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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Conoscenza e consapevolezza del cliente

Nella vendita consulenziale è indispensabile acquisire la capacità di compiere diagnosi e analisi della controparte, il sistema complesso con il quale stiamo per interagire.

L’analisi è fondamentale per far emergere il sistema cliente in tutta la sua pienezza, anticipare i possibili rischi, e cogliere tutte le opportunità che esso racchiude.

Ecco i tratti principali della conoscenza del sistema-cliente:

  1. Chi sono loro – Con chi tratto
  2. Chi e cosa rappresentano
  3. Storia e network
  4. Missione e posizionamento
  5. Bisogni latenti (BSS), espressi e potenziali
  6. Livelli di arousal e stati emotivi – 
  7. Grado di “copertura” – Fornitori
  8. Sociogrammi decisionali
  9. Cultura e stili comunicazionali
  10. Potenziale economico e relazionale

Chi sono “loro” – Con chi tratto

In genere, l’”altro” – in termini commerciali e negoziali – è un soggetto pericoloso solo finché non lo si conosce bene. 

Larga parte dell’attività consulenziale – anche nella vendita – consiste esattamente nel conoscere l’”altro”, il sistema-cliente, le sue strutture, i suoi funzionamenti, i suoi bisogni dichiarati e quelli latenti. 

Questo significa ricercare sintomi e “segnali deboli”, capirne le finzioni e le realtà, svelarne le contraddizioni. Il teatro è maestro nella capacità di svelare le contraddizioni. Molte rappresentazioni giocano tutto il loro valore sullo smascheramento, sul meccanismo del “giù la maschera”, seguito spesso dal “vediamo cosa c’è realmente sotto la maschera”. 

Smascherare, e farlo delicatamente e artisticamente, senza urtare le difese psicologiche della controparte (o farlo solo come strategia e non involontariamente), è uno degli obiettivi della vendita consulenziale e della negoziazione. 

Nel teatro, la “rivelazione” o “smascheramento” è il momento in cui il grande avvocato da tutti temuto si dimostra cornuto, o incapace di educare il figlio che diventa paradossalmente un ladro. 

È il momento in cui tutta l’impalcatura drammaturgica crolla, è lo “strappo nel cielo di carta” del teatrino delle marionette ci cui ci parla Pirandello, il momento in cui il pubblico si accorge che è in corso una recita, il momento in cui siamo costretti a prendere atto che è in corso una rappresentazione scenica e non ci stanno esponendo una realtà ma una sua visione spesso distorta, lacunosa, artefatta. 

Basare una vendita su dati distorti, lacunosi, artefatti, incompleti, non è certo garanzia di successo.

Chi e cosa rappresentano

Ogni azienda è parte di qualche sistema politico o istituzionale, di un network evidente o latente, di qualche cultura o mondo, e “sta per” (rappresenta) qualcosa di altro. 

La scienza semiotica (scienza dello studio dei segni e dei sistemi di comunicazione simbolica) ci aiuta a far luce sui simbolismi che le aziende utilizzano ( lato denotativo ) e sui significati che assumono ( lato connotativo ). 

Conoscere il livello semiotico, capire il senso del “stare per” e del “significare qualcosa”, è indispensabile. Dobbiamo distinguere le rappresentazioni istituzionali dalle rappresentazioni di ruolo. Ogni negoziazione infatti subisce il problema della stratificazione dei ruoli, della molteplicità dei ruoli compresenti in un individuo, e della confusione su chi abbia veramente il potere decisionale.

Spesso dietro ai simboli di potere ostentato (uffici in centro, vestiti eleganti, siti web evoluti) si nasconde un vuoto e una misera colossale. Non dobbiamo prendere quindi per “veri” i segnali denotativi, ma prenderli solo come “indizi” di qualcosa che deve essere esplorato e convalidato.

Potremmo avere una trattativa con un buyer di un colosso industriale, che rappresenta la formalizzazione della burocrazia di acquisto, ma dal potere decisionale nullo, oppure un colloquio con un personaggio apparentemente secondario ma che in realtà rappresenta la famiglia che detiene il controllo azionario, e funge da gatekeeper (controlla il “cancello” di alcuni rami di potere aziendale) – un vero decisore e influenzatore. 

Nulla deve essere dato per scontato.

Storia e network

La storia di un’azienda è fondamentale per capire le sue evoluzioni attuali. Una delle attività essenziali del venditore consulenziale e negoziatore di alto livello, è lo studio della storia del cliente o controparte, i suoi cambiamenti epocali e i micro-mutamenti che si trova a subire a causa della concorrenza, della tecnologia, della legislazione e dell’ambiente. 

Chi comanda adesso, chi comandava prima, e perché chi comanda adesso è nella condizione di farlo. In che posizione del suo ciclo storico è un certo decisore? È in fase di declino e sta per lasciare l’azienda o è una new-entry nel ruolo e ha bisogno di dimostrare la sua capacità?

Fare vendita consulenziale significa entrare nei processi del cliente, fare “consulenza di processo”[1] nella vendita significa capire la traiettoria del cliente (passato, presente, ipotesi di possibili futuri) e inserirsi come elemento utile. 

Il network riguarda le reti di rapporti in cui è inserita l’azienda, ad esempio – se trattiamo con la grande distribuzione – dobbiamo sapere se stiamo trattando con una grande cooperativa legata al settore della “cooperazione bianca” di ispirazione cattolica, o se essa si riconosce ed è inserita nell’area della “cooperazione rossa” di sinistra, o se invece appartiene ad aree conservatrici, o altri network industriali o politici. 

I profili di appartenenza ai network creano profondi vincoli sulle scelte, soprattutto vincoli politici, mentali, ideologici e influenzano la decisione dei partner e fornitori cui affidarsi. 

È sbagliato basare una vendita consulenziale sulla sola pura politica o appartenenza ad un network, ma dimenticare questo dato può creare gaffe ed errori conversazionali, conoscerlo invece permette di anticipare alcuni meccanismi di funzionamento del cliente (anticipare, non certo prevedere esattamente). 

Nessun ragionamento euristico (stereotipi di ragionamento, es: è cattolico quindi….) deve essere preso come assoluto e dato per scontato. 

Missione e posizionamento

La missione rappresenta “cosa fai per chi”e “a chi sei utile e per cosa” e non va confusa con l’obiettivo economico del vendere e guadagnare. 

Il ragionamento sulla missione è intriso, nella mente di molti manager, di un costante fraintendimento tra (1) ottenere risultati aziendali per sè (vendere, guadagnare), e (2) portare risultati ai clienti, avviare “relazioni di aiuto”.

Il senso vero della missione è portare risultati ai clienti, e questo è l’unico motore vero delle vendite, è ciò che le rende possibile.

Per poter vendere, nel B2B (vendita da impresa ad impresa) dobbiamo capire come la nostra soluzione può aiutare ad aumentare il valore complessivo che il cliente può offrire ai propri clienti. Dobbiamo ancora una volta entrare nei processi e capire la catena del valore dell’impresa cliente.

Anche nel negoziare, dobbiamo capire se le nostre proposte o soluzioni aiutano la controparte a risolvere un suo problema e non solo un nostro problema.

Dobbiamo capire se e dove i nostri flussi di valore possono avere impatto sui flussi di valore che il nostro cliente potrà portare ai propri clienti o interlocutori-chiave. 

Se uno dei nostri vantaggi competitivi ipotizzati è il tempo di consegna rapido (elemento del marketing mix), non è detto che esso sia anche un elemento del value mix (il mix di valore effettivo percepito dal cliente). 

Il tempo di consegna rapido può impattare positivamente i tempi di consegna del cliente ai propri clienti? Gli è stato richiesto? O è abbastanza marginale? 

Nessuna risposta che vale per un cliente vale automaticamente anche per un altro.

È importante per il cliente ottenere miglioramenti sui tempi di consegna? Se si, abbiamo una carta da giocare, se no (e non vi sono altri fattori organizzativi da considerare) si tratta di un vantaggio inutile, puramente autoreferenziale (un puro parlarsi addosso, vuoto, improduttivo).

Centrare la missione del cliente e il suo posizionamento ci aiuta a negoziare per creare il successo del cliente negoziale, ancora prima del nostro.

Se riusciamo a diventare un elemento del successo del cliente, il nostro successo sarà una semplice conseguenza.

I bisogni possono essere espressi e formalizzati, oppure latenti e non pronunziati, per numerosi motivi (desiderio di coprire informazioni, bisogno di gestire l’immagine pubblica, di non rivelare debolezze). 

Bisogni espressi, latenti (BSS), e bisogni potenziali.

I bisogni latenti partono dalla radice del Bisogno Sottostante Servito (BSS) del cliente. I desideri di acquisto di un cliente possono essere portati sul tavolo della negoziazione, oppure rimanere latenti, o ancora stare nel non detto

I bisogni latenti sono diversi dai bisogni potenziali in quanto un bisogno potenziale non è allo stato di consapevolezza nel cliente, si tratta di qualcosa di non ancora pensato nemmeno dal cliente.

Un BSS rappresenta la motivazione sottostante l’acquisto. Esempio: compriamo un PC portatile per soddisfare l’esigenza di scrivere o analizzare dati, e farlo anche potendosi spostare. Vogliamo una videocamera per poter fissare ricordi e momenti. Qualsiasi tecnologia ci aiuti a “fissare ricordi e momenti” per poterli rivedere in seguito, copre il BSS, e quindi è essenziale concentrarsi sul bisogno e non solo sul prodotto.

  1.  Quali sono i veri bisogni del cliente? Li abbiamo capiti davvero?
  2. Quanto bene sta risolvendo il prodotto le esigenze di base per cui viene acquistato? E’ una soluzione già ottimale, o si può fare di meglio?
  3. Quali spazi scoperti e margini di miglioramento rimangono? 
  4. Come evolve la domanda e quali nuove caratteristiche possono costituire fattori di successo? Le aspettative e attese crescono, e in che direzione? 
  5. Quali trend di scenario hanno il potenziale di incidere sul nostro futuro, e cosa faremo per utilizzare i trend anziché esserne sommersi?

Livelli di arousal e stati emotivi

L’analisi motivazionale del cliente ci porta a chiederci perché è in corso un tipo di bisogno e se possiamo rispondervi, o se possiamo stimolare un bisogno nel caso siamo convinti di poter portare un beneficio al cliente. 

L’analisi emotiva ci porta ad interessarci del quanto forte è un livello di bisogno, quali emozioni si associano nel cliente a questo bisogno (ansia, tristezza, gioia, aspettativa, disagio nel parlarne, gioia del parlarne, e altri stati emotivi). 

L’arousal è l’attivazione del cliente, il suo grado di “agitazione interiore”, la tensione sottostante il bisogno. Ad esempio, può esistere un bisogno disperato ma questa urgenza viene mascherata (ancora una volta teatralmente) come semplice curiosità.

Grado di “copertura” – Fornitori

Quanto risulta “coperto” un cliente dai fornitori che ha già? La nostra controparte ha già qualcuno che sia in grado di coprire le esigenze? Qualcuno che possa dare risposte a bisogni sentiti o emergenti? 

L’analisi diventa interessante soprattutto sui bisogni non ancora espressi o sui bisogni potenziali e futuri, che ancora non si sono manifestati ma presto potrebbero farlo.

Capire su quali piani e bisogni un cliente è “scoperto” o ha poco margine di sicurezza nei fornitori attuali è un’acquisizione informativa essenziale.

Sociogrammi decisionali

Con chi trattare? Per saperlo, è necessario capire gli influenzatori del processo di acquisto, chi è con e chi è contro, chi è neutro, chi gioca su un tavolo aperto e chi gioca “sotto il tavolo”. Capire quali sono le relazioni e i giochi di potere, i rapporti di forza nella controparte, è un elemento chiave.

Nelle vendite e nelle negoziazioni complesse è essenziale riuscire a risalire la catena decisionale, arrivando al top delle organizzazioni. Occorre arrivare ai livelli decisionali che contano, e farlo per gradi o direttamente, a seconda di quanto “schermati” e filtrati siano questi livelli.

È anche importante riuscire a presidiare diversi livelli organizzativi (uscire dal solo settore acquisti, parlare anche con il marketing, con le vendite, con l’amministrazione o con l’area produzione e con l’area qualità), per iniziare a creare un consenso allargato verso la nostra azienda e la nostra proposta.

Questa attività di relationship building è essenziale per creare basi solide nel sistema-cliente.

Cultura e stili comunicazionali

Quali regole vigono in azienda e nel cliente, quali valori, simboli, abitudini, modi di essere, stili di gestione, stili di comportamento e comunicazione. Anche in questo caso valgono le regole di riconoscimento, per capire quale stile è attivo tra le tante possibilità.

Potenziale economico e relazionale

Da un’analisi complessiva dei dati, possiamo ricavare il potenziale del cliente. L’analisi comprende il potenziale economico degli acquisti, i volumi attuali e futuri, il tipo di rapporto avviabile, i rientri materiali e immateriali che possono arrivare da questo rapporto.

Dovremo quindi valutare attentamente alcuni aspetti indispensabili, come le caratteristiche del cliente (dimensioni, fatturato, settore), i costi logistici di ingresso (cliente comodo da raggiungere e servire), quante e quali risorse sarà necessario dedicargli, i termini e le modalità di pagamento, ed ancora, se è un cliente che offre buone prospettive (dirette o indirette) per espandere i nostri contatti, un cliente dal buon potenziale economico, dove praticare prezzi remunerativi con la possibilità di sviluppare margini adeguati.

Pertanto il nostro interesse per questo tipo di cliente (valore d’immagine e relazionale), non dipende solo dai fatturati generabili, ma dall’immagine che ne deriva, dalla possibilità di ingresso in aree di mercato nuove o interessanti e diversi altri fattori intangibili.

Per ciascuna “falla” o segnale dovremo valutare se e come muoverci.


[1] Vedi Schein, E. (2001). La consulenza di processo. Come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Raffaello Cortina Editore

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Articolo estratto dal testo “Self Power, psicologia della motivazione e della performance“, copyright FrancoAngeli Editore e Dr. Daniele Trevisani Formazione Aziendale e Coaching, pubblicato con il permesso dell’autore.

Emozioni alfa ed emozioni beta

Le performance possono essere aumentate:

  • Lavorando sulle emozioni alfa, emozioni per il risultato, attivazioni positive che accompagnano obiettivi da raggiungere. Lavoro sulle emozioni interne o profonde, emozioni finalistiche legate al fine
  • Lavorando sulle emozioni beta, emozioni dell’azione, la percezione positiva delle azioni in sè, ristrutturando il vissuto percettivo delle fasi di preparazione, di training, di azione stessa da compiere durante le performance. Questo lavoro prevede l’uso di tecniche atte a far apprezzare le finestre di sensazioni (sensation windows) che un’attività può offrire.

Ogni risultato prevede necessariamente impegno ed azioni da intraprendere e non si può mai prescindere dal piano sentimentale o affettivo di come viviamo un obiettivo. Vi sono stati emotivi che precedono addirittura l’azione stessa, le emozioni legate alle decisioni da prendere e alle priorità da dare, la preparazione mentale all’azione.

Ovviamente, le decisioni migliori vengono prese in condizione di rilassamento e contatto interiore con sé stessi, con le proprie aspirazioni. Le decisioni prese quando prevale l’emotività negativa annebbiano la visione degli obiettivi.

Ascoltare l’istinto e le emozioni, riuscire a canalizzarle e alimentarle, sono competenze su cui lavorare.

Dieci competenze emotive

Se sul piano personale siamo liberi di ascoltare o meno le emozioni, nelle decisioni professionali siamo costretti ad amplificare le nostre capacità. Le principali competenze emozionali su cui focalizzarsi sono:

  • Auto empatia emotiva: riconoscere le emozioni che si provano personalmente,.
  • Empatia emotiva: riconoscere le emozioni che prova l’altro.
  • Emotional shielding: fare scudo alle emozioni negative, agli inondamenti emotivi negativi.
  • Riconoscere i sequestri emotivi: capire quando un’emozione assorbe completamente il vissuto e se questo sia bene o male.
  • Riconoscere gli acquari emotivi: i climi emotivi che si creano nelle situazioni interpersonali e di gruppo.
  • Metabolizzazione emotiva: aiutare se stessi e gli altri a metabolizzare le emozioni.
  • Distinguere le emozioni acute e le emozioni croniche (sfondi emotivi).
  • Distinguere gli stati emotivi complessi, riconoscere le emozioni miste (mixed emotions).
  • Saper esprimere le emozioni
  • Saper usare le emozioni come motore della motivazione: saperle canalizzare in positivo.

Ogni progetto è composto di azioni ed obiettivi e per ognuno di essi si possono attivare stati emozionali diversi nei diversi passaggi.

Competenze emotive di dettaglio e super-competenze emotive

Le performance possono essere aumentate tramite azioni di:

  • Emotional detection: riconoscimento, denominazione e mappatura degli stati emotivi.
  • Scudo emotivo: arrestare fasi di picco negativo distruttive.
  • Metabolismo emotivo: schermarsi e schermare il soggetto da emozioni negative incontrollabili, ed aiutarle a metabolizzare.
  • Analisi emotiva di picco ed analisi di sfondo emotivo.
  • Mixed emotions analysis: esame degli stati emotivi misti.
  • Emotional expression: possibilità di esprimere le emozioni e sentirsi accettati.
  • Emotional management: capacità di gestire e dirigere gli stati emotivi.

Il raggiungimento di questi molteplici livelli di abilità produce una super-competenza emotiva. La performance ottimale viene raggiunta quando sia il mezzo che il fine sono vissuti di volontà, e non vengono subiti come pressioni esterne indesiderate o come mali necessari.

Per approfondimenti vedi:

  • Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo

    condivisibile, si prega di citare sempre la fonte.

  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.
  • Per ricevere altri articoli appena escono, iscriversi al blog https://studiotrevisani.it sulla destra in alto, inserire la mail e fare clic su “segui il blog”.

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Risonanze e sensibilità nelle emozioni

Le risonanze emotive sono degli “eco delle emozioni” che giungono apparentemente da lontano, ma riportano nuovo contenuto su un piano diverso e arricchiscono l’ascolto. Ci sono almeno dieci modi di dire “tutto bene” di fronte alla domanda “Come va oggi?”, e quelle dieci diverse sfumature provengono dalle risonanze emotive che si associano alle parole. Provare per credere. È possibile esercitarsi a “sentire” le risonanze emotive, per arrivare più vicini possibile alla verità delle cose.

Mentre l’ascolto tradizionale si concentra sulla parola, l’ascolto empatico si concentra più sull’ascoltare le emozioni. Le emozioni dell’altro hanno una vibrazione, un riverbero, le nostre anche, e si crea un vero e proprio momento di risonanza.

Quando io capisco che stanno risonando emozioni nell’altra persona, siamo nell’ascolto sensibile. Quando io inizio ad interessarmi, a cercare di capire che tipo di emozioni stiano risonando, stiamo entrando nell’ascolto empatico.

Figura 1 Modello di interferenza di due fonti. Avvicinamento all’ascolto sensibile

In fisica, questo fenomeno viene chiamato “modello di interferenza tra due fonti singolari”, e quella che i fisici chiamano interferenza, per noi può essere invece ricchezza e sensibilità. Nelle arti, il modello è chiamato vesica piscis o mandorla, un simbolo di forma ogivale ottenuto da due cerchi dello stesso raggio, intersecantisi in modo tale che il centro di ogni cerchio si trova sulla circonferenza dell’altro.

Il nome significa letteralmente vescica di pesce in latino.

Per noi diventa importante in quanto rappresenta l”ingresso” nella porta delle emozioni altrui, base di ogni ascolto empatico.

L’ascolto empatico riguarda infatti:

  • La natura delle emozioni (Quale emozione sento nell’ascolto?);
  • la molteplicità delle emozioni (Quante emozioni sento? Quali sono compresenti?);
  • la forza delle emozioni (Quanto sono forti le emozioni che sento nell’altro: periferiche, intermedie, centrali?), e
  • cosa le muove (cosa potrebbe essere la ragione dello stato emotivo che sento nell’altro?).

Questo è solo un inizio di ascolto empatico, che possiamo chiamare un “ascolto sensibile”. Passare all’ascolto empatico richiede poi specifiche domande, specifiche riformulazioni, e un contesto adeguato. Ma stiamo sull’ascolto sensibile.

Un familiare ci dice “vorrei cambiare lavoro”. Ma non ce lo dice con slancio, cogliamo una risonanza emotiva di tristezza, malinconia.

Se siamo in fase empatica, faremo domande, cercheremo di capire, ad esempio, se questa ricerca è mossa da insoddisfazione per il lavoro attuale, e se sì, cosa la causa.

Arriveremo anche a capire cosa cerca la persona in un nuovo lavoro, se vuole o meno viaggiare, che caratteristiche dovrebbe avere il suo lavoro ideale, e se la persona si sente mentalmente all’altezza – come potere personale (autoefficacia) – di avviare un vero percorso di ricerca di lavoro.

Avremo, in sostanza, aiutato quella persona, partendo da una risonanza emotiva.

La nostra consapevolezza su come funziona un ascolto di qualità, la capacità di attivare un ascolto attivo, e soprattutto la coscienza piena di tutte le sue enormi sfumature e variabili emotive, influirà sulla nostra vita.

L’ascolto incide già oggi, su ogni negoziazione e sulle nostre vite professionali, e persino nella nostra esistenza in senso ampio, come esseri umani, dalla nascita sino all’ultimo respiro. L’ascolto è con noi, sempre. Che lo vogliamo o meno. Ascoltiamo le nostre risonanze emotive mentre parliamo. Faremo grandi scoperte.

L’ascolto entra anche nelle aziende, nelle relazioni di vendita consulenziale. Una relazione d’aiuto forte, centrata sull’ascolto verso il cliente, è la base di ogni metodologia di vendita consulenziale onesta, autentica, sincera, professionale. Non ci meravigliamo se, mancando la capacità di ascolto, tante situazioni di vendita sono descrivibili come il “mettere sù il brano memorizzato” e parlare sopra la testa del cliente, incuranti di ciò che gli serva veramente.

Al centro di ogni processo di vera consulenza, medica, professionale, tecnica, umana, c’è l’ascolto, la capacità di far emergere dati e situazioni che aiutano a realizzare una proposta utile, contributiva, efficace.

Quando udiamo o percepiamo qualcosa che risuona in noi, abbiamo ascoltato.

Se ciò che io dico risuona in te, è semplicemente perché siamo entrambi rami di uno stesso albero.

 (William Butler Yeats)

Ma questo vale anche nelle professionisti strategiche. Nel caso della vendita, la tecnica di ascolto si trasforma in un vero e proprio coaching del cliente, che viene aiutato a fare passi avanti e miglioramenti grazie alle nostre azioni di ascolto attivo. L’ascolto attivo fa sempre da “madre di ogni riflessione”.

Non cambia molto se ci spostiamo verso l’esame delle capacità di ascolto di un medico verso il paziente/cliente.

Quante volte vi siete sentiti ascoltati pienamente, a fondo, e senza fretta di arrivare a conclusioni?

I tempi tecnici della sanità non lo rendono sempre possibile, ma il problema è che – se anche vi fosse il tempo – i medici non “Sanno Fare”, non sono dotati, nè sono stati formati nel corso dei loro studi, ad una capacità di ascolto in profondità che invece servirebbe. E lo posso dire avendo insegnato Comunicazione Medico-Paziente in numerosissimi Master per medici[1]. La loro prima scoperta, con esercizi pratici di ascolto, sul fatto di non saper ascoltare, li ha spesso sconvolti.

Le aziende, invece, spesso pensano di “ascoltarci” facendoci compilare questionari o tramite risponditori automatici, il che non aiuta certo a creare un legame empatico con il cliente.

Con questi questionari e form online, così distanti, così freddi, difficilmente si creerà quella risonanza emotiva che solo un ascolto attivo sa creare.

Questo è uno dei maggiori sostegni dell’esistenza umana: trovare risonanza emotiva in altri uomini ai quali si è affezionati e la cui presenza suscita un caldo sentimento di appartenenza. Questa reciproca conferma mediante i sentimenti, la risonanza emotiva tra due o più persone, ha un ruolo centrale nel conferire un significato e un senso di appagamento all’esistenza.
(Norbert Elias)

L’ascolto entra anche nella leadership, perché un conto è dare ordini a persone senza sapere che impatto e adesione questi avranno, e altro conto è dare disposizioni, consegne o deleghe avendo un quadro chiarissimo su come le persone la pensino e cosa possano o meno accettare o vedere fattibile.

Se l’ascolto fosse un fiume, avremo un ascolto semplice, che si limita a guardare l’acqua passivamente e distrattamente, pensando ad altro, e un ascolto empatico “oltre le parole”, che va ad osservare con attenzione anche i diversi colori e sfumature del flusso d’acqua, le rive, le insenature, la vegetazione che lo contorna, i sottili mulinelli dell’acqua, una barca, un tronco trasportato, e la velocità della corrente, e tutto quanto il flusso possibile di segnali che scorgiamo nell’ambiente.

Per offrire un primo contributo di metodo, esaminiamo ora una prima scala visuale dei livelli di ascolto, utile per fissare alcuni punti sin dall’inizio.

Una scala per i livelli di ascolto è per forza di cose una riduzione, rispetto alla complessità di un fenomeno così vasto ed enorme. Eppure, se questa riduzione ci aiuta nel fare passi avanti nella formazione, allora ben venga. Questa scala può aiutarci a difenderci da un ascolto aggressivo, o attivare un ascolto empatico. Starà a noi la scelta.

Perchè l’importante, è avere l’opzione e poter scegliere.

Ci sono tre tipi di persone a questo mondo: le pecore, i lupi e i cani da pastore. Ci sono persone che preferiscono credere che nel mondo il male non esista. E se mai si affacciasse alla loro porta, non saprebbero come proteggersi. Quelle sono le pecore.

E poi ci sono i predatori, che usano la violenza per sopraffare i deboli. Quelli sono i lupi.

E poi ci sono quelli a cui Dio ha donato la capacità di aggredire e il bisogno incontenibile di difendere il gregge.

Questi individui sono una specie rara, nata per affrontare i lupi.

Sono i cani da pastore.

In questa famiglia noi non alleviamo pecore, e io vi ammazzo a cinghiate se diventate dei lupi. […] Ma proteggiamo chi amiamo. Se qualcuno prova a picchiarti, se c’è chi fa il bullo con tuo fratello, vi autorizzo a farlo smettere.

 dal film “American Sniper” di Clint Eastwood

[1] Prevalentemente presso il Master in Economia e Management dei Sistemi Sanitari, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Ferrara.

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  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.
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