cambridge della lingua inglese . Cambridge: Cambridge University Press. ISBN 0-521-43146-8 .
  2. ^Searle, J (1969). Atti linguistici. Cambridge: Cambridge University Press .
  3. ^Searle, J (1969). Atti linguistici. Cambridge: Cambridge University Press. P. 69.
  4. ^ Vai a: ab William Chisholm, Louis T. Milic, John AC Greppin. Interrogatività. – Casa editrice John Benjamin, 1982.
  5. ^Loos, Eugene E.; Anderson, Susan; Giorno, Dwight H. Jr.; Giordania, Paolo C.; Wingate, J. Douglas (a cura di). “Qual è una domanda alternativa?” . Glossario dei termini linguistici. SIL Internazionale.
  6. ^“Capitolo 93: Posizione delle frasi interrogative nelle domande di contenuto” . Atlante mondiale delle strutture linguistiche. Estratto 15 aprile il 2021.
  7. ^ Vai a: aB “Capitolo 116: Domande polari” . Atlante mondiale delle strutture linguistiche. Estratto 15 aprile il 2021.
  8. ^Paul Warren (2017) “L’interpretazione della variabilità prosodica nel contesto dei segnali sociofonetici di accompagnamento”, Laboratory Phonology: Journal of the Association for Laboratory Phonology, 8(1), 11. doi : 5334/labphon.92 (Documento presentato al Terzo workshop Approcci sperimentali e teorici alla prosodia)
    • Maggiori informazioni su uptalk di questo autore: Paul Warren, Uptalk: the fenomeno dell’intonazione crescente , Cambridge University Pres s. 2016, ISBN978-1107123854 (copertina rigida), ( edizione kindle )
  9. ^Stanley Peters , “Impegni dei relatori: presupposizione”, Atti della conferenza sulla semantica e la teoria linguistica (SALT) 26: 1083–1098, 2016, ( (scarica PDF) )
  10. ^Nuel Belnap e TB Steel Jr. (1976) La logica delle domande e delle risposte , pagine 3, 12 e 13, Yale University Press ISBN 0-300-01962-9
  11. ^“Domande indirette – Lezione di grammatica inglese – ELC” . ELC – Centro di lingua inglese. 27-11-2017. Estratto il 24/01/2018.
  12. ^Premack, David; Premack, Ann J. (1983). La mente di una scimmia. New York, Londra: WW Norton & Company . P. 29.
  13. ^Cristallo, David (1987). L’Enciclopedia del linguaggio di Cambridge. Cambridge. Pag. 241, 143: Università di Cambridge

Domande di Coaching – semantica articolo

  • Domande di coaching
  • Le migliori domande di coaching
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  • Apprendimento continuo
  • Equilibrio tra dare e ricevere
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  • Riconoscimento delle opportunità
  • Cultura dell’apprendimento
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  • Responsabilità personale
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  • Intuizione
  • Empatia
  • Orientamento al risultato
  • Benessere fisico
  • Auto-compassione
  • Crescita emotiva
  • Auto-riflessione
  • Mindfulness
  • Sviluppo delle competenze
  • Apprezzamento del proprio valore
  • Respiro consapevole
  • Auto-motivazione
  • Riconoscimento delle proprie forze
  • Autocelebrazione
  • Chiarezza di intenti
  • Gratitudine
  • Connessione con il proprio scopo
  • Consapevolezza del corpo
  • Identificazione dei blocchi mentali
  • Sviluppo delle relazioni
  • Responsabilità finanziaria
  • Equilibrio tra fare e essere
  • Ottimismo
  • Sviluppo delle abilità sociali
  • Innovazione personale
  • Pensiero critico
  • Atteggiamento positivo
  • Orientamento al futuro
  • Imparare dagli errori
  • Adattabilità
  • Gratificazione ritardata
  • Espansione della zona di comfort
  • Autenticità nel lavoro
  • Trasparenza
  • Collaborazione
  • Visione a lungo termine
  • Identificazione dei talenti
  • Apprezzamento delle piccole cose
  • Sviluppo della resilienza emotiva
  • Intenzionalità
  • Crescita spirituale
  • Auto-miglioramento continuo
  • Cultura della gratitudine
  • Sostenibilità personale
  • Capacità di apprendimento dalle critiche
  • Rispetto per sé stessi e per gli altri
  • Conoscenza delle proprie debolezze
  • Flessibilità mentale
  • Stabilità emotiva
  • Comprendere il significato della vita
  • Conoscenza del proprio stile di apprendimento
  • Sviluppo della pazienza
  • Curiosità
  • Sintonia con le proprie emozioni
  • Crescita finanziaria personale
  • Apertura al cambiamento
  • Controllo delle abitudini distruttive
  • Mentalità di crescita
  • Valorizzazione dell’equilibrio mentale
  • Valorizzazione delle esperienze di apprendimento.

La riformulazione è una tecnica di ascolto attivo che permette di rielaborare il contenuto di un messaggio.

Per la precisione si tratta di un gruppo di tecniche che consistono in interventi che non interpretano mai le parole dette dall’interlocutore.

In pratica l’ascoltatore rimanda all’interlocutore dei segnali che, come veri e propri specchi, riflettono ciò che egli ha appena detto, senza alterare la costruzione del discorso o la situazione psicologica in cui esso avviene.

La riformulazione

Cosa esprime la riformulazione:

  • la capacità di ascolto e accoglienza;
  • la capacità di focalizzarsi sull’interlocutore;
  • il rispetto completo per il suo vissuto;
  • la capacità di facilitare la sua libera comunicazione.

Le tecniche di rispecchiamento sono strumenti di rinforzo del sé dell’altro. Hanno infatti il potere di creare un clima socio-affettivo caloroso e rassicurante. Tale clima consente alla persona che sta parlando di ricevere continui feedback che lo inducono a riflettere su di sé, sulle affermazioni ed i pensieri espressi. L’interlocutore si sente realmente ascoltato ed accettato. [1]

MECCANISMI DI ASCOLTO ATTIVO PER ACCERTARSI CHE LA COMPRENSIONE SIA CORRETTA

1.Riformulazione: riformulo quanto ho capito e lascio che l’interlocutore mi corregga su quello che diverge

2.Sintesi e recap: Ricapitolo quanto ho capito in sintesi e chiedo se è corretto.

3.Riverbero o eco: una riformulazione più ampia che prende intere categorie, tra queste:

  • Riverbero dei dati: fare la somma di tutti i dati sentiti,
  • Riverbero emotivo: fare la somma di tutte le emozioni percepite e a cosa sono associate
  • Riverbero della mappa di credenze: fare la somma di tutte le credenze percepite, che restituisce il “modo di vedere le cose” della persona.[2]

[1] https://brescia.unicusano.it/universita/tecniche-di-ascolto-attivo/

[2]  TrevisaniD. Ascolto attivo ed empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Franco Angeli, Milano, 2019

Temi e Keywords dell’articolo:

  • Riformulazione
  • Ascolto attivo
  • Tecniche di ascolto attivo
  • Tecniche di rispecchiamento
  • Capacità di ascolto
  • Capacità di focalizzazione
  • Feedback
  • Ascolto
  • Accettazione
  • Sintesi
  • Recap
  • Riverbero
  • Riverbero dei dati
  • Riverbero emotivo
  • Riverbero della mappa di credenze

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Strategie di Marketing. Il bilanciamento mentale nell’acquisto

L’analisi delle pulsioni si pone l’obiettivo di capire quali leve decisionali scattano, portando un soggetto a separarsi da un valore (il proprio denaro, il proprio tempo, ed altri valori per sé importanti) in cambio di altro (una prestazione, un bene, un servizio, un favore). L’analisi dei meccanismi mentali che avvengono durante una scelta deve portarci a riflettere su quali siano le aree del pensiero umano coinvolte nella decisione. 

I primi risultati delle nostre ricerche evidenziano due fenomeni:

  • il costo di acquisto reale è molto diverso dal costo monetario: il costo di acquisto è una sommatoria di costi economici e costi psicologici – correlati all’acquisto – che il cliente anticipa, percepisce, teme o prevede.
  • Il rientro percepito derivante dall’acquisto è molto diverso dal bene o proprietà realmente acquisito: anche in questo caso sono presenti (con forza maggiore o minore) flussi di valore psicologico che influenzano la percezione di valore del bene o servizio acquistato. Pertanto, anche il rientro totale dell’acquisto è una somma: beni materiali (o servizi) più rientri psicologici di varia natura.

Possiamo quindi parlare di un Costo Totale di Separazione (CTS: sommatoria del denaro o beni ceduti + costi psicologici connessi all’acquisto) e di un Rientro Totale dell’Acquisto (RT, sommatoria dei rientri fisici e di servizio + rientri psicologici).

In generale, affinché avvenga un acquisto, il costo totale di separazione (separazione da denaro + costi psicologici) deve essere inferiore al rientro totale dell’operazione (rientro fisico o in servizi + rientro psicologico).

Strategie di Marketing. Il costo psicologico latente

Acquistare non richiede unicamente un esborso in denaro. Spesso un acquisto si carica di costi psicologici nascosti che ne aumentano il gravame.

Costo Totale :

  • Costo Monetario / Economico legato all’acquisto
  • Costo Psicologico legato all’acquisto ( Personale e Sociale/normativo)

Un costo psicologico può essere di natura relazionale e d’immagine. Il buyer che decide di passare al nuovo sistema operativo potrebbe venire giudicato dai dipendenti come incapace di programmare (Perché mi avete fatto fare un corso su questo sistema operativo, se poi appena appreso non lo devo utilizzare, e devo iniziare da capo? – potrebbe chiedersi il dipendente). Di questa reazione negativa attesa il buyer può sentire con forza il peso, e decidere di non acquistare, soprattutto temendo le ripercussioni nell’ambiente circostante, anche se la valutazione del prodotto è buona.

Un altro esempio di costo psicologico nascosto, per un ecologista/animalista convinto, acquistare un hamburger non significa unicamente sborsare alcuni dollari, ma rifiutare a tutti i valori in cui crede. Il costo psicologico in questo caso è enormemente superiore al costo monetario. Lo stesso vale (nell’ecologista) per l’acquisto di una pelliccia, o di un’auto che consuma molto. 

I costi psicologici si dividono quindi, nella nostra prima categorizzazione, in costi psicologici personali (effetti indesiderati dell’acquisto legati ai propri valori o credenze) e in costi sociali o normativi (determinano un non-acquisto causato delle possibili reazioni negative degli altri: colleghi, amici, parenti, superiori, ecc.).

Tra i costi psicologici rientrano possibili perdite di immagine, di valori, cambiamenti di abitudini consolidate, diminuzioni di sicurezza, calo di approvazione sociale, riduzioni di qualità della vita, aumento di ansie e tensioni, e altre preoccupazioni legate in qualche modo (nella mente del cliente) all’atto di acquisto. Esse incidono sul comportamento di acquisto anche se frutto di immaginazione o basate su dati in realtà non fondati.

Questi costi psicologici nascosti possono essere il fuoco che alimenta le obiezioni di superficie. Capirli, per poi gestirli, è assolutamente necessario.

Strategie di Marketing. Il rientro psicologico latente

Così come il costo totale si carica di costi psicologici latenti, il rientro totale si può caricare di rientri psicologici addizionali. I rientri possono infatti essere sia funzionali (utilizzo il prodotto che mi mancava e mi serviva), che psicologici (l’atto di acquisto in se apre orizzonti psicologici positivi).

In altre parole, l’acquisto non viene più valutato puramente in termini di rientri fisici o funzionali, ma viene valorizzato da rientri psicologici (potere, carriera, immagine personale in azienda), e questo ne aumenta il valore. Il flusso di rientro si carica di orizzonti psicologici positivi, personali o legati alla reazione attesa dei gruppi di riferimento (sociali/normativi).

Ad esempio, l’imprenditore che acquista un sistema di e-commerce evoluto : l’acquisto rappresenta non solo un salto di qualità nel management commerciale, ma un motivo di vanto presso il gruppo di imprenditori e colleghi che lo circondano. Sostanzialmente, diventa fonte di orgoglio e autorealizzazione, facendo sentire l’imprenditore come colui che ha saputo portare l’innovazione nell’azienda. In questo caso avremo un carico addizionale di self-image che aumenta il peso del rientro psicologico totale.

L’atto di acquisto va gestito, da parte dell’operatore di marketing, ponendo attenzione sia ai costi psicologici latenti che ai rientri psicologici potenziali.

Rientro Totale :

  • Rientro Funzionale legato all’acquisto + eventuali risparmi
  • Rientro Psicologico legato all’acquisto (Personale e Sociale/normativo)

La scelta di acquistare o meno emerge da un insieme di ponderazioni relative al costo totale e al rientro totale dell’operazione di acquisto.

Formula della probabilità di acquisto in base al bilanciamento cognitivo

  • Probabilità di acquisto = (Rientro Totale Funzionale + Rientro Totale Psicologico) – (Costo di Separazione Economico + Costi Psicologici)
  • In sintesi: P.A. = (RTF + RTP) – (CSE + CP)

La comunicazione di vendita deve possedere l’abilità di :

  1. creare interesse per il rientro totale, sviluppando argomentazioni che si basino sulle utilità soggettive del cliente, e
  2. creare un posizionamento percettivo efficace del costo di separazione totale (strategia di framing dell’investimento). In altre parole, la strategia di framing deve riuscire nell’intento di minimizzare il costo psicologico per il cliente.

Il modello Costo Totale / Rientro Totale, sopra esposto, è importante per la nostra elaborazione in quanto ci permette di affrontare un problema: il focus della comunicazione (pubblicitaria o di vendita), troppo spesso incentrato sulla emissione di parole a vuoto, che non hanno relazione con le utilità soggettive del cliente, con i costi latenti e i rientri psicologici latenti.

Principio – La differenza positiva tra rientro totale psicologico e costo totale psicologico

La competitività aziendale dipende dalla capacità di:

  • capire i costi totali di separazione connessi all’acquisto (costi monetari + costi psicologici percepiti o latenti) e saperli ridurre tramite la comunicazione;
  • sviluppare comunicazione efficace in grado di esaltare l’intensità dei rientri totali (funzionali e psicologici), sapendo inserire valore psicologico nel pacchetto di offerta;
  • sviluppare comunicazione efficace relativa al bilancio totale dell’operazione di acquisto, in cui i rientri totali percepiti (funzionali e psicologici) superino i costi totali percepiti (economici e psicologici).

Strategie di Marketing. Razionalità interna nelle scelte di acquisto

Dobbiamo definitivamente abbandonare il concetto che i consumi siano razionali in funzione di qualche norma superiore o legge universale (razionalità esogena o normativa). Spesso comportamenti apparentemente stupidi assumono una razionalità interna o endogena per il sistema di valori dell’individuo, per il suo stato psicologico del momento. Ad esempio, l’atto del fumare è chiaramente irrazionale secondo ogni logica esterna, ma può essere del tutto coerente e razionale rispetto alle pulsioni interne che esperisce l’individuo (es: fumo per calmarmi, o per premiarmi, o per fare una pausa). 

Questi moventi fanno parte della razionalità interna, non della razionalità esterna. Sono intrinsecamente coerenti, anche se visti dal di fuori non hanno alcun senso. Lo stesso vale per l’atleta anabolizzato. Il desiderio di potere, la supremazia, l’apparire forti e vincenti, sono estremamente razionali nella logica interna del consumatore di anabolizzanti.

L’analisi dei moventi deve andare ben più in profondità e non accontentarsi di giudicare “irrazionali” dei comportamenti. Deve scoprire come e quando nasce il movente, quali comportamenti dimostrativi sono in corso, se ad esempio la ricerca di costruzione di un personaggio o di un’identità, oppure ancora ricercare i moventi imitativi di persone reali o personaggi mediatici (eroi), i quali hanno inconsapevolmente agito sull’individuo.

Strategie di Marketing. Acquisto e motivazione all’azione

Da qualsiasi angolatura la si osservi, la problematica dell’acquisto deve, prima o poi, essere confrontata con quella della motivazione all’azione (i fattori che spingono l’individuo ad agire). 

La teoria della motivazione vede come unità motivante di base la tensione. Gli impulsi si innestano su stati di disequilibrio percepito, che creano spinta alla risoluzione del problema. L’impulso diviene movente di acquisto nel momento in cui si crea un collegamento mentale: la percezione che un prodotto/servizio sia lo strumento risolutivo del problema. L’azione di acquisto ne è il risultato, premesso che l’individuo disponga delle risorse o decida di procurarsele.

  1. Tensione : Percezione di un disequilibrio
  2. Impulso: Ricerca di un nuovo equilibrio
  3. Movente : Identificazione strumenti di risposta
  4. Azione : Acquisto del prodotto/servizio

Sul funzionamento della mente è stato scritto molto, e le scienze cognitive sono tra le aree in più forte sviluppo, anche grazie alla ricerca dell’intelligenza artificiale e la creazione di “sistemi esperti”, veri e propri “agenti” in grado affrontare problemi offrendo soluzioni.

Nonostante tutte le ricerche recenti, vogliamo esporre un punto di vista per niente contemporaneo. Nella nostra analisi, riteniamo assai utile partire da alcune considerazioni fatte da Freud. Questo non tanto perché il nostro lavoro si ispiri alla scuola freudiana più di altre, ma perché vi sono presenti spunti di ispirazione che non possiamo ignorare. Come fanno notare Greenberg e Mitchell (1986)[1],

…all’interno del sistema di Freud, la caratteristica più saliente e costante del funzionamento dell’apparato psichico è la spinta verso la regolazione delle tensioni, altrimenti nota come principio di piacere. Lo scopo ultimo di tutti gli impulsi è una riduzione della tensione corporea, sperimentata come piacere. L’impulso originario non ha una direzione – è un quantum di tensione che aspetta di essere ridotto. Gli impulsi vengono diretti verso oggetti esterni soltanto quando questi oggetti si presentano e si dimostrano utili nella riduzione della tensione.

Le implicazioni per il nostro lavoro sono ampie. Innanzitutto, questa riflessione ci permette di osservare l’acquisto come atto di riduzione della tensione – sia a livello consumer che a livello business-to-business – una prospettiva molto interessante e ricca di potenziali per il marketing.

Nel caso non vi siano oggetti esterni che il cliente veda in qualche modo “utili” a ridurre lo stato di tensione, questo può rimanere latente, ed in questo caso si crea un bisogno non soddisfatto. Oppure, il bisogno può essere represso o eliminato (ad esempio, cambiando le proprie priorità di vita, i propri valori).

La riduzione della tensione riguarda sia acquisti positivi (es: un software che permette di allargare la gamma dei servizi aziendali) sia acquisti negativi, la cui funzione è unicamente quella di prevenire un accadimento spiacevole nel futuro (come una polizza antigrandine per un agricoltore).

Si tratta di inquadrare il fenomeno di acquisto all’interno dei vissuti psicologici dell’individuo. Se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel soggetto, avremo identificato potenziali leve di acquisto, in quanto questa tensione si tramuterà presto in un bisogno di mercato e nella ricerca di un prodotto o di un servizio. Pertanto, la ricerca di mercato sui bisogni latenti o mal soddisfatti permette di aprire grandi opportunità di marketing.

Anche nel campo delle vendite azienda-azienda, se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel buyer aziendale, avremo identificato le leve motivazionali dell’azienda acquirente, e potremo regolare di seguito (o creare appositamente) la nostra offerta.

Strategie di Marketing. Teoria e realtà negli acquisti attuati dalle imprese

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate. 

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconscie, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad, esempio, la nostra azienda può  – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Questo richiama la nostra attenzione sulla necessità, per qualsiasi azienda, di dotarsi di un metodo di vendita per lo sviluppo della competitività.

Strategie di Marketing. Moventi apparenti e moventi reali dei consumi

Quali sono i motivi reali per cui acquistiamo o ci comportiamo in un certo modo? Quali sono i moventi sottostanti per cui, ad esempio, uno studente sceglie di studiare in una biblioteca pubblica piuttosto che nella propria camera? Ed ancora, perché una specifica biblioteca universitaria (poniamo, la biblioteca di Lettere) e non un’altra (es: la biblioteca di Ingegneria)? Per ogni comportamento esistono dei moventi, delle ragioni sottostanti.

L’analisi dei moventi apparenti in un’intervista ad uno studente potrebbe portare a queste conclusioni: lo studente (Gianni) si reca in biblioteca perché lì si studia meglio. La biblioteca di lettere risponde al BSS (bisogno sottostante servito) meglio della propria camera. Offre un ambiente più silenzioso, quando servono vocabolari specialistici sono a portata di mano.

L’analisi dei moventi reali può portare a conclusioni diverse:

  • Gianni sta cercando una compagna. Sente un vuoto nella propria vita, e intuisce che sarà più facile incontrare una ragazza in un luogo pubblico piuttosto che nella propria camera. 
  • Gianni cerca anche motivazione ad impegnarsi. La visione di altre persone che studiano conforta il nostro studente e lo incoraggia. 
  • Gianni cerca anche di sentirsi a posto con se stesso. Sa benissimo che in casa accenderà lo stereo, navigherà in Internet, riceverà telefonate, questo lo distrarrà e alla fine della giornata si sentirà, come spesso gli capita, un perdente.

Per tutti questi motivi e molti altri ancora, il nostro amico Gianni frequenta quella biblioteca. Alcuni di questi moventi possono essere in qualche modo emersi dal suo subconscio, altri no, agendo in background.

Quello che interessa nella nostra analisi è capire che il bisogno sottostante servito (BSS) ha sfaccettature multiple. Accanto al BSS primario, di facciata, o motivo principale di frequentazione della struttura bibliotecaria, esistono BSS secondari (moventi nascosti) che possono persino superare la forza del BSS primario.

Implicazioni dei moventi nascosti per le strategie di marketing

Proseguiamo il nostro esempio sul marketing culturale, anche se le implicazioni di quanto esponiamo valgono in ogni settore. Quello che un manager deve capire, rispetto a queste dinamiche, è la necessità di “caricare” l’offerta costruendo un pacchetto che soddisfi sia il BSS primario che i BSS secondari. Se nella biblioteca ciò che conta è la possibilità di interazione offerta dagli ambienti circostanti, un intervento di “pulizia” (o meglio di “polizia”) che liberi gli spazi di incontro dai frequentatori distruggerebbe uno dei più forti moventi reali per cui quelle persone vi si recano.

Un intervento di marketing culturale dovrebbe cercare di costruire un ambiente di fruizione (un punto di vendita, per dirla in termini di marketing), che massimizzi la possibilità di interazione. Questa tecnica ad imbuto utilizza i BSS secondari per aumentare la domanda complessiva e superare i limiti del BSS primario.

Il concetto stesso di mission viene stravolto da questo ragionamento. Il manager della biblioteca il quale veda nella sua organizzazione unicamente un luogo di studio (mission essenziale), perderà tutte le opportunità legate al corollario di BSS secondari. Un manager culturale più attento al marketing vedrà invece in queste dinamiche una forte opportunità per trasformare la biblioteca in luogo di studio e contemporaneamente di incontro, svago, ricreazione, aggregazione, e persino di divertimento (mission allargata). 

Questo significa massimizzare l’estensione della mission organizzativa.

Il principio di base, in termini di marketing, è che :

  1. se le persone vengono attratte dai BSS secondari offerti dalla biblioteca, diversi di questi finiranno per usufruire anche della biblioteca stessa, producendo un effetto acquisitivo verso i nuovi clienti, e
  2. chi abitualmente usufruisce della biblioteca vi troverà nuove opportunità (un bar, punti gratuiti di consultazione internet, salotti, bacheche di annunci, sino ad un centro fitness), sviluppando effetto di ritenzione del cliente esistente e crescita della customer satisfaction. 

Possedere una visione allargata di marketing è un requisito indispensabile per conseguire obiettivi importanti. Questa visione allargata permette di fuoriuscire dagli stereotipi e dalle limitazioni autoimposte. 

Quando l’azienda perde il contatto con il vero movente di acquisto, e si concentra solo sul proprio prodotto, si apre un baratro, una caduta libera in cui le vendite possono precipitare. Inoltre, i concorrenti riusciranno presto a fornire un servizio o prodotto in grado di risolvere il bisogno di base meglio e più efficacemente. Il focus manageriale sul prodotto fa spesso perdere di vista il bisogno sottostante del cliente, che costituisce il vero movente di acquisto. Su questo bisogno sottostante deve concentrarsi il nuovo marketing.

La visione allargata di marketing ha effetti anche sul marketing sociale e culturale.

Di certo, l’obiettivo di allargare l’orizzonte di marketing non può essere posseduto dal burocrate aziendale, dal brontosauro dell’organizzazione, colui che – arroccato sulle proprie posizioni e timoroso del cambiamento – vede nella ri-focalizzazione della mission una perdita di potere, abitudini, e orizzonti certi.

La competitività, in questo senso, richiede l’esplorazione profonda del senso di esistere dell’impresa, e un’apertura totale a nuove modalità di soddisfazione di bisogni primari e secondari, espressi e latenti.

Un intervento di marketing culturale applicato ad una biblioteca può seguire un percorso a 3 stadi:

  1. Primo stadio troviamo l’obiettivo di incremento delle prestazioni legate all’utilità tradizionale (reperire libri, disporre di locali di studio), e quindi l’intervento sul catalogo, il miglioramento degli ambienti, ecc.
  2. Secondo stadio troviamo i progetti che si basano sulla massimizzazione delle utilità non tradizionali ma che comunque creano valore socializzante per la struttura (possibilità di incontro, ambienti per lo svago, eventi che creano spirito di gruppo e fidelizzazione alla struttura).
  3. Terzo stadio possiamo fare un ulteriore salto concettuale basato sul fatto che il motivo profondo di esistere della struttura si lega al bisogno umano di crescita culturale, di sviluppo professionale dell’individuo, e che i libri sono solo uno degli strumenti per raggiungere tale scopo.

Naturalmente, occorre evitare confusione tra i diversi obiettivi. Massimizzare i BSS secondari per una biblioteca non significa realizzare interventi che mettano in pericolo la tranquillità degli ambienti di studio, delle sale di lettura. Significa fare marketing della struttura basandosi sui bisogni reali delle persone, incrementare la customer satisfaction degli utenti, ricercare nuove modalità per far fronte sia all’esigenza reale (crescita culturale e studio) che ai bisogni secondari che vi si accompagnano (socializzazione, ecc.).

Questo approccio produce un ripensamento del rapporto tra mission e marketing.


[1] Greenberg, J. R., & Mitchell, S. A. (1986). Le relazioni oggettuali nella teoria psicanalitica. Bologna: Il Mulino. Edizione originale: Object relations in psychoanalytic theory. Cambridge: Harvard University Press, 1993.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

 

Le parole chiave di questo articolo su I moventi d’acquisto e le strategie di marketing sono

  • Marketing
  • Comunicazione
  • Cliente
  • Strategie di marketing

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il bilanciamento mentale nell’acquisto

L’analisi delle pulsioni si pone l’obiettivo di capire quali leve decisionali scattano, portando un soggetto a separarsi da un valore (il proprio denaro, il proprio tempo, ed altri valori per sé importanti) in cambio di altro (una prestazione, un bene, un servizio, un favore). L’analisi dei meccanismi mentali che avvengono durante una scelta deve portarci a riflettere su quali siano le aree del pensiero umano coinvolte nella decisione : durante un atto d’acquisto avvengono alcuni fenomeni di valutazione che hanno una valenza generale, possono cioè essere applicati a qualsiasi fenomeno di acquisto e vendita. 

Possiamo pertanto evidenziare due fenomeni:

  • il costo di acquisto reale è molto diverso dal costo monetario: il costo di acquisto è un dato, ma deve essere bilanciato dal costo psicologico che la scelta di acquisto pone. Il costo psicologico include tutte le difficoltà il cliente anticipa, percepisce, teme o prevede. Es: nell’acquistare un nuovo macchinario, la difficoltà nello smaltire quello precedente, o la difficoltà di imparare ad usarlo, o la perdita di controllo dovuta al fatto di non capirne la tecnologia e quindi perdere potere all’interno dell’azienda.
  • Il rientro percepito derivante dall’acquisto è molto diverso dal bene o proprietà realmente acquisito: il rientro psicologico di un acquisto può comprendere fattori come la “voglia di farsi un regalo”, la voglia di avere per primi qualche status symbol, la voglia di dimostrare ad altri il possesso di un bene o il “togliersi una soddisfazione”, e tanti altri moventi. Anche in questo caso sono presenti (con forza maggiore o minore) flussi di valore psicologico che influenzano la percezione di valore del bene o servizio acquistato. Pertanto, anche il rientro totale dell’acquisto è una somma: beni materiali (o servizi) più rientri psicologici di varia natura.

Possiamo quindi parlare di un Costo Totale di Separazione (CTS: sommatoria del denaro o beni ceduti + costi psicologici connessi all’acquisto) e di un Rientro Totale dell’Acquisto (RT, sommatoria dei rientri fisici e di servizio + rientri psicologici).

In altre parole, la vendita scatta solo quando riusciamo a presidiare i costi psicologici e rientri psicologici percepiti dal cliente “internamente” e non solo il prezzo monetario e le caratteristiche di prodotto “esterne”.

Il costo psicologico latente nella psicologia del cliente

Spesso un acquisto si carica di costi psicologici nascosti che ne aumentano il gravame, acquistare non richiede unicamente un esborso in denaro

Una scelta di acquisto viene soppesata anche alla luce dei valori sottostanti. Ad esempio, per un ecologista/animalista convinto, acquistare un hamburger non significa unicamente sborsare alcuni dollari, ma rifiutare a tutti i valori in cui crede. Il costo psicologico in questo caso è enormemente superiore al costo monetario. Lo stesso vale (nell’ecologista) per l’acquisto di una pelliccia, o di un’auto che consuma molto. 

I costi psicologici si dividono quindi in:

  • costi psicologici personali (effetti indesiderati dell’acquisto legati ai propri valori o credenze)
  • costi sociali o normativi (determinano un non-acquisto causato delle possibili reazioni negative degli altri: colleghi, amici, parenti, superiori, ecc.)

Tra i costi psicologici rientrano possibili perdite di immagine, di valori, cambiamenti di abitudini consolidate, diminuzioni di sicurezza, calo di approvazione sociale, riduzioni di qualità della vita, aumento di ansie e tensioni, e altre preoccupazioni legate in qualche modo (nella mente del cliente) all’atto di acquisto. Esse incidono sul comportamento di acquisto anche se frutto di immaginazione o basate su dati in realtà non fondati.

Questi costi psicologici nascosti possono essere il fuoco che alimenta le obiezioni di superficie.

Capirli, per poi gestirli, è assolutamente necessario.

Il rientro psicologico latente

Così come il costo totale si carica di costi psicologici latenti, il rientro totale si può caricare di rientri psicologici addizionali. 

I rientri possono infatti essere sia funzionali (utilizzo il prodotto che mi mancava e mi serviva), che psicologici (l’atto di acquisto in se apre orizzonti psicologici positivi). 

Un responsabile della formazione può decidere di portare in azienda un allenatore di una importante squadra di calcio o di una nazionale, per fare un piccolo intervento sulla leadership, per il solo gusto di poter dire “ho portato XY (un nome altisonante) in azienda. 

In altre parole, l’acquisto non viene più valutato puramente in termini di rientri fisici o funzionali, ma viene valorizzato da rientri psicologici (potere, carriera, immagine personale in azienda) e questo ne crea il valore vero. Il flusso di rientro si carica di orizzonti psicologici positivi, personali o legati alla reazione attesa dei gruppi di riferimento (sociali/normativi).

Per esempio, l’imprenditore che acquista il sistema di e-commerce evoluto, fonte di orgoglio, facendo sentire l’imprenditore come colui che ha saputo portare l’innovazione nell’azienda. In questo caso avremo un rientro di self-image che aumenta il valore psicologico totale.

L’atto di acquisto va gestito, da parte dell’operatore di marketing, ponendo attenzione sia ai costi psicologici latenti che ai rientri psicologici potenziali.

In complesso, la scelta di acquistare o meno emerge da un insieme di ponderazioni relative al costo totale e al rientro totale dell’operazione di acquisto.

In termini di strategie aziendali di vendita, lungo il percorso psicologico che il venditore deve esplorare, la comunicazione di vendita deve possedere l’abilità di:

  1. creare interesse per il rientro totale, sviluppando argomentazioni che si basino sulle utilità soggettive del cliente
  2. creare un posizionamento percettivo efficace del costo di separazione totale (strategia di framing dell’investimento).

In altre parole, la strategia di framing deve riuscire nell’intento di minimizzare il costo psicologico per il cliente.

Principio 7 – Della differenza positiva tra rientro totale psicologico e costo totale psicologico

  • La competitività aziendale dipende dalla capacità di gestire i costi psicologici e i rientri psicologici e non solo i costi monetari e i rientri “fisici” derivanti dall’acquisto.

Questo significa:

  • capire i costi totali di separazione connessi all’acquisto (costi monetari + costi psicologici percepiti o latenti) e saperli ridurre tramite la comunicazione;
  • sviluppare comunicazione efficace in grado di esaltare l’intensità dei rientri totali (funzionali e psicologici), sapendo inserire valore psicologico nel pacchetto di offerta;
  • sviluppare comunicazione efficace relativa al bilancio totale dell’operazione di acquisto, in cui i rientri totali percepiti (funzionali e psicologici) superino i costi totali percepiti (economici e psicologici).

Il modello Costo Totale / Rientro Totale è importante per la nostra elaborazione in quanto ci permette di affrontare un problema: il focus della comunicazione (pubblicitaria o di vendita), troppo spesso incentrato sulla emissione di parole a vuoto, che non hanno relazione con le utilità soggettive del cliente, con i costi latenti e i rientri psicologici latenti.

La comunicazione di vendita deve possedere l’abilità di (1) creare interesse per il rientro totale, sviluppando argomentazioni che si basino sulle utilità soggettive del cliente, e (2) creare un posizionamento percettivo efficace del costo di separazione totale (strategia di framing dell’investimento). In altre parole, la strategia di framing deve riuscire nell’intento di minimizzare il costo psicologico per il cliente.

Razionalità interna nelle scelte di acquisto

Spesso comportamenti apparentemente stupidi assumono una razionalità interna o endogena per il sistema di valori dell’individuo e per il suo stato psicologico del momento.

Ad esempio, l’atto del fumare è chiaramente irrazionale secondo ogni logica esterna, ma può essere del tutto coerente e razionale rispetto alle pulsioni interne che esperisce l’individuo (es: fumo per calmarmi, o per premiarmi pensando che sia una forma di gratificazione, o per fare una pausa). 

Questi moventi fanno parte della razionalità interna, non della razionalità esterna. Sono intrinsecamente coerenti ma visti dal di fuori non hanno alcun senso.

L’analisi dei moventi deve andare ben più in profondità e non accontentarsi di giudicare “irrazionali” dei comportamenti. Deve scoprire come e quando nasce il movente, quali comportamenti dimostrativi sono in corso, se ad esempio la ricerca di costruzione di un personaggio o di un’identità, oppure ancora ricercare i moventi imitativi di persone reali o personaggi mediatici (eroi), i quali hanno inconsapevolmente agito sull’individuo.

Dobbiamo definitivamente abbandonare l’attaccamento alla credenza che i consumi siano razionali in funzione di qualche norma superiore o legge universale (razionalità esogena o normativa).

Acquisto e motivazione all’azione

La problematica dell’acquisto deve, prima o poi, essere confrontata con quella della motivazione all’azione (i fattori che spingono l’individuo ad agire). 

La teoria della motivazione vede come unità motivante di base la tensione. Gli impulsi si innestano su stati di disequilibrio percepito, che creano spinta alla risoluzione del problema. 

L’impulso diviene movente di acquisto nel momento in cui si crea un collegamento mentale: la percezione che un prodotto/servizio sia lo strumento risolutivo del problema. 

L’azione di acquisto ne è il risultato, premesso che l’individuo disponga delle risorse o decida di procurarsele. Tuttavia, quando il movente è molto forte e la tensione altrettanto, le persone compiono ogni tipo di sforzo e di azione pur di procurarsi il denaro necessario (si pensi ad un drogato che può arrivare a rubare ai genitori pur di non stare senza una dose).

Qualsiasi acquisto mosso da forti motivazioni porta il possibile acquirente a diventare molto insensibile al prezzo e a procurarsi le risorse in qualsiasi modo pur di risolvere la tensione.

Modello di Trevisani (2001) sulla psicologia dell’atto d’acquisto

  1. Tensione : Percezione di un disequilibrio
  2. Impulso : Ricerca di un nuovo equilibrio
  3. Movente :Identificazione strumenti di risposta
  4. Azione : Acquisto del prodotto/servizio

Nella nostra analisi, riteniamo assai utile partire da alcune considerazioni fatte da Freud. Questo non tanto perché il nostro lavoro si ispiri alla scuola freudiana più di altre, ma perché vi sono presenti spunti di ispirazione che non possiamo ignorare. Come fanno notare Greenberg e Mitchell (1986)[1],

...all’interno del sistema di Freud, la caratteristica più saliente e costante del funzionamento dell’apparato psichico è la spinta verso la regolazione delle tensioni, altrimenti nota come principio di piacere. Lo scopo ultimo di tutti gli impulsi è una riduzione della tensione corporea, sperimentata come piacere. L’impulso originario non ha una direzione – è un quantum di tensione che aspetta di essere ridotto. Gli impulsi vengono diretti verso oggetti esterni soltanto quando questi oggetti si presentano e si dimostrano utili nella riduzione della tensione.

Innanzitutto, questa riflessione ci permette di osservare l’acquisto come atto di riduzione della tensione – sia a livello consumer che a livello business-to-business – una prospettiva molto interessante e ricca di potenziali per il marketing.

Nel caso non vi siano oggetti esterni che il cliente veda in qualche modo “utili” a ridurre lo stato di tensione, questo può rimanere latente ed in questo caso si crea un bisogno non soddisfatto. Oppure, il bisogno può essere represso o eliminato (ad esempio, cambiando le proprie priorità di vita, i propri valori).

La riduzione della tensione riguarda sia acquisti positivi (es: un software che permette di allargare la gamma dei servizi aziendali) sia acquisti negativi, la cui funzione è unicamente quella di prevenire un accadimento spiacevole nel futuro (come una polizza antigrandine per un agricoltore).

Si tratta di inquadrare il fenomeno di acquisto all’interno dei vissuti psicologici dell’individuo. Se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel soggetto, avremo identificato potenziali leve di acquisto, in quanto questa tensione si tramuterà presto in un bisogno di mercato e nella ricerca di un prodotto o di un servizio. Pertanto, la ricerca di mercato sui bisogni latenti o mal soddisfatti permette di aprire grandi opportunità di marketing.

Anche nel campo delle vendite azienda-azienda, se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel buyer aziendale, avremo identificato le leve motivazionali dell’azienda acquirente, e potremo regolare di seguito (o creare appositamente) la nostra offerta.

Teoria e realtà negli acquisti

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate. 

Si può fare di tutto per evitare che un fornitore risultato primo in graduatoria in una gara di appalto (metodo formale d’acquisto) venga in qualche modo escluso, eliminato, sino a compiere atti illegali, pur di non avere a che fare con quel soggetto – che per vari motivi non vogliamo all’interno dei nostri spazi fisici e psicologici.

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconsce, è difficile sfuggire. 

Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad, esempio, la nostra azienda può  – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore.

Per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Questo richiama la nostra attenzione sulla necessità, per qualsiasi azienda, di dotarsi di un metodo di vendita per lo sviluppo della competitività.


[1] Greenberg, J. R., & Mitchell, S. A. (1986). Le relazioni oggettuali nella teoria psicanalitica. Bologna: Il Mulino. Edizione originale: Object relations in psychoanalytic theory. Cambridge: Harvard University Press, 1993.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi del processo di marketing per la vendita

Possiamo distinguere le fasi principali in tre livelli sequenziali:

  • fase della strategia di marketing;
  • fase della strategia di contatto (personal selling); 
  • fase della strategia di fidelizzazione e sviluppo della relazione.

Le tre fasi sono accompagnate da momenti trasversali quali:

  • attività di fissazione e sviluppo della leadership e people management;
  • attività di training e coaching per lo sviluppo del venditore consulenziale;
  • attività di monitoraggio dei risultati, dei comportamenti ed atteggiamenti.

I punti salienti del piano di sviluppo-cliente sono : 

Fase di pre-contatto – Strategie di Marketing :

  • la segmentazione del mercato (capire gli “strati” e tipologie di clienti esistenti),
  • la scelta dei segmenti di mercato su cui operare,
  • la selezione di specifici prospects (clienti ad alto tasso di interesse),
  • lo scouting di tali clienti (ricercare, identificare),
  • l’analisi del tipo di priorità da dare ai diversi prospects.

Fase di contatto e vendita:

  • i primi contatti personali o mediati, nei quali superare le barriere in ingresso e iniziare a costruire la fiducia, sia interpersonale che aziendale;
  • le fasi empatiche, di analisi e ascolto della situazione del cliente,
  • lo sviluppo di una attività consulenziale e migliorativa dal punto di vista delle forniture di cui dispone,
  • la ricerca di soluzioni (Solutions Selling) su cui chiudere e concludere una trattativa.

Fase di post-vendita – Sviluppo personale :

  • il consolidamento del cliente,
  • il cross-selling (ampliamento del tipo di prodotti),
  • assicurarsi che sia soddisfatto, sino a portarlo ad essere un nostro sostenitore e partner vero.

La vendita consulenziale si differenzia dalla vendita tradizionale per l’alto grado di valore aggiunto generato dal venditore stesso. 

Il valore aggiunto consiste soprattutto:

  • nella localizzazione dei segmenti di mercato su cui agire;
  • nelle scelte di posizionamento: come vogliamo posizionarci e differenziarci rispetto ai tanti competitor?
  • nella capacità di ascolto praticato dal venditore nei riguardi del cliente, 
  • nella ricerca di soluzioni personalizzate, frutto di negoziazione;
  • nella consulenza d’acquisto;
  • nel contributo culturale che si porta al cliente;
  • nel problem-solving e post-vendita, in grado di portare il cliente dallo stato di cliente occasionale a cliente fidelizzato e sostenitore.

Il consulente offre al cliente aiuto con la propria attenzione focalizzata

La vendita consulenziale parte dalla volontà del venditore di divenire partecipe di un processo evolutivo del cliente, configurandosi quindi come una forma di consulenza di processo.

La vendita consulenziale si inserisce all’interno di una filosofia di marketing aziendale “centrata sul cliente”.

Come evidenzia Kotler:

Il concetto di marketing è emerso a metà degli anni ’50 e ha messo a dura prova i concetti precedenti. Invece di adottare una filosofia centrata sul prodotto, “produci-e-vendi”, si adotta una filosofia centrata sul cliente, “ascolta-e-rispondi”.[1]

Per poter dare concretezza a questa filosofia servono però venditori consulenziali all’altezza del compito e leader preparati.

I principi del CVBU : Caratteristiche, Vantaggi, Benefici, Unicità

I principi di marketing per la vendita consulenziale:

  1. dare priorità alla ricerca di una soluzione efficace e positiva per il cliente (vendita consulenziale);
  2. costruire piani di vendita strutturata anziché azioni di vendita “alla giornata”;
  3. agire tramite campagne anziché con azioni spot;
  4. formare i venditori e sviluppare il loro potenziale;
  5. assicurarsi che i venditori dispongano di una conoscenza perfetta delle reali motivazioni di valore su ogni elemento del value mix: quali sono le caratteristiche, i vantaggi, i benefici, le eventuali unicità (CVBU), della nostra offerta e come queste si declinano per il singolo cliente.

L’analisi CVBU si applica non solo al prodotto ma all’intero marketing mix, includendo almeno CVBU del prodotto/servizio, del pricing, della distribuzione e della comunicazione/informazione.

Al centro di ogni analisi CVBU si colloca il potenziale cliente. Nessun ciclo CVBU può svolgersi in astratto: la percezione di valore ha luogo solamente nella mente del cliente.

I cinque punti primari per inquadrare le attività di vendita

Secondo la metodologia dell’Action Line Management (ALM) va posta attenzione:

  1. agli scenari: cosa succede nella domanda, nella concorrenza, nelle tecnologie, in che ambiente mi muovo?
  2. alla missione e alla consapevolezza dei suoi confini (analisi esistenziale, domande esistenziali): a chi diamo risposte, chi siamo, cosa facciamo realmente, cosa un cliente deve sapere di noi, perché non serviamo alcuni clienti, chi serviamo e chi no, dove si collocano esattamente i confini della nostra missione; all’organizzazione: come ci organizziamo per dare corpo alla missione e alla nostra visione/aspirazioni;
  3. al marketing mix / value mix: consapevolezze dei prodotti/servizi, delle loro caratteristiche, e del valore intrinseco posseduto;
  4. alle linee di azione e tattiche personalizzate: come declinare la strategia cliente per cliente, quali “strategie di interazione” adottare;
  5. al front-line, ai momenti di contatto di ogni natura, ogni momento della verità in cui il sistema azienda impatta il cliente (e non solo il cliente, anche fornitori e altri portatori di interessi);

La visita mirata all’interno di un’azione commerciale

Una visita mirata si differenzia da una visita generica in base al grado di preparazione precedente la visita stessa. 

In una visita mirata, sono stati già esplorati a priori i possibili problemi, le possibili obiezioni primarie, gli ostacoli prevalenti alla conclusione di vendita. 

In una visita mirata, il venditore è pienamente consapevole del “cosa sto entrando a fare”, distinguendo tra:

  • valutare se esistono spazi per…
  • valutare se esistono le condizioni per…
  • approfondire la situazione del cliente riguardo ….
  • concludere una negoziazione avviata entro …
  • capire la serietà del cliente e le intenzioni reali di acquisto, offrendo le seguenti alternative e scadenze…

Una visita mirata si prefigge di comprendere lo scenario del cliente aggiungendo dati e informazioni a quelle già disponibili, per poi poter puntare ad una conclusione consulenziale favorevole, che riduca i costi psicologici di acquisto e faccia leva sugli aspetti motivazionali del bisogno sottostante del cliente.

Rendere mirata una visita significa quindi:

  • anticipare gli scenari aziendali e psicologici che possiamo fronteggiare: studiare il sistema-cliente prima di entrare, sulla base dei dati disponibili;
  • chiedersi quali dati servono ancora per poter offrire una soluzione realmente consulenziale (Information Gap Analysis), e preparare una scaletta di informazioni e punti di interesse da approfondire con il cliente stesso;
  • anticipare i livelli di possibile bisogno;
  • posizionare una tipologia di fornitura desiderata (target negoziale strategico): es: distinguere tra diventare fornitori ufficiali, fare un ordinativo di prova, e altri tipi di relazioni commerciali;
  • dare ampio spazio ai momenti di ascolto del cliente;
  • entrare soprattutto per ascoltare, dare enfasi alla fase di analisi ed ascolto.
  • concludere su ipotesi di possibile interesse e soppesare con il cliente valore differenziale di ciascuna;
  • porre il cliente di fronte alla responsabilità di prendere una decisione.

La partnership strategica e il comakership (fare assieme)

Lo sforzo consulenziale viene premiato non tanto da una singola vendita ma soprattutto dalla capacità di ingresso nel sistema cliente.

Una partnership strategica è l’obiettivo sottostante la vendita consulenziale.

La partnership strategica è caratterizzata da:

  • rapporto intenso,
  • co-progettazione,
  • ricerca e sviluppo svolta su ambiti di interesse comune (Joint Research & Development),
  • contatti frequenti,
  • studi congiunti sul mercato di destinazione.

La forza contrattuale e negoziale

La negoziazione competitiva richiede la creazione di forza contrattuale. 

La forza contrattuale dipende dal livello di unicità dell’offerta (o dalla mancanza di alternative valide o succedanee) e dal livello di bisogno esistente nella controparte, mediati dalle abilità comunicative.

Le competenze negoziali competitive richiedono training alla negoziazione e alla gestione delle mosse strategiche dell’interazione. 

In particolare, il training deve focalizzarsi :

  • sulla capacità di analisi dei segnali non verbali,
  • sul controllo dei propri segnali,
  • sugli stili comunicativi verbali,
  • sull’analisi transazionale del dialogo (AT),
  • sulle tecniche di convergenza verso il risultato e di gestione strategica dell’obiezione. 

Le tecniche negoziale divengono ancora più complesse quando le trattative avvengono tra gruppi (es.: gruppi di acquisto contro gruppi di vendita) poiché la dimensione comunicativa si allarga, richiedendo competenze nell’affiatamento tra i partner e coordinamento nelle mosse dell’interazione tra i membri dell’equipe[2]. Gestire la trattativa richiede preparazione e role-playing. Una singola parola può rovinare un incontro.

Principio 2 – Del potere contrattuale e negoziale

Il vantaggio competitivo dipende dalla forza contrattuale nella trattativa.

Per il venditore o proponente, la forza dipende:

  1. dall’unicità dell’offerta: un’offerta non comparabile con altre offerte ha più valore;
  2. dalla mancanza di alternative presenti o creabili : l’impossibilità di trovare con ragionevole sforzo soddisfazione altrove;
  3. dalla mancanza di beni succedanei (beni diversi che possono svolgere una funzione simile, es: treno al posto dell’aereo);
  4. dall’impellenza del bisogno nel destinatario: un bisogno importante genera minori freni e incertezze;
  5. dal prestigio di cui gode il proponente: un proponente credibile e prestigioso crea minori barriere legate alla valutazione a priori del partner;
  6. dalla forza dei fattori oggettivi dell’offerta: le caratteristiche della prestazione – la sua tecnologia, il servizio reale.

Ciascuna di queste leve anche se presente in misura elevata non si dispiega automaticamente ma richiede abilità di valorizzazione e comunicazione.

Il dispiego ottimale della forza contrattuale (per chi offre) si correla positivamente con il livello di competenze comunicative specifiche del negoziatore (abilità negoziale del venditore) e negativamente con le competenze dell’acquirente (abilità del buyer).

Possiamo riassumere i punti salienti di una strategia negoziale individuando tre specifiche Macro-fasi:

Fase di preparazione : Briefing, analisi a priori Role-playing, preparazione delle action lines

Fase di contatto : Ricerca dei canali di ingresso, Face-to-face, Mediato

Fase di debriefing : Debriefing osservazionale (dati+emozioni), Debriefing strategico

Tutte le fasi evidenziate sono critiche, e per ciascuna esistono strumenti e metodologie appropriate. 

La nostra attenzione sarà dedicata alla fase di contatto front-line, utilizzando soprattutto alcuni spunti metodologici offerti dalla Conversation Analysis (CA), o Analisi della conversazione (AC). 

Al centro di tutto, nel contatto umano, si colloca la capacità di ascolto, senza la quali gli sforzi precedenti per “entrare” in un sistema cliente diventerebbero vani.


[1] Kotler. Dal cap. 1 “La comprensione del processo di marketing management”, in “Il marketing secondo Kotler”

[2]  Vedi Goffman (1959) per l’analisi dei comportamenti pubblici delle equipe.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Copyright estratto dal libro di Daniele Trevisani (2016).  Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Milano, Franco Angeli, 9° edizione.

Moventi apparenti e moventi reali dei consumi

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate.

Si può fare di tutto per evitare che un fornitore risultato primo in graduatoria in una gara di appalto (metodo formale d’acquisto) venga in qualche modo escluso, eliminato, sino a compiere atti illegali, pur di non avere a che fare con quel soggetto – che per vari motivi non vogliamo all’interno dei nostri spazi fisici e psicologici.

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconscie, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad, esempio, la nostra azienda può  – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Questo richiama la nostra attenzione sulla necessità, per qualsiasi azienda, di dotarsi di un metodo di vendita per lo sviluppo della competitività.

Quali sono i motivi reali per cui acquistiamo o ci comportiamo in un certo modo? Quali sono i moventi sottostanti per cui, ad esempio, uno studente sceglie di studiare in una biblioteca pubblica piuttosto che nella propria camera? Ed ancora, perché una specifica biblioteca universitaria (poniamo, la biblioteca di Lettere) e non un’altra (es: la biblioteca di Ingegneria)? Per ogni comportamento esistono dei moventi, delle ragioni sottostanti.

L’analisi dei moventi apparenti in un’intervista ad uno studente potrebbe portare a queste conclusioni: lo studente (Gianni) si reca in biblioteca perché lì si studia meglio. La biblioteca di lettere risponde al BSS (bisogno sottostante servito) meglio della propria camera. Offre un ambiente più silenzioso, quando servono vocabolari specialistici sono a portata di mano.

L’analisi dei moventi reali può portare a conclusioni diverse:

  • Gianni sta cercando una compagna. Sente un vuoto nella propria vita, e intuisce che sarà più facile incontrare una ragazza in un luogo pubblico piuttosto che nella propria camera.
  • Gianni cerca anche motivazione ad impegnarsi. La visione di altre persone che studiano conforta il nostro studente e lo incoraggia.
  • Gianni cerca anche di sentirsi a posto con se stesso. Sa benissimo che in casa accenderà lo stereo, navigherà in Internet, riceverà telefonate, questo lo distrarrà e alla fine della giornata si sentirà, come spesso gli capita, un perdente.
  • Gianni sente anche il bisogno di giustificare alla propria famiglia come sta spendendo il tempo di vita, che grado di impegno sta mettendo nella sua carriera. Passare il tempo all’interno dell’università in qualche modo produce in lui l’impressione di “aver lavorato”, di “avere prodotto”, e questo risolve alcuni problemi che ha verso la sua immagine di sè, rispetto all’essere in ritardo con gli esami e al sentimento di sapere di pesare ancora sulla famiglia.
  • Gianni frequenta la biblioteca di Lettere, (pur studiando Giurisprudenza) anche perché l’ambiente lo fa sentire più a suo agio. Lì non incontra i suoi colleghi di corso, e questo gli evita di doversi giustificare per essere in ritardo. A Lettere il suo ritardo negli studi è più normale e questo lo fa sentire meno pressato.
  • Gianni cerca anche un’identità. In un certo senso, nella biblioteca di lettere si sente un pò “diverso” rispetto agli altri, e questo lo aiuta a costruire una propria personalità autonoma, ha qualcosa da dire quando incontra qualcuno, che lo rende un pò diverso, un pò più interessante.
  • Nella biblioteca di Lettere, si formano spesso gruppi di studenti nell’atrio, è più facile incontrare qualcuno, parlare con qualcuno, venire invitati ad una festa, trovare chi ti chiede di uscire. A Giurisprudenza le persone vanno e fuggono, prese dalla carriera.
  • A dire il vero esisterebbe anche un’altra biblioteca, quella di Economia, ma lì proprio non si sente a suo agio. Tutti sembrano già dirigenti d’azienda, belli, abbronzati, decisi, sicuri, forti – diversi da lui – esistono circoli molto chiusi, e lì si sente un pesce fuor d’acqua.

Per tutti questi motivi e molti altri ancora, il nostro amico Gianni frequenta quella biblioteca. Alcuni di questi moventi possono essere in qualche modo emersi dal suo subconscio, altri no, agendo in background.

Quello che interessa nella nostra analisi è capire che il bisogno sottostante servito (BSS) ha sfaccettature multiple. Accanto al BSS primario, di facciata, o motivo principale di frequentazione della struttura bibliotecaria, esistono BSS secondari (moventi nascosti) che possono persino superare la forza del BSS primario.

psicologia di marketing e comunicazione

Altri materiali disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Tecniche di Vendita Consulenziale – Portare fuori le nostre domande. Sito di riferimento: Medialab-Research – Formazione per la Comunicazione, le Tecniche di Vendita, la Vendita Consulenziale, la Psicologia del Marketing
3.2. © Copyright – Dal libro Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse, di Daniele Trevisani – Franco Angeli Editore, Milano

Il valore delle domande nelle tecniche di vendita consulenziale

https://youtu.be/7ArTmHhiVSo

Qualsiasi tecnica di vendita avanzata evolve verso una dinamica di rapporto sempre più consulenziale, dove diventa fondamentale la diagnosi (ascoltare e capire) prima ancora della persuasione pura (esprimersi e convincere). Oggi, appena viene colto un intento persuasivo, le persone se ne vanno. E’ così ed è bene sia così, se è vero che persuadere senza avere capito niente del quadro del cliente ha davvero poco senso.

La complessità dei mercati e degli scenari ci obbliga a sviluppare le capacità di essere attenti ed empatici (capire l’altro), condurre diagnosi del cliente, dell’interlocutore, della situazione.

E’ necessario saper portare fuori le domande, non tenersele dentro. Le domande sono uno degli strumenti più utili e fondamentali in una tecnica di vendita che vuole offrire valore vero al cliente. Senza domande, una tecnica di vendita può essere solo equivalente a “mettere su un DVD” con un disco oramai consunto.

Questo produce un forte cambio di paradigma, dove prima erano fondamentali le capacità espressive (parlare), diventano essenziali le competenze di ascolto, di diagnosi (saper ascoltare, capire), e quindi le competenze progettuali (studiare e costruire soluzioni basate sulla diagnosi).

Sapere di avere buona capacità di analisi inoltre aumenta la sicurezza nella fase di comunicazione e produce un’immagine di maggiore autorevolezza e assertività. Questo si traduce in un forte incremento della capacità comunicativa e negoziale.

Tutto ciò non è semplice. Ma non è ancora abbastanza.

3.3. Principio dello stretching comunicazionale e rottura dell’incomunicabilità

In una negoziazione avanzata troviamo tutte le difficoltà, i limiti e le barriere date dall’incomunicabilità umana, amplificate dalle barriere culturali e organizzative, dalle abitudini stratificate, dagli stereotipi, e da interessi contrapposti che spesso sembrano antagonistici, uno contro l’altro. Rompere questo circolo vizioso è un principio basilare.

Una regola fondamentale della vendita complessa è il bisogno di trovare il “Common Ground”, i valori e principi condivisi, sui quali costruire i piani successivi. Ad esempio, chiarire che per entrambe le parti sia importante non solo il prodotto ma l’affidabilità reciproca.

Dobbiamo anche considerare che esiste quasi sempre una componente “interculturale” nel fare vendita e negoziazione ad alti livelli: le persone che interagiscono tra loro hanno culture diverse e regole implicite diverse (anche entro la stessa nazione), ed ancora maggiormente quando si rapportano tra loro manager di nazioni diverse. Questo complica il quadro.

La vendita consulenziale e la negoziazione sono tra le attività più complesse e impegnative svolte dall’essere umano. Durante una interazione di vendita o una negoziazione possiamo assistere ad un incontro tra mondi mentali distanti, culture diverse, stili linguistici e manageriali antitetici, differenti psicologie, scontri tra strategie e tattiche comportamentali, e spesso – ad un livello profondo – la collisione tra visioni del mondo contrastanti, accompagnata da forte incomunicabilità.

Lo stretching comunicazionale (saper cambiare stile comunicativo, ad esempio da persuasivo ad empatico, dove le domande potenti la fanno da padrone) permette alle persone che svolgono vendita e negoziazione di diventare più flessibili dal punto di vista comunicativo, saper utilizzare un linguaggio “tecnico” quando serve, e in altri momenti un linguaggio più “manageriale”, ed in altri ancora uno più “umanistico e valoriale”.

Vendere in America Latina, il giorno dopo in Germania, e la settimana successiva in Giappone, non richiede solo un aggiustamento di fuso orario, ma anche di “registro comunicativo”. Passare da un incontro con un dirigente del marketing ad un incontro con il responsabile della produzione, entro la stessa azienda-cliente, richiede ancora una volta una capacità di cambiare rapidamente stili comunicativi e sintonizzarsi su una “modalità di ricezione” adeguata ad interlocutori diversi. Questo ancora maggiormente se più interlocutori diversi tra loro sono presenti entro la stessa stanza.

© Copyright – Tecniche di Vendita estratte dal libro Strategic selling. Franco Angeli editore, Milano

dott. Daniele Trevisani

Dott. Daniele Trevisani www.danieletrevisani.it www.medialab-research.com

http://www.youtube.com/watch?v=C-iXz8h4wSQ

 

Copyright, Estratto dal volume

Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse, Franco Angeli editore, Milano

 

La leadership basata sul coaching

Una relazione d’aiuto forte verso il cliente è la base di ogni metodologia di vendita consulenziale onesta, autentica, sincera. Al centro di tutto c’è l’ascolto, la capacità di far emergere dati e situazioni che aiutano a realizzare una proposta utile, contributiva, efficace. La vendita, in questo modo, si trasforma in un vero e proprio coaching del cliente, che viene aiutato a fare passi avanti e miglioramenti grazie alle nostre soluzioni. (Daniele Trevisani)

Basare la leadership sul coaching significa anche predisporsi ad essere “allenatore” della propria squadra di vendita, promotore di uno sviluppo personale e professionale del venditore, e protagonista di una relazione di aiuto “centrata sulla persona” (il venditore).

Il coaching punta a far crescere l’individuo lungo tre vettori primari:

  • i saperi
  • il saper essere
  • il saper fare.

In un programma di leadership basata sul coaching, ogni venditore viene analizzato in termini di

  • Bilancio dei saperi, e relativo piano di crescita: cosa sai.
  • Bilancio del “saper essere”, degli atteggiamenti e tratti caratteriali, e relativo piano di crescita personale: come sei.
  • Bilancio del “saper fare”, delle competenze di cui dispone il soggetto, e relativo piano di sviluppo: cosa sai fare.

 

Area di attenzione Situazione attuale

X

Situazione ottimale

Y

Piano di coaching e sviluppo
Saperi
Saper essere
Saper fare

 

La leadership basata sull’Analisi della Conversazione (AC)

La Leadership Conversazionale rappresenta una tecnica di gestione della conversazione, intenta a:

  • riconoscere i formati conversazionali in corso
  • riposizionarli nella direzione voluta
  • riconoscere le mosse conversazionali attuate dagli altri
  • pianificare il proprio comportamento in una direzione più assertiva

Esempi di formati conversazionali inerenti la relazione con il venditore:

  • la lamentela (esternalizzazione del problema)
  • il “parlare di guai”
  • la “confessione”
  • l’analisi scientifica
  • le chiacchiere da bar

Esempi di mosse conversazionali:

  • i depistaggi o decentraggi del tema
  • le offerte di tema
  • il ricentraggio conversazionale
  • la gestione dei turni di conversazione

La leadership basata sulle abilità emozionali

La Leadership Emozionale è così definibile

“la capacità di attingere con successo alle risorse emotive della persona e del gruppo per coordinare e dirigere i team e i progetti”.

Nella direzione vendite, essa riguarda due aspetti pratici:

  • il riconoscimento e gestione delle proprie emozioni, come leader
  • il riconoscimento delle emozioni dei membri del team di vendita.

Copyright, Estratto dal volume

Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse, Franco Angeli editore, Milano

 

Ogni messaggio, ogni presentazione, ogni momento di interazione, ha un effetto di imprinting – la fissazione dell’immagine verso chi ci sta osservando o ascoltando.

Il mondo delle relazioni è un mondo di percezioni soggettive, ancora prima che di dati oggettivi. Esaminare cosa accade a livello di percezioni, nella comunicazione e nell’ascolto, è quindi ancora più fondamentale.

Questo riguarda numerosi elementi in grado di generare fiducia o sfiducia tra cui:

  • lo stile di movimento (velocità del passo, camminata);
  • le posture e il body language;
  • le gestualità e l’espressività;
  • il modo di stringere la mano;
  • la mimica facciale;
  • l’abbigliamento e gli accessori personali e professionali.

Chi di noi affiderebbe i suoi segreti più intimi a qualcuno di cui – per via di alcuni elementi del mix sopra notato – di pancia, non si fida? A qualcuno che si pensa, magari, dopo pochi minuti, metterà tutto quanto su internet o lo darà ad altri?

O a qualcuno di cui scopriamo che stia registrando a nostra insaputa? O a qualcuno di cui non sappiamo le vere intenzioni?

Tutti questi fenomeni sono centrali nella comunicazione, e ancora maggiormente nella fase di ascolto, in quanto se non riusciamo ad emergere come persone “sicuramente affidabili” e competenti, nessuno ci dirà niente. Il coaching, essendo in larga misura basato su tecniche di colloquio, ha grande bisogno di costruire moalità di colloquio in cui si generi apertura, e fuoriescano le informazioni che servono per gestire il caso e trattarlo.

La creazione dell’immagine e della credibilità, o la sua distruzione, non avvengono “di colpo” o per effetto di singole evenienze (se non estremamente forti), ma si compongono per sommatoria di

  • micro-osservazione;
  • analisi di congruenze;
  • rilevazione di segnali deboli.

Come ho evidenziato in Psicologia di marketing e comunicazione:

In termini commerciali, le informazioni che possono essere colte nella fruizione di un negozio, di un prodotto, nella visita di un’azienda, nello scrutare una persona o un prodotto, si categorizzano in due classi importanti, i segnali generatori di fiducia (trust signals) e i segnali generatori di sfiducia (distrust signals). A questi segnali deve essere data attenzione primaria, in quanto essi possono accelerare o bloccare l’intenzione d’acquisto.

  • Trust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano fiducia e rassicurazione
  • Distrust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano preoccupazione o sfiducia

 

Il percorso valutativo della nostra persona, di noi come interlocutori affidabili o meno … sarà costellato, in altre parole, dal ricevimento di segnali e di informazioni. I trust signals svolgono il ruolo di elementi di rafforzamento della fiducia e dell’immagine dell’azienda. I distrust signals sono invece elementi di detrazione, negativi rispetto alla formazione della fiducia.

Se immaginiamo ciò che osserva un cliente all’interno di un’azienda, elementi magari casuali, quali un ordinativo di un’azienda importante, dal marchio prestigioso, collocato su una scrivania possono costituire trust-signals, mentre una lettera di reclamo da parte di un consumatore, o la ruggine sul cancello d’ingresso, o la scortesia del persona, costituiscono distrust-signals.

L’azienda orientata alla crescita deve analizzare attentamente quali elementi della propria comunicazione stiano funzionando da trust signals e quali da distrust signals, analizzando accuratamente ogni elemento di contatto con il cliente e con il pubblico (vetrine, prodotti, cataloghi, siti web, personale, ecc.) attraverso apposite griglie valutative (griglie di analisi dell’immagine visuale e griglie di emersione dei segnali negativi aziendali)[1].

La “persona” che vuole lavorare sul proprio “Personal Branding” o immagine personale, dovrà curare altrettanto il tipo di abbigliamento (casual o rigoroso), i capelli, le unghie, come e dove è collocato il suo ufficio, cosa ha sui tavoli. Dovrà osservare il proprio sito web con gli occhi di un possibile cliente, persino i propri profili sui social media. E non è sufficiente. Dovrebbe avere attenzione a farsi dare feedback da persone di propria fiducia o da supervisori (supervisors professionali) che devono occuparsi su sua richiesta di “guardarlo dall’alto” e offrirgli sostegno.

Il sostegno vero, viene anche dall’indicare ad una persona che- ad esempio – tende ad interrompere troppo il cliente, o non fa dei “recap” (ricapitolazioni) durante il discorso per mettere un punto e poi proseguire. O ancora, che le sue microespressioni facciali lasciano tradire un’incertezza o un giudizio quando questi non fossero voluti.

La dinamica dei segnali di fiducia e di sfiducia coinvolge pienamente anche il professionista in ogni campo, il venditore, il consulente, i suoi comportamenti e atteggiamenti, i suoi messaggi e comunicazioni, la sua modalità di ascolto.

La Source Credibility – credibilità personale, immagine della fonte e persuasione

L’importanza della variabile “credibilità della fonte” nella persuasione è stata sottolineata già dai primi studi sulla materia, i quali avvalorano l’ipotesi seguente un’alta credibilità della fonte  ha più effetto nel persuadere un’audience che una fonte a bassa credibilità (Hovland e Weiss, 1952; Hovland, Janis e Kelley, 1953).

Nel coaching, per quanto la fase di comunicare esprimendo dati sia inferiore al tempo passato nell’ascoltare, l’intero “apparato uomo”, l’intera persona come sistema, è una “fonte” soggetta ad esame di credibilità. Il coach è una fonte di ascolto, una fonte di consigli, una fonte intesa anche come fonte di saggezza, un porto sicuro nel mare in tempesta.

Se parliamo di ascolto, possiamo dire senza ombra di dubbio che – ove manchi credibilità spontanea –  l’unico modo per ottenere informazioni sarebbe un interrogatorio. E questo non è certo quello che deve fare un coach orientato ad ascoltare.

Quello che ci interessa è invece riuscire a creare un ambiente collaborativo. La nostra parte in questo consiste nell’essere persone con una forte credibilità, dovuta a due specifici meccanismi evidenziati dalla psicologia sociale:

  • Ttrustworthiness (o Trust): letteralmente “essere degni di fiducia”, attendibili;
  • Expertise: essere visti come persone competenti sul tema che trattiamo.

Nei processi di coaching e di consulenza, la competenza riguarda il meccanismo di coaching, e non tanto l’essere delle persone competenti nel campo di cui si occupa il cliente. Se ad esempio il cliente produce barche, ma noi siamo coach in azione nel supportare la sua leadership, dovrebbe emergere che sappiamo lavorare sul meccanismo della leadership, e non che siamo esperti di barche. Lo stesso vale per il public speaking, dove il fatto di parlare in una banca o in un campo di gioco, non cambia la sostanza forte delle questioni su cui lavorare.

Principio 10 Assioma di credibilità

  • L’efficacia della comunicazione è correlata alla credibilità della fonte percepita dal ricevente dell’informazione.

  • Le dimensioni principali della credibilità (1) competenza, expertise e (2) trustworthiness, fiducia, devono essere entrambi presenti.

La credibilità della fonte è definita da Johnson, Conklin e Pearce (1979) come una serie di percezioni provenienti da un ascoltatore riguardo la possibilità di essere creduto (believability) e accettato da questo.

Dimensioni della credibilità della fonte sono state investigate da vari autori, inclusi Hovland, Janis e Kelley (1953), Berlo, Lemert e Mertz (1969), McCroskey (1966), Tuppen (1974), Whitehead (1968), Markham (1968), e altri.

I primi contributi teorici identificarono alcuni fattori o dimensioni della credibilità  tra i quali  l’affidabilità (trustworthiness), la competenza (competence), ed il dinamismo (dynamism) (Johnson e altri, 1979).

Altri fattori presi in considerazione  in diversi studi sono l’expertise (ovvero esperienza della fonte, competenza tecnica, dal tratto semantico similare al fattore “competence”), il carattere”, e l’intento persuasivo. (Petty & Cacioppo, 1981).

Comunque, come McCroskey e altri autori (1972) indicano, i ricercatori  non dovrebbero aspettarsi esattamente la stessa dimensionalità della credibilità della fonte, dal momento che le dimensioni di valutazione possono variare a seconda di soggetti diversi, popolazioni e culture.

In altre parole, la dinamica di ascolto va adattata in funzione delle culture. Se facciamo coaching a livello internazionale, sappiamo che un CEO aziendale giapponese pretenderà cenni di rispetto e di cortesia estrema, e non pacche sulla spalla. Il contatto fisico sarà da evitare, almeno nelle prime fasi. Se siamo negli USA, sappiamo che avremo a che fare con una cultura molto diretta, che non apprezza i convenevoli, così come invece essi sono importanti nelle culture latine ed arabe.

Principio 11 – Assioma di variabilità culturale e comunicazione interculturale

  • Le dimensioni di valutazione della fonte dipendono da fattori culturali e variano in funzione della cultura del ricevente. L’utilizzo di modelli comunicativi culturali funzionanti nella cultura della fonte non assicura il successo quando il messaggio o il rapporto viene trasferito all’interno di un’altra cultura

I due fattori principali, sui quali esiste un accordo generale, sono expertise e trustworthiness.

Il fattore expertise (considerato come “competenza” tecnica o “qualificazione”) si riferisce alla conoscenza e preparazione tecnica della fonte riguardo i fatti presentati nel messaggio.

Il fattore Trustworthiness si riferisce alla percezione che la persona dica o meno la verità che conosce (oppure dia solo una versione parziale dei fatti), con lo scopo di manipolare le controparti a loro insaputa.

Queste due dimensioni possono essere combinate costruendo una matrice di analisi della credibilità per formare quattro diverse tipologie di percezioni della fonte.

  1. alta expertise- alta trustworthiness: la fonte più credibile, essendo percepita come competente e affidabile;
  2. alta expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile
  3. bassa expertise- alta trustworthiness: fonte inesperta
  4. bassa expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile e inesperta.

Figura 48 – Matrice di analisi della credibilità

 

Principio 12 – Assioma di credibilità della fonte

  • La percezione di expertise (esperienza, competenza) e trustworthiness (affidabilità, serietà, fiducia, attendibilità) determinano la valutazione della credibilità di ogni soggetto nella relazione. La comunicazione strategica deve utilizzare fonti alle quali il ricevente riconosca livelli adeguati di expertise e trustworthiness (relativa al tema oggetto della comunicazione)

Altre caratteristiche della fonte, come attrazione fisica, similarità, e potere, sono state trovate positivamente correlate all’efficienza (e efficacia) della persuasione (Petty e Cacioppo, 1981). La credibilità della fonte non è l’unico fattore che influenza la persuasione, ma può essere considerato un fattore facilitante.

Il concetto di “fattore facilitante” o “fattore facilitativo” è impiegato da Fishbein e Ajzen (1975) per categorizzare la classe di variabili che influenzano positivamente la persuasione, come credibilità della fonte e expertise, stile comunicativo, e altre. Fattori facilitanti come attrattività della fonte e expertise sono considerati anche nel modello ELM di Petty e Cacioppo (1981).

Voglio concludere con un passaggio relativo al tema dell’intento di coaching e intento comunicativo e stile comuicativo che ne deriva.

Tutti si rivolgono a coach, esperti, counselor, consulenti, per risolvere problemi, o aumentare le loro prestazioni.Il problema avviene quando il cliente pretende di sapere già quale sia la soluzione, e magari cerca una scorciatoia “rapida e indolore” per un obiettivo che richiede invece impegno e continuità.

Nel momento in cui il professionista accondiscende ad offrire soluzioni che possano portare si alla performance desiderata, ma con grave danno per la persona stessa, l’etica deve far dire NO. Nel coaching sportivo, è molto meglio per un coach allenare le persone a lavorare e cercare il loro pieno potenziale, osservarle come “sistemi, piuttosto che vincere una gara con se stessi o agonistica, e rompersi articolazioni o morire di infarto.

Nel business coaching, è molto meglio dire onestamente ad un cliente che servono più sessioni di lavoro e che saranno dure e impegnative, piuttosto che vendere un percorso di coaching come qualcosa di “facile e dolce”. Se immaginiamo una competenza come il public speaking, diventare un grande oratore può richiedere esercitazioni esperienziali forti, dove ci si mette in gioco, e si esce dalla zona di comfort.

Proporsi così è un elemento fondamentale di un Brand Positioning personale, o di un Personal Branding (marchio professionale comportamentale), dove sarà chiaro che ci si sta rivolgendo ad una persona competente e che non offre bugie.

[1] Trevisani D. (2001), Psicologia di marketing e comunicazione, Franco Angeli editore., p. 57.

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Approfondimento

Video su Ascolto, Fiducia, Competenze nel Coaching del Potenziale Personale, non solo Performance

https://youtu.be/SfvOQbP6u8o