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apprendimento associativo

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Apprendimento non associativo

Questo tipo di apprendimento si divide in abitudine e sensibilizzazione. Nel presentare queste due diverse modalità di apprendimento farò uso di esempi pratici. Immaginiamoci una tartaruga che si muove tranquillamente nel suo giardino. Ad un tratto, colpiamo il terreno vicino ad essa con un oggetto e come immediata risposta notiamo come la tartaruga rientri all’interno del guscio. Se continuassimo a colpire vicino a lei, noteremo che a mano a mano che perpetuiamo il movimento, la sua risposta sarà di volta in volta più lenta. Questo comportamento rientra in quella che viene definita abituazione alla situazione. La sua funzione è quella di eliminare delle risposte non necessari a stimoli provenienti dall’esterno. L’effetto opposto all’abituazione è quello della sensibilizzazione: se invece di infastidire la tartaruga come avevamo descritto precedentemente, la sottoponessimo ad uno shock (come una scossa elettrica) ella si ritirerebbe nel guscio molto più velocemente a qualunque stimolo si presentasse nuovamente.

Apprendimento associativo

Apprendimento associativo classico

L’apprendimento associativo si divide in classico, operante e complesso. L’apprendimento associativo classico, chiamato anche condizionamento classico consiste in un processo in cui uno stimolo precedentemente neutrale si associa con un altro stimolo. Dopo svariate associazioni abbinate avverrà una produzione della stessa risposta del primo stimolo ricevuto. Ivan Petrovic Pavlov, premio Nobel per la medicina nel 1904, stava studiando la produzione di saliva nei cani in risposta a determinati stimoli. I cani, ovviamente, in presenza di cibo aumentavano la produzione di saliva. Pavlov decise così di associare alla presentazione del cibo, il suono di una campanella che configurerebbe come lo stimolo neutro. Dopo varie e successive associazioni di questo tipo, il cane iniziò il processo di salivazione al solo suono della campanella.

Apprendimento associativo operante

Passando all’apprendimento operante, questo si differenzia dal classico per via del fatto che si apprendono nuove risposte perché influenzano l’ambiente circostante. Questo modello di apprendimento si basa sul concetto di stimolo-risposta-conseguenza.  L’esempio più famoso è quello della puzzle box di Thorndike. Immaginiamoci una specie di gabbia in cui inseriamo un gatto (o un altro animale) all’interno: egli è libero di esplorarla, e può anche premere tasti o spostare delle leve. In generale l’apprendimento operante consiste nell’ agire tramite un comportamento bene preciso, che se ha un effetto positivo sulle nostre intenzioni verrà presentato con una frequenza maggiore.

Apprendimento associativo complesso

Quest’ultimo si basa su rappresentazioni mentali ben più complesse rispetto alle semplici associazioni che avvenivano precedentemente: stiamo parlando delle capacità di problem solving di un individuo, processi di decision making e concetti astratti come quello di causa. Wolfgang Köhler introdusse il concetto di “insight” osservando il comportamento degli scimpanzé di fronte a situazioni difficoltose, come ad esempio il dover arrampicarsi su una scatola per riuscire ad afferrare una banana. Di fronte a tali situazioni si rese conto che gli scimpanzé riuscivano a trovare una soluzione al problema in modo improvviso e non a fronte di errori ripetuti nel tempo. Köhler suggerisce che l’apprendimento per insight è composto da due fasi differenti: la prima è la capacità di risoluzione di un problema, la seconda è la memorizzazione della soluzione e l’applicazione della stessa in un’altra situazione. Konrad Lorenz ha definito un altro metodo di apprendimento chiamato “imprinting” che gli è valso il premio Nobel per la medicina e la fisiologia del 1973. Secondo la sua teoria, gli esseri viventi possiedono una capacità innata di apprendimento dall’essere biologico (una figura materna) su cui viene costruito un modello comportamentale istintivo. Questo è stato osservato da Lorenz stesso sui piccoli di oca: la figura con cui essi interagivano nelle prime 48 ore di vita, sarebbe diventata di riferimento, generando un imprinting e facendogli credere che sia la loro vera madre, a prescindere dalla specie di appartenenza (uomo o altro animale). L’imprinting è stato osservato anche nel genere umano da Renè Spitz e avviene nei primi nove mesi di vita di un bambino: nel caso venisse a mancare la formazione di questo tipo di legame, come è stato osservato da Spitz stesso, sorgerebbero problemi legati allo sviluppo e alla regolazione psicologica dell’individuo.

Gli esempi di apprendimento che ho riportato, facendo riferimento sia all’attività della mente, sia a quella “materiale” del cervello evidenziamo come l’intenzionalità e i processi cognitivi (tra cui l’apprendimento) negli uomini siano meccanismi che sorgono dalla continua interazione di componenti biologiche e condizioni culturali. Non esiste un solo modo di conoscere e imparare, così come non esiste un solo modo di comportarsi di fronte ad un’unica situazione. Di fronte ad un discorso del genere sembrerebbe che le macchine o intelligenze artificiali non siano coinvolte nei processi di apprendimento, relegando le stesse in una condizione di strumento che qualora voglia “arricchire” le proprie competenze deve fare affidamento sulle capacità di programmazione dell’uomo. Ma, seppur non siano in grado di compiere dei processi cognitivi e non siano dotate di intenzionalità, le intelligenze artificiali sono in grado di imparare.

Estratto dalla tesi di Laurea in Filosofia, Teorie e sistemi dell’intelligenza artificiale, a cura di Federico Malpighi. Alma Mater Studiorum Università di Bologna.