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ascolto simpatetico

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Tecniche di ascolto attivo

L’ ascolto attivo si collega alla comunicazione paralinguistica e non verbale e comprende in particolare:

  • tecniche verbali di ascolto attivo;
  • tecniche paralinguistiche di ascolto attivo;
  • tecniche non verbali di ascolto attivo.

Tecniche verbali di ascolto attivo

Comprende parole che segnalano attenzione e comprensione.

  • Domande aperte: chi, dove, quando, come, perché, con chi, in quale modo, in quali tempi, per quanto, cos’altro… e altre domande che consentano di allargare il discorso e precisarlo.
  • Domande chiuse o di precisazione: verifica di parti del contenuto tramite domande che prevedano una risposta di tipo “Si/No” o altre categorie precise “molto/poco”, “prima/dopo” e altre di questo tipo.
  • Tecnica dello specchio (riflessione del contenuto): ripetizione di frasi o parti di frasi dette dalla controparte, senza modifiche e alterazioni. La tecnica dello “specchio” proviene dalle metodologie di ascolto empatico utilizzate nel colloquio terapeutico Rogersiano[1]. È una tecnica di origine psicoterapeutica, che consente al “cliente” di approfondire i propri contenuti e riflettersi nei contenuti stessi da egli espressi.
  • Parafrasi: utilizzo del “come se”. Ricerca della comprensione di quanto detto, con l’uso di metafore o esempi che cercano di valutare se si è realmente compreso il senso profondo di quanto la controparte dice.
  • Sintesi storica, riassunto: ripetizione di quanto asserito, sotto forma di riassunto dei punti salienti della “storia”.
  • Incoraggiamenti verbali: es, “bene”, “interessante”, “si”, “ok”.

Tecniche paralinguistiche di ascolto attivo

Utilizzo di vocalizzazioni che esprimono interesse per la “storia” e facilitano l’espressione, quali Uhmm.. ahh….emissioni gutturali o respiratorie…

Lo scopo delle tecniche paralinguistiche (assieme a quelle non verbali visuali) è quello di fornire segnali fàtici (di contatto), affinché l’interlocutore senta che siamo in ascolto, siamo presenti, e siamo interessati.

Tecniche non-verbali di ascolto attivo

Utilizzano l’atteggiamento del corpo per esprimere interesse:

  • postura aperta ed inclinata in avanti per indicare disponibilità; posizione del corpo rilassata e di disponibilità;
  • avvicinamento e allontanamento (prossemica): ridurre la distanza con l’interlocutore nei momenti di maggiore interesse, allontanarsi nei momenti di distensione;
  • espressione del volto: non dubitativa, ironica o aggressiva, ma attenta e partecipativa;
  • sguardo attento e diretto;
  • movimenti delle sopracciglia associati a punti salienti del discorso altrui;
  • cenni del capo, cenni assenso o di diniego;
  • gesti morbidi, lenti e rotatori per comunicare senso di rilassamento e incoraggiare ad andare avanti nella conversazione;
  • metafore non verbali utilizzando il body language, che dimostrano comprensione di quanto detto dalla controparte.

Sul piano non verbale, dobbiamo sempre considerare che numerose culture frenano l’espressione non verbale delle emozioni (es: quelle asiatiche), ma che anche questo dato è uno stereotipo comunicativo, di valenza solo probabilistica e non consegna certezze.

In sintesi, le tecniche principali per un accolto efficace sono:

  • curiosità e interesse;
  • parafrasi: ripetere con le proprie parole quanto capito (questo non equivale ad essere d’accordo con quanto detto dall’altro);
  • sintesi e riassunti: riformulare la “storia” nei suoi punti salienti, per consolidare quanto raccolto;
  • dirigere l’ascolto tramite domande mirate (ricentraggio conversazionale) per far luce sui punti ancora oscuri o i passaggi ancora non ben chiari;
  • evitare domande eccessivamente personali finche non si sia creato un rapporto solido e “caldo”;
  • offrire al parlante la possibilità di dare feedback sul fatto che quanto capito sia corretto, accurato o invece distorto o lacunoso;
  • ascoltare non solo le parole ma anche i segnali non verbali per valutare i sentimenti e stati d’animo;
  • verificare la corretta comprensione sia dei sentimenti che del contenuto, non ignorare l’aspetto dei sentimenti;
  • non dire alle persone come dovrebbero sentirsi o ciò che dovrebbero pensare (nella fase di ascolto, limitarsi a trarre informazioni, senza voler insegnare o valutare).

Ancora una volta, sottolineiamo che questi atteggiamenti sono preziosi e determinano la qualità della fase di ascolto, ma non vanno confusi con gli obiettivi di tutta la negoziazione (che prevede sia fasi di ascolto che fasi propositive e affermazioni anche dure o assertive). 

In una negoziazione è possibile (ed è anzi uno degli obiettivi strategici) modificare ciò che gli altri pensano (ristrutturazione cognitiva e persuasiva) o come gli altri si sentono (azione emozionale), ma questo obiettivo verrà perseguito solo ed unicamente se prima il negoziatore sia riuscito a porre in essere un ascolto attivo , attivando l’empatia necessaria per capire in quale quadro si stia muovendo.

I livelli di ascolto

Possiamo individuare una scala del livello di ascolto:

  • Ascolto schermato / distorsivo: non capire, non prestare attenzione, distorcere i dati in ingresso, i dati reali (fisici e emotivi) non vengono veramente percepiti, ma distorti, percezione limitata e/o errata, barriere culturali, di ruolo, pregiudizi, antipatie, antecedenti, stati emotivi del momento, scarse energie fisiche e mentali, poca umiltà.
  • Ascolto giudicante / aggressivo : interrompe continuamente, attacca, giudica e valuta, disapprova quanto detto, nessuno sforzo di capire o approfondire, caratterizzato dal fatto che non si ascolta veramente, ma si raccolgono informazioni per poi emettere immediatamente sentenze e giudizi. L’ascolto giudicante può emergere anche da una smorfia sottilissima emessa con un segnale non verbale quale “storcere il naso” durante un’affermazione altrui che non approviamo, e non è da confondere con la partecipazione emotiva a quanto detto dall’altro.
  • Ascolto apatico / passivo: privo di energia, stanco, “morto”, spento, nessun cenno del capo o altro segnale “fàtico” (segnali di contatto), disinteresse verso il comunicatore
  • Ascolto a tratti: attento in alcuni momenti, distratto in altri, viene espressa attenzione discontinua, vi sono pensieri o attività che interferiscono, poca concentrazione, si perdono brani.

Abbiamo poi fasi decisamente migliori quali:

  • Ascolto attivo / supportivo : Il soggetto viene incoraggiato a proseguire, aiutato ad esplorare i concetti, supportato tramite domande di approfondimento, aperte e chiuse. Forte partecipazione del body language, utilizza segnali corporei e verbali di partecipazione a quanto detto, riformulazioni e altri dispositivi linguistici e non verbali che servono per dare il segnale “quello che dici mi interessa, ti sto seguendo”.
  • Ascolto empatico: Sospensione del giudizio, interesse genuino, ascolto avalutativo, curiosità, azioni di approfondimento e metacomunicazione, l’ascolto degli strati profondi, la capacità di sintonizzarsi e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone.
  • Ascolto simpatetico: Dimostrazione di vicinanza, affetto, piacevolezza, esprime non solo comprensione ma apprezzamento, calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro. 

Una nota importante sull’espressione di simpatia durante le fasi di ascolto: dimostrare simpatia non è obbligatorio. Se la nostra espressione è finta, verrà colta. Dobbiamo essere il più possibile autentici e veri. Non consigliamo di inoltrarsi in un ascolto simpatetico falso ma di compiere un’operazione decisamente più difficile e professionale: cercare nell’altro le “cose buone” che emergono, partendo dal principio che anche persone che non ci piacciono possono tuttavia avere alcuni tratti e caratteristiche che sono comunque interessanti. Non dobbiamo partire con un senso di superiorità ma con un atteggiamento di vero interesse per la scoperta di quanto può emergere.

Se poi la gradevolezza è vera, questo livello di ascolto verrà fuori naturalmente, ma è essenziale non bloccarlo a priori in nome di una presunta “freddezza professionale” che non è l’obiettivo vero di un ascolto di qualità.

Dobbiamo anche distinguere un altro aspetto fondamentale dell’ascolto: la presenza di almeno due diversi piani di ascolto: i dati e gli stati emotivi. Questo qualifica la differenza tra un ascolto informativo e un ascolto psicologico.

Ascoltare dati non equivale ad ascoltare stati emotivi.

Possiamo infatti applicare un ascolto di tipo:

  • psicologico : Interesse per gli aspetti psicologici, ascolto viscerale, delle sensazioni, del livello umano, attenzione centrata sulla persona e sul suo vissuto, ascolto di emozioni, stati umorali, sensazioni, rapporti umani.
  • tecnico-informativo : ascolto meccanico, concentrato sui dati, numeri e fatti.

Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.


[1] Rogers, Carl R. (1961). On becoming a Person. Boston, Houghton Mifflin.

Rogers, Carl R. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Boston, Houghton Mifflin.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Dall’ascolto selettivo, attivo, empatico e simpatetico

  • Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo

    condivisibile, si prega di citare sempre la fonte.

  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.
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Ascolto Selettivo

Con l’ascolto selettivo superiamo la “zona rossa” dell’ascolto ed entriamo in modalità che possono essere utili.

L’ascolto selettivo, pur non essendo empatico negli intenti, va a cercare informazioni molto precise, che possono essere sia oggettuali (cose, persone, tempi) che emozionali (stati d’animo, sentimenti), rispetto ad un certo episodio o tema in fase di esplorazione.

Chi vuole fare ascolto attivo deve conoscere l’ascolto selettivo, perché in alcuni momenti è essenziale saper “smontare un episodio” negativo, per capire cosa non fare più, e saper smontare episodi positivi, per capire i fattori di successo che siamo riusciti a creare, e come si sono succedute precisamente le catene di eventi.

Alcune tecniche di ascolto qui diventano fondamentali:

  • Reflecting: fare da specchio, riformulare quanto si è capito. Consente di poter precisare meglio e apre altro contenuto.
  • Deflecting. Riconoscere immissioni di temi che non c’entrano e riuscire a farli uscire dalla conversazione, smorzarli ed espellerli.
  • Probing. Mettere alla prova un’informazione con una domanda collegata, es chiedere “visto che mi hai detto che è arrivato tardi, quando è poi arrivato?”. Utile per approfondire.
  • Recap: ricapitolazione e rilancio. Fare delle ricapitolazioni di quanto raccolto sinora e aprire “ok siamo arrivati al punto in cui ti presenti per il colloquio, ti fanno aspettare, tu inizi ad agitarti, entri e non sai più cosa dire. Poi cos’è successo?”
  • Contatto: costanti segnali di contatto visivo, cenni del capo, espressioni gutturali e paralinguistiche (uhm, ah, oh), tutto ciò che sia segnale “Fàtico” (i segnali fàtici sono quelli che dicono, in sostanza, “ci sono”, sono qui per te).

Tutte queste tecniche saranno approfondite meglio quando parleremo di “analisi della conversazione”, tuttavia è bene già da ora sapere che esistono, e che un ascolto attivo, selettivo o empatico, usa tecniche precise, oltre alla volontà

Nell’ascolto selettivo, siamo estremamente focalizzati nel capire una cosa specifica, una questione specifica su ciò che pensa l’altra persona, o un’informazione precisa che vogliamo cogliere.

Tutto il resto non ci interessa.

La nostra presenza mentale è accesa, acuta, ma diretta come un laser verso un punto informativo, e non – come nell’ascolto empatico – accogliente verso qualsiasi cosa emerga.

Quando emerge qualcosa che non ci interessa, riportiamo con domande la conversazione sul “focus” che ci interessa.

In termini di efficienza ed efficacia dell’ascolto selettivo, le nostre domande diventano “diagnostiche” solo quando riescono a depurare il quadro da ciò che non ci interessa veramente per cui per praticarlo bene serve tecnica e studio.

Anche nella vita quotidiana accade, e non c’è da preoccuparsene. La questione può essere “a che ora tornerai a casa?” e può interessarci solo e unicamente avere un’ora, e nient’altro.

Dobbiamo preoccuparci invece se l’intenzione è di fare ascolto attivo ed empatico su un vissuto emotivo e umano, ed escono solo domande di precisazione.

Se chiediamo con ascolto selettivo “dove vorresti andare in vacanza” l’ascolto andrà ad incentrarsi solo sul “dove” trascurando però il “come”, la “natura sottile” del tipo di vacanza che l’altro vorrebbe fare.

Praticare ascolto selettivo non è in se sbagliato o giusto. Dipende dalla coerenza tra il nostro scopo sottostante e il tipo di domande che escono.

L’ascolto selettivo non è in sè quindi nè giusto nè sbagliato, possiamo valutarlo in base al fattore empatia – se il nostro scopo è creare empatia, va dosato molto attentamente. L’empatia è un processo che “accoglie” piuttosto che escludere e quindi l’ascolto selettivo è ottimo per raccogliere dati e molto scarso per far entrare veramente le emozioni.

Ascolto attivo

Un buon ascoltatore aiuta ad ascoltare noi stessi.
(Yahia Lababidi)

Quando pratichiamo ascolto attivo siamo immersi in un’attività speciale. Stiamo dando interesse, nostro tempo, nostra energia, per capire una persona, i suoi dati, i suoi contenuti, le sue intenzioni, e un brano della sua storia.

Le persone sono generalmente diffidenti nell’aprirsi e raccontare di sè stessi, del proprio intimo, persino a se stesse. L’ascolto attivo offre una “piattaforma di vita” dove le parole altrui e i pensieri altrui possano delicatamente e progressivamente poggiarsi.

Perchè ad ogni apertura, segue una maggiore apertura, sino a che il “nucleo” della persona si rivela per ciò che è, nel suo splendore, nel suo dolore, nella sua verità.

Arrivare al “nucleo” richiede tanta strada, ma si può fare. Dal nulla dell’ascolto schermato, ogni piccolo passo in avanti verso il “condividere” è sempre significativo.

“Parlate delle vostre cose il meno possibile e solo a quelli che sapranno darvi incoraggiamento e ispirazione.”

Florence Scovel Shinn

La persona si impegna nell’ascolto, di base, vuole ascoltare, lo considera un fatto importante, importante al punto di frenare il suo pensiero, il dire come la pensa, frenare il fatto di “prendere il turno della converazione” per fare un’arringa o esprimere opinioni.

L’ascolto attivo si concentra sul fatto di ascoltare. Lo fa con le parole, con le domande, e anche con il corpo, utilizza segnali corporei e paraverbali di partecipazione a quanto detto, riformulazioni e ricapitolazioni dei contenuti percepiti, e altri dispositivi linguistici e non verbali che servono per dare il segnale “quello che dici mi interessa, ti sto seguendo”.

Si può praticare ascolto attivo per due grandi classi di interessi, persino opposte una dall’altra.

Lo si può fare come atto estremo di amore, un dono che facciamo ad una persona amica, o un momento di grande umanità in cui ci interessiamo agli altri.

Oppure, può trattarsti di un ascolto estremamente strategico, un ascolto professionale nel quale le informazioni racchiuse nella mente di qualcun’altro ci servono. Ci servono per aiutare l’altro stesso, come nel coaching o nella terapia, o ci servono per dirigere un’organizzazione, o per prendere decisioni, come nella leadership.

In ogni caso, quanto abbiamo nella nostra mente si arricchisce sempre, grazie all’ascolto degli altri.

Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri.
(Leonardo da Vinci)

E’ naturale che da un ascolto attivo emergano più informazioni e la persona possa anche esporre informazioni emotive, tanto più profonde quanto più l’ascoltatore s’impegnerà nel non dare giudizi, non giudicare, non interrompere, non “interpretare”.

L’ascolto attivo richiede energia, impegno, un corpo riposato, una mente attenta e vigile. Quando siamo in questa modalità, anche un solo cenno di sopracciglio non colto, può farsi perdere informazioni preziose.

“Uno non può distrarsi un momento che rimane fregato per tutta la vita!”

Micaela Ramazzotti – Anita

Ascolto empatico

Ascoltare senza pregiudizi o distrazioni è il più grande dono che puoi fare a un’altra persona.
(Denis Waitley)

L’empatia è uno stato superiore, estremamente avanzato, di una relazione umana. Potremmo definirlo un apprendere a mettersi nei panni degli altri per poter sentire quello che essi provano.

L’empatia in sè non è nè buona nè cattiva, e infatti si può utilizzare l’empatia strategica anche per capire come ragiona un ricercato, e quale sarà la sua prossima mossa (empatia strategica).

In generale, nei rapporti umani quotidiani e professionali, l’empatia è positiva ed è anche merce rara.

La coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre.

Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l’altro e celebrare la sua vita.

(Jeremy Rifkin)

L’empatia è rara perché richiede la sottile capacità di sintonizzarsi emotivamente, e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone.

Utilizza inoltre la metacomunicazione (letteralmente “comunicare sulla comunicazione stessa”) ad esempio chiede senza timori il significato di un termine che non comprende, o, nelle poche occasioni in cui l’ascoltatore parlerò, lo farà per spiegare concetti che servono al processo comunicativo stesso.

L’ascolto empatico è di una rarità impressionante. Possiamo dire di averlo incontrato l’ultima volta in cui una pesona ci abbia dedicato un’ora di tempo senza raccontarci niente di lui o lei, e ascoltando solo quello che noi avevamo da dire, e facendoci domande per capire meglio, non solo le nostre informazioni, ma le nostre emozioni. Bene, se è successo, si è trattata probabilmente di una sessione di coaching, di counseling o di terapia.

Periodi più brevi ma dotati della stessa intensità di ascolto si incontrano a volte nella vita, nelle amicizie vere, o tra veri compagni sul lavoro, ma non è detto che l’attenzione sia sempre tutta e solo spostata su uno dei soggetti, come invece avviene nell’empatia.

E del resto, se servono corsi specifici per imparare l’empatia, è perchè la scuola, la formazione, i libri, sono sempre molto spostati sul parlare bene, sul comunicare dicendo noi cosa pensiamo, piuttosto che sull’ascoltare.

Come c’è un’arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è pure un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia, non è stata mai data norma.
(Primo Levi)

La componente più difficile dell’ascolto empatico è certamente la sospensione del giudizio.

Se qualcuno dice “ho picchiato mio figlio” o “ho gettato il sacco della spazzatura dal finestrino”, è praticamente impossibile non giudicare negativamente.

Ma la “sospensione” del giudizio significa appunto “sospenderlo”, non farlo sparire. Sospenderlo affinchè possiamo meglio capire cosa, dove, come, perchè avvengono certe cose. Se non lo facessimo avremmo perso larga parte delle informazioni che invece potevano uscire.

Il giudizio è la parte meno interessante dell’ascolto.

(Anonimo)

Ascolto simpatetico

A volte, ci sono delle simpatie così forti che, incontrandosi per la prima volta, sembra di ritrovarsi.

 (Alfred de Musset)

L’ascolto simpatetico ha il fine non solo di ascoltare ma anche di dimostrare affettività e simpatia verso l’altro. È un ascolto non necessariamente migliore di quello empatico, ma solo diverso.

Nell’ascolto simpatetico, la priorità è dare all’altro la sensazione di piacevolezza e vicinanza.

È essenziale far capire che ci interessa quanto sta dicendo, non solo per i dati, ma per la persona che li esprime. Ascoltare in questo caso diventa parte di un gioco che ha una componente seduttiva, quello che ci interessa non è solo una fredda analisi di dati e parole, ma vi è un forte stato di ammirazione o apprezzamento.

Dimostra quindi calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro, sia con le parole che con il sistema non verbale.

Consideriamo un fattore molto pratico. L’ascolto simpatetico è un ascolto che “avvicina”, e avvicinare relazionalmente la persona che vogliamo ingaggiare può essere un’ottima strategia psicologica per aprire poi varchi verso un ascolto più profondo.

“Noi siamo soliti considerare come buoni ascoltatori solo quelli che condividono le nostre opinioni.”

François de La Rochefoucauld

L’ascolto simpatetico può essere facilmente giudicato come un ascolto “ruffiano”, ma chiediamoci se viviamo in una società avara di complimenti o prodiga di giudizio e accusa quando facciamo qualcosa di male, mentre quando facciamo qualcosa di buono, il silenzio predomina.

Allora, un ascolto simpatetico, quando ci sta, quando c’è l’occasione, non è mai un regalo di poco conto.

Se quando ascoltiamo qualcuno, qualcosa di positivo riverbera in noi, lasciamo che sia, e non vergognamoci a farlo trasparire come apprezzamento.

“Il canto del mare termina sulla riva o nei cuori di chi l’ascolta?”

Khalil Gibran

Concludiamo con una breve riflessione.

Nel corso del libro incontreremo tante tecniche, modalità, strategie, per praticare un ascolto attivo e in profondità. Per entrare nella mente e nei cuori, o per estrarre informazioni, o per lavorare assieme meglio.

Ma qualsiasi sia il nostro intento e il bagablio di tecniche, ve ne è una, che davvero non posso insegnare ma solo suggerire: la volontà di ascolto.

La chiave per un buon ascolto non è la tecnica, è il desiderio.

Fino a quando non vogliamo davvero capire l’altra persona,

non potremo mai ascoltare bene.
(Steve Goodier)

 

  • Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo condivisibile, si prega di citare sempre la fonte.
  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.
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