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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Dedizione, ricerca della verità, pulizia spirituale

Chi si impegna per produrre performance umane deve assumere un preciso abito mentale. È l’assetto del guerriero, del Samurai, del combattente, del ricercatore concentrato, del missionario che crede in una causa.

È l’atteggiamento focalizzato di chi desidera ottenere qualcosa che reputa importante e – durante l’esecuzione – non si lascia distrarre da altro. Di chi ha un valore e lotta per esso. Di chi fa della causa una parte di sé. Non riguarda solo enormi imprese, ma anche e soprattutto la vita di ogni giorno. Il più grande Samurai di ogni tempo, Musashi[1], così descrive l’abito mentale di chi vuole intraprendere la vita del Samurai


[1] Miyamoto Musashi, 1584-1645, giapponese, considerato nelle arti marziali come il più grande Samurai vissuto in ogni tempo. Ebbe il primo duello mortale a 13 anni, e vinse. Vagò per il Giappone come Ronin (guerriero errante) per anni, battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria, lottando anche contro più avversari contemporaneamente o superando imboscate e duelli con decine di avversari. A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline artistiche risultando un maestro in molte di esse. Nel­la pittura, nella calligrafia, le sue opere oggi fanno parte del patrimonio artistico giap­po­nese. A 60 anni si ritirò in una grotta per scrivere il suo Manuale. In Giappone oggi è leggenda.

Chi voglia intraprendere la via dell’Hejò (strategia)

tenga a mente i seguenti precetti.

Primo: Non coltivare cattivi pensieri.

Secondo: Esercitati con dedizione.

Terzo: Studia tutte le arti.

Quarto: Conosci anche gli altri mestieri.

Quinto: Distingui l’utile dall’inutile.

Sesto: Riconosci il vero dal falso.

Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi.

Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie.

Nono: Non abbandonarti in attività futili[1].

[1] Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005, p. 61.

È eccezionale notare come anche oggi questo abito mentale sia dotato di enorme suggestività per chi intende sviluppare il proprio potenziale. Ci parla, infatti, di un atteggiamento di fondo.

È l’atteggiamento di serietà con cui un calciatore professionista rimane persona umile, cura alimentazione e riposo, rispetto al divo del calcio che assume atteggiamenti da star e si presenta tardi agli allenamenti.

È lo spirito di una ragazza che decide di sputare (esatto, sputare) sul modello proposto dai media di cosa sia una ragazza “arrivata” (fotomodella,  star televisiva, protagonista di reality show, anoressica, o bambola da chirurgo plastico) e piuttosto si impegna nello studio, in una professione utile, o in campo sociale, mandando a quel paese il modello che fa coincidere carriera con arcata dentale, natiche e scollatura.

È il coraggio di un ricercatore che intraprende vie di ricerca e sperimentazione inusuali ma dalle quali pensa di poter dare un aiuto al mondo, piccolo o grande, anche andando contro i baroni accademici e lo status quo.

È la saggezza del lottatore che cura attentamente il suo recupero prima di gettarsi in una nuova battaglia, consapevole del fatto che se non avrà riposato abbastanza non potrà sostenere molte battaglie e si brucerà.

È la passione di chi si impegna per una causa, fatica, fa rinunce ma non le rimpiange, e si sacrifica per qualcosa di cui forse non vedrà nemmeno i frutti in vita.

Ma non tutto è solo sacrificio. Le performance sono anche contribuzione, gioia, celebrazione, divertimento, piacere, il gusto di fare qualcosa di importante, essere parte di qualcosa, di lasciare un segno, di compiere imprese assieme a qualcuno e fare team. O la voglia di essere ciò che possiamo essere.

I veri performer sanno anche celebrare i propri risultati e vivere a pieno.

Ciascun precetto di Musashi si riferisce anche oggi ad una o più aree della psicologia delle performance e mantiene una validità assoluta:

Primo: Non coltivare cattivi pensieri. L’esercizio di un atteggiamento mentale positivo, il pensiero positivo, la concentrazione su ciò che di buono e utile vogliamo ottenere, allontanarsi da pensieri negativi o dal male; la ricerca di quello che oggi chiamiamo uno “stile cognitivo” efficace.

Secondo: Esercitati con dedizione. Oggi chiamato training, formazione, tecniche di allenamento e addestramento, e soprattutto, la necessità del performer di applicarsi in un active training, cioè in esercitazioni attive e non solo analisi teorica, e farlo con dedizione, nel tempo, e con continuità.

Terzo: Studia tutte le arti. L’approccio enciclopedico, la contaminazione positiva che deriva dall’andare fuori dai propri recinti e studiare le cose più disparate, interessarsi anche di ciò che altre discipline indagano, il contrario della chiusura in un recinto professionale o disciplinare, male odierno, il contrario delle sette, e della cultura dell’egoismo.

Quarto: Conosci anche gli altri mestieri. La capacità di muoversi ed agire anche in campi esterni, l’allargamento del proprio repertorio professionale, sapersi muovere anche fuori dal proprio campo di azione limitato, essere capaci anche in altre abilità e professioni, spaziare, non chiudersi.

Quinto: Distingui l’utile dall’inutile. Concetto similare a quello che nel sistema HPM chiamiamo Retargeting Mental Energy, o ricentraggio delle energie mentali, ciò che permette alle persone di capire veramente cosa merita il proprio impegno e cosa non lo merita, dove centrarsi o ricentrarsi nel proprio focus di attenzione, e quindi verso cosa direzionare le energie personali.

Sesto: Riconosci il vero dal falso. Coltivare le capacità di analisi, la percezione pura e decontaminata da preconcetti e distorsioni, il bisogno di verità, il bisogno di pulizia psicologica, il bisogno di sviluppare le capacità di riconoscimento (detection) indispensabile ad esempio in chi svolge il mestiere di negoziatore o di comunicatore, o in chi guida le persone (leader) o in chi lavora in gruppo (team working). Ed ancora, il bisogno di distinguere fatti da opinioni, teorie accertate da ipotesi, affermazioni personali da idee condivise.

Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi. La percezione è il fenomeno oggi più centrale in molte forme di psicologia, e comprende sia la propriocezione (capacità di percepire se stessi), che la percezione ambientale. Il settimo precetto di Musashi indirizza verso abilità di percezione aumentata, disambiguamento dalle illusioni percettive, sviluppo della sensibilità umana e sensoriale, ricerca di significati e quadri di analisi (Gestalt), e il potenziamento delle facoltà di osservazione. Tratta quindi di una “percezione allargata”, opposta ad una chiusura percettiva.

Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie. Il bisogno di entrare nelle micro-competenze, la ricerca dell’eccellenza, l’abbandono di un atteggiamento di pressapochismo e banalizzazione. Attenzione ai dettagli che contano, assunzione di un atteggiamento di amore per quello che si fa e per come lo si fa.

Nono: Non abbandonarti in attività futili. Capire che il tempo è prezioso, e dobbiamo veramente decidere se abbandonarci ad uno squallido clone del modo con cui le persone comuni usano il tempo (copiare il mainstream), lasciarsi andare come bastoni sul corso di un fiume di qualunquismo, assecondare la piattezza di ciò che tutti gli altri fanno, o assertivamente prendere in mano il nostro tempo e decidere di farne qualcosa, allenarci, studiare, intraprendere, esplorare, scrivere, condividere, sperimentare nuove conoscenze; ed ancora, capire che esistono diversi macro-tempi, quello della produttività, dello studio, dell’auto-organizzazione, delle relazioni sociali, e quello del recupero, della meditazione, del relax, ma non esistono i tempi delle relazioni obbligate, lo spreco di tempo con persone piatte o arroganti o prepotenti, e vanno riconosciute e rimosse le attività di pura abulia o distruzione di sé.

Le lezioni di Musashi vengono da un performer che ha passato la vita a sfidare la morte, e hanno un significato odierno assoluto.

È ancora più incredibile notare come già nel 1600 Musashi concentrasse tutta la sua analisi su aspetti di enorme attualità: sinergia tra corpo e mente, correlazione tra preparazione fisica e mentale, il fatto che la preparazione o una vittoria sia una conquista personale e non un diritto da pretendere, e che prima si debba cercare un approccio mentale e strategico valido, e solo dopo vengono i dettegli operativi. Una lezione che nel terzo millennio moltissimi sportivi e manager devono ancora imparare.

Quando si dedicano assiduamente tutte le proprie energie all’Hejò e si cerca con costanza la verità è possibile battere chiunque e ovviamente raggiungere la supremazia, sia perché si ha il pieno controllo del proprio corpo, grazie all’esercizio fisico, e sia perché si è padroni della mente, per merito della disciplina spirituale. Chi ha raggiunto questo livello di preparazione non può essere sconfitto[1].

Dobbiamo oggi riflettere sul significato profondo che queste parole assumono: dedizione, ricerca della verità, pulizia spirituale, sono il vero messaggio di fondo. La ricerca della supremazia e della vittoria appartengono ad una realtà medioevale, vengono dall’essere nati in un certo momento storico dove questo significava vivere o morire. Se, in una mattina del 1600, qualcuno si fosse presentato a noi con una spada per ucciderci, sarebbero state drammaticamente importanti anche per noi.

Oggi i nemici veri non portano spade ma, là fuori, si aggirano ringhiando.

Si chiamano miseria, ignoranza, ipocrisia, prepotenza, arroganza, dolore esistenziale, fame, violenza, bambini che soffrono, nepotismi, corruzione, sistemi clientelari – e soprattutto- fonte di ogni male, l’incomunicabilità.

I nemici possono essere anche dentro: presunzione, chiusura mentale, perdita di senso, perdita di stima in sè, perdita di valori, perdita di orizzonti, chiusura verso nuovi concetti, auto-castrazione, smettere di sognare o credere in qualcosa, chiusura della propria prospettiva temporale in orizzonti sempre più brevi e limitati, vivere solo per se stessi.

Contro questi nemici gli insegnamenti di Musashi, e lo spirito guerriero che li anima, hanno ancora enorme senso e validità.  Respirare ogni giorno a pieni polmoni uno spirito guerriero per fini positivi è un abito mentale. Alzarsi con questo spirito, andare a dormire con questo spirito, risvegliare gli archetipi guerrieri e direzionarli per costruire, è una sfida nuova, entusiasmante, che fa onore al dono di esistere.


[1] Ivi, p. 62.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Temi e Keywords dell’articolo:

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La capacità comunicativa e l’attività della negoziazione

Comunicazione e negoziazione sono un territorio delicatissimo dell’esistenza umana.

Dalle abilità comunicative dipendono successi e fallimenti, vittorie e cadute, e la possibilità di concretizzare sogni e ideali.

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I desideri, le nostre aspirazioni umane e professionali – le idee che vorremmo concretizzare – i nostri stessi progetti di vita, sono collegati a questa capacità di comunicazione, spesso inespressa, una capacità latente, un fiore da far sbocciare. Una capacità che raramente coltiviamo e studiamo.

Essa rappresenta una delle facoltà più preziose della natura umana: poter esprimere e condividere sentimenti, idee, pensieri, visioni, sogni, progetti. 

Questi temi sono trattati in specifici workshop esperienziali condotti dall’autore, in full immersion, come ad esempio l’evento “Al Rifugio con l’Autore” che si realizza in un rifugio wellness di alta montagna, dedicandosi allo sviluppo delle capacità di comunicazione positiva, di pensiero positivo, di public speaking, di analisi della propria strategia di vita e professionale. 

L’importanza delle capacità di comunicazione può alterare (in meglio o in peggio) anche le traiettorie della propria vita sentimentale; può farci avvicinare alle persone che amiamo, o allontanarci, può generare comprensione o incomprensione, passione o tristezza, gioia o dolore. 

Una buona comunicazione può dare vita ad amicizie e rapporti che durano una vita, una cattiva comunicazione determina invece il malfunzionamento o la rottura irreparabile di relazioni umane e professionali.

Per ogni essere umano, la capacità di comunicare le proprie emozioni ad altri, aprirsi, non lasciare che esse rimangano soffocate in una ruminazione mentale solo interna, è un fattore primario di salute fisica e mentale.

Le capacità comunicative arrivano persino a determinare la vita e morte di persone, come nelle negoziazioni militari o per la liberazione di ostaggi.

In questo ambito, anche i dettagli contano, ad esempio:

  • capire chi sono i decisori veri con cui trattare può cambiare la vita di un’azienda; può farle vincere o meno una gara, un appalto, o conquistare un cliente determinante per molti anni a venire; 
  • un errore di battitura in un punto cruciale dell’offerta può generare senso di pressapochismo e far alzare le barriere valutative, rendendo la vendita più “in salita”; ma ancora…
  • una distrazione in fase di ascolto che ci faccia perdere un “segnale” importante lanciato dall’interlocutore;
  • cogliere o non cogliere un’occhiata o una smorfia di approvazione o disapprovazione che si lanciano due persone nel team con cui trattiamo.
comunicazione
inazione

È un risultato eccezionale, dal punto di vista della negoziazione e della relazione umana, capirsi tra le parti, rompere le barriere di incomunicabilità, trovare modi per avere successo cooperativo, e crescere assieme. 

Di fatto, comunicatori, negoziatori professionisti, venditori, rappresentano una parte attiva della società e “muovono le cose”. Senza di loro, le aziende non potrebbero vivere. 

Un’azienda senza persone in grado di vendere è un’azienda sull’orlo del baratro. Tutti gli stipendi vengono da un’unica fonte: le vendite.

Dobbiamo quindi prepararci, così come un soldato si prepara per una battaglia, un atleta per una gara, un attore per la scena.

La chiave è far crescere le nostre competenze comunicative, supportare la crescita degli altri

Le capacità comunicative devono diventare sempre più un vero e proprio asset (risorsa strategica) e non (quando mancano) un punto di debolezza da coprire a suon di sconti, ribassi, umiliazioni, concessioni e perdite.

Per questo bisogna agire con spirito guerriero e strategico, con una mente pronta e risoluta – una mente da analista – e “gambe” pronte ad incontrare persone in ogni luogo. 

Una frase antica, espressa da un Samurai giapponese, ci offre una bella rappresentazione, che spiega con poche parole questo atteggiamento:

Kenshin disse:  «Il fato è in paradiso, l’armatura è sul torace, il risultato è nei piedi »

Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800)

In: Cleary, Thomas. La Mente del Samurai[1]

La suggestione del Samurai Masahiro ci aiuta a capire che esistono molte aree della vita che non possiamo dominare, e altre per le quali dobbiamo e possiamo agire, sia in prima persona che in squadra.

Il “paradiso” di Kenshin sono gli scenari globali, le scelte dei competitors, la nostra armatura è la nostra preparazione, i nostri piedi sono le azioni che adottiamo.

Dobbiamo quindi distinguere le aree per le quali non vale nemmeno la pena preoccuparsi troppo, da quelle per le quali possiamo “prepararci” e fare strategia, sia che si tratti di proteggere i nostri interessi vitali (armatura) che di muoversi con scientificità tattica (i “piedi” dello Strategic Selling). 

Nessun altro può farlo per noi. 

Ma, per concretizzare, dobbiamo assimilare lo spirito guerriero proposto da Masahiro e adattarlo ai nostri scopi e alla nostra professione.

È indubbio che operare nella vendita oggi significhi avere coraggio. 

Il coraggio di chi esce con una valigia e va a conquistare un cliente. 

coraggio
coraggio

Il coraggio di chi affronta il mondo, di chi entra in culture diverse, in aziende nuove e sconosciute, di chi lotta contro competitors più forti, più finanziati o potenti, il coraggio di chi si muove in prima linea. 

Ed ancora maggiore coraggio serve per dirigere le persone, stare a fianco degli uomini e delle donne che si muovono in prima linea, stargli vicino anche sul campo, nei momenti di difficoltà e di maggiore bisogno.

Questa è leadership. Questa è una modalità di vita.

È la scelta di chi stabilisce di non stare nelle retrovie ma di stare sul fronte, immergersi nelle tante battaglie umane e sacrifici che la vendita strategica impone a chi decide di giocare questo gioco. E di gioire per i successi.

La negoziazione è certamente un gioco difficile, ma non un gioco d’azzardo. La negoziazione seria non si prefigge mai di produrre danni gratuiti alla controparte, ma – ovunque possibile – porta avanti il principio delle “relazioni d’aiuto” (essere di aiuto agli altri) e costruire relazioni che creano valore per tutti.

Relazioni vincenti che creano benefici ad entrambe le parti.

matrimonio

Questo vale anche in un matrimonio, quando due persone riescono a fissare i propri spazi di libertà per i propri interessi personali (sport, cultura, giardinaggio, viaggi, etc.) senza che il matrimonio stesso divenga una gabbia, ma piuttosto una piattaforma che dia forza ad entrambi.

Vale anche tra due aziende, quando da una buona negoziazione emerge un progetto che nessuna, da sola, sarebbe riuscita a fare.Nessun risultato, tuttavia, avviene per magia. Negoziamo da quando siamo nati, e lo faremo per tutta la vita.

Serve un’attività di negoziazione e lavoro certosino sulla chiarezza dei ruoli, e dei confini dei ruoli.

Le relazioni vanno coltivate, se vogliamo vederne i frutti.

 

curare

La comunicazione parte da un bisogno primario, il bisogno di entrare in relazione, in contatto con qualcuno o con qualcosa e per coloro che operano professionalmente con la negoziazione, prepararsi da professionisti è il minimo che si possa fare. 

Questi bisogni richiedono un lavoro di formazione adeguato.

Prepararsi da professionisti

Esiste una grande confusione in campo aziendale su cosa sia la formazione. Alcuni pretendono di preparare negoziatori e venditori tramite un paio di ore di lezioni teoriche in cui vengono propinate teorie e concetti astratti, affidandosi a professori universitari che non hanno mai venduto niente in vita loro.

Più che una formazione classica, serve una forte “sensibilizzazione”, qualcosa che vada oltre le regole stereotipate. Ad esempio, imparare a vedere come noi reagiamo alle comunicazioni altrui, come funziona il nostro dialogo interno[2]capire come esaminare una conversazione e cogliere le sue mosse strategiche, preparasi ad essere analisti.

training

La formazione seria è una forma di apprendimento molto forte, parte da un’autoanalisi che nessun PowerPoint può sostituire, e ci chiede di fare i conti con chi siamo veramente. 

Al contrario dei seminari tenuti dai “corsifici”, un buon coaching in profondità (coaching personale o team coaching) può aiutare la persona e il team a prestare attenzione a ciò che prima gli sfuggiva, e questo non ha niente a che fare con la formazione classica.

Bisogna aiutare le persone a muoversi da professionisti, a “pensare” come professionisti. La ricerca del Potenziale Umano che si nasconde in ogni persona non è né facile né immediata, lo sappiamo tutti benissimo. Ma, a volte, cerchiamo scorciatoie che non esistono. 

Le situazioni in cui la comunicazione cambia le cose sono tante. 

Possiamo avere un colloquio di lavoro nel quale si decide una svolta nella vita, nel quale far emergere chi siamo e cosa valiamo.

Gli effetti di ogni parola e di ogni gesto saranno sommatori e decisivi.

Lo stesso bisogno di essere comunicatori efficaci tocca il problema di trovare un finanziatore per progetto, o un sogno da concretizzare.

Tante situazioni, un denominatore comune: il risultato delle attività di comunicazione e negoziazione cambia la vita. Affrontare questo mondo intrigante richiede l’esame di molte variabili.

Una prima consapevolezza di fondo è il bisogno di una grande serietà in chi opera nel mondo della comunicazione e della negoziazione complessa: essere coscienti del fatto che dagli esiti di una trattativa strategica dipendono svolte di tipo professionale, effetti che cambiano la vita, propria o altrui. 

Se condotte bene, gettano le basi per un futuro migliore. Se condotte male, producono danni enormi.

Una seconda certezza: per comunicare bene serve formazione specifica, l’abito mentale di chi si prepara alla negoziazione, dedica ad essa risorse mentali, la gestisce come un’attività professionale e strategica (approccio mentale del Get-Ready Mind Set), e non trascura i dettagli[3].

energie

Una terza certezza è il bisogno di curare la “macchina” del venditore, negoziatore o comunicatore, ancora prima di preoccuparci delle sue prestazioni esterne. Una persona che sta bene, piena di energie fisiche e mentali, avrà ottime chance di esprimere anche il suo potenziale comunicativo. Al contrario, una persona fisicamente debilitata o esaurita, e psicologicamente stanca o che si sente fuori ruolo, non farà altro che errori continui.

Come sottolinea un collega e amico, importante psicologo e counselor italiano, allenatore della nazionale italiana di Apnea e di campioni del mondo di apnea, quando ci si “immerge” nelle relazioni e nelle negoziazioni si va incontro, come fa un apneista, anche a se stessi e al proprio inconscio

Possono emergere paure o incongruenze, ansie e timori ragionevoli o irragionevoli, coscienti o subcoscienti. 

Se questi ci bloccano, ci rallentano, ne subiremo gli effetti negativi.

Al contrario una persona che abbia fatto un lavoro profondo su di sé può “immergersi” tranquillamente sia in acqua che nella più difficile trattativa, senza perdere in consapevolezza emotiva e rimanendo sostanzialmente sereno nonostante l’ambiente difficile che lo circonda[4].


[1]

Cleary, Thomas (2008) (a cura di), La Mente del Samurai: Il Codice del Bushido, Mondadori. Scritto di Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800).

[2] Per il dialogo interiore nelle situazioni di consumo e scelta di acquisto, vedi Bahl, S. e Milne G. R. (2010), Talking to Ourselves: A Dialogical Exploration of Consumption Experiences, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[3] La preparazione mentale a compiti successivi, e l’utilizzo delle risorse mentali, nella Consumer Research, è stata affrontata in un articolo specifico. Vedi Bosmans Anick, Pieters Rik e Baumgartner Hans (2010), The Get Ready Mind-Set: How Gearing Up for Later Impacts Effort Allocation Now, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[4] Manfredini, Lorenzo (2010), Appunti di counseling, materiale didattico riservato, Associazione Olos e Istituto di Dinamica Mentale, Ferrara.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

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… quando si pensa ad un Segreto…

Di: dott. Daniele Trevisani  – Fulbright Scholar, Formatore Aziendale esperto in Potenziale Umano. Maestro ed esperto in Psicologia e Formazione per le Arti Marziali e di Combattimento. Sensei 9° Dan Sistema Daoshi

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano.

I Segreti Semplici nascosti nel Libro dei 5 Anelli

Musashi era un Samurai. In Giappone è considerato il più grande di tutti i Samurai mai vissuti. Ha avuto il suo primo combattimento per la vita e la morte a 13 anni, un Samurai esperto voleva vendicarsi e ucciderlo.

Vendicarsi di cosa, su un 13enne? Vendicarsi, per una disputa avuta con il padre di Musashi, uccidendo il figlio. A lui non gli rimase che combattere.

Musashi uccise il Samurai esperto con un bastone trovato lungo la strada. Un bastone contro una spada, usato da un ragazzino, contro un Samurai esperto.

Da allora ebbe decine e decine di duelli, tutti per la vita, e mai per gioco, duelli nei quali venne affrontato anche da 10 persone contemporaneamente, che volevano sfidarlo per diventare famose o alle quali la sua presenza dava fastidio. Li uccise sempre tutti, senza nemmeno guardarli, e senza vantarsene, proseguendo per la sua strada.

Nonostante quello che i benpensanti possono rapidamente pensare e giudicare, non era un violento, non fu mai né aggressivo né prepotente con nessuno, ma semplicemente, come Ronin (Samurai senza padrone), difendeva la sua libertà da chi lo voleva uccidere, in un momento del Giappone Medioevale nel quale non vi erano scelte: nei combattimenti, o si uccideva o si veniva uccisi. Quelle erano le regole. Fu tra l’altro uno dei più grandi pittori Giapponesi…

Per noi, oggi risulta difficile pensare che un pugile professionista, un kickboxer o un karateka possa essere anche Poeta o Filosof, ma in realtà il “viaggio” vero di ricerca di un praticante Marziale non è mai limitato, se interpretato in modo corretto, e si estende ad ogni campo e disciplina…

Musashi ne è un esempio per tutti, e per sempre.

Il suo segreto era un abito mentale. Quandos i considerò vecchio, si ritirò in una grotta e scrisse i suoi Segreti. Nove segreti semplici, assieme ad un libretto di qualche decina di pagine “Il Libro dei 5 Anelli”, affinché si tramandassero.

Ne vorrei parlare perché oggi – di fronte alle sfide e ai problemi veri del pianeta –  di fronte alle ingiustizie e prepotenze, alle arroganze, alle cattiverie – molti non reagiscono, come fece Musashi, ma si nascondono da vigliacchi, sperando che qualcun altro, in un futuro non determinato, se ne faccia carico. Non si rendono conto che i problemi non affrontati oggi ricadranno sui nostri figli entro poco tempo.

Allora, è bene parlare di chi si impegna oggi, per produrre un contributo nelle attività umane, nello sport e fuori dallo sport, nella arti marziali ma anche nella vita, nella società, nel dare un futuro ai ragazzi, nell’insegnare qualcosa dentro e fuori le palestre.

L’insegnamento deve assumere un preciso abito mentale.

È l’assetto del guerriero, del Samurai, del combattente, del ricercatore concentrato, del missionario che crede in una causa. Di chi non si lascia distrarre dalle cose futili e dai valori di plastica.

È l’atteggiamento focalizzato di chi desidera ottenere qualcosa che reputa importante e – durante l’esecuzione – non si lascia distrarre da altro. Di chi ha un valore e lotta per esso. Di chi fa della causa una parte di sé.

Non riguarda solo  enormi imprese, ma anche e soprattutto la vita di ogni giorno. Il più grande Samurai di ogni tempo, Musashi[1], così descrive l’abito mentale di chi vuole intraprendere la vita del Samurai: si tratta di segreti davvero semplici, ma per questo assolutamente attuali:

Chi voglia intraprendere la via dell’Hejò (strategia)

tenga a mente i seguenti precetti.

  • Primo: Non coltivare cattivi pensieri.
  • Secondo: Esercitati con dedizione.
  • Terzo: Studia tutte le arti.
  • Quarto: Conosci anche gli altri mestieri.
  • Quinto: Distingui l’utile dall’inutile.
  • Sesto: Riconosci il vero dal falso.
  • Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi.
  • Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie.
  • Nono: Non abbandonarti in attività futili[2].

Se li rileggiamo, e vi chiedo di farlo adesso… a caldo…  noterete, una cosa: è qualcosa di tremendamente attuale, di tremendamente semplice. E’ soprattutto, di una pulizia assoluta.

Per questo motivo, ho deciso come sviluppatore del Sistema Marziale DaoShi, di mettere questi principi alla base di chiunque pretenda un giorno di definirsi insegnante di Arti Marziali o di Sport di Combattimento nel Sistema Daoshi. Chi insegna solo a menare le mani e non fa crescere le menti non è degno di essere chiamato Maestro e nemmeno di insegnare nel mio nome…. E’ una posizione radicale ma almeno è chiara.

Ma torniamo a Musashi.

È eccezionale notare come anche oggi questo abito mentale sia dotato di enorme suggestività per chi intende sviluppare il proprio potenziale. Ci parla, infatti, di un atteggiamento di fondo.

  • È l’atteggiamento di serietà con cui un calciatore professionista rimane persona umile, cura alimentazione e riposo, rispetto al divo del calcio che assume atteggiamenti da star e si presenta tardi agli allenamenti.
  • È lo spirito di una ragazza che decide di sputare (esatto, sputare) sul modello proposto dai media di cosa sia una ragazza “arrivata” (fotomodella,  star televisiva, protagonista di reality show, anoressica, o bambola da chirurgo plastico) e piuttosto si impegna nello studio, in una professione utile, o in campo sociale, mandando a quel paese il modello che fa coincidere carriera con arcata dentale, natiche e scollatura.
  • È il coraggio di un ricercatore che intraprende vie di ricerca e sperimentazione inusuali ma dalle quali pensa di poter dare una aiuto al mondo, piccolo o grande, anche andando contro i baroni accademici e lo status quo.
  • È la saggezza del lottatore che cura attentamente il suo recupero prima di gettarsi in una nuova battaglia, consapevole del fatto che se non avrà riposato abbastanza non potrà sostenere molte battaglie e si brucerà.
  • È la passione di chi si impegna per una causa, fatica, fa rinunce ma non le rimpiange, e si sacrifica per qualcosa di cui forse non vedrà nemmeno i frutti in vita.

Ma non tutto è solo sacrificio. Le performance sono anche contribuzione, gioia, celebrazione, divertimento, piacere, il gusto di fare qualcosa di importante, essere parte di qualcosa, di lasciare un segno, di compiere imprese assieme a qualcuno e fare team. O la voglia di essere ciò che possiamo essere.

I veri performer sanno anche celebrare i propri risultati e vivere a pieno.

Ciascun precetto di Musashi si riferisce anche oggi ad una o più aree della psicologia delle performance e mantiene una validità assoluta:

Un approfondimento e una riflessione sui 9 Segreti Semplici di Musashi

Primo: Non coltivare cattivi pensieri. L’esercizio di un atteggiamento mentale positivo, il pensiero positivo, la concentrazione su ciò che di buono e utile vogliamo ottenere, allontanarsi da pensieri negativi o dal male; la ricerca di quello che oggi chiamiamo uno “stile cognitivo” efficace.

Secondo: Esercitati con dedizione. Oggi chiamato training, formazione, tecniche di allenamento e addestramento, e soprattutto, la necessità del performer di applicarsi in un active training, cioè in esercitazioni attive e non solo analisi teorica, e farlo con dedizione, nel tempo, e con continuità.

Terzo: Studia tutte le arti. L’approccio enciclopedico, la contaminazione positiva che deriva dall’andare fuori dai propri recinti e studiare le cose più disparate, interessarsi anche di ciò che altre discipline indagano, il contrario della chiusura in un recinto professionale o disciplinare, male odierno, il contrario delle sette, e della cultura dell’egoismo.

Quarto: Conosci anche gli altri mestieri. La capacità di muoversi ed agire anche in campi esterni, l’allargamento del proprio repertorio professionale, sapersi muovere anche fuori dal proprio campo di azione limitato, essere capaci anche in altre abilità e professioni, spaziare, non chiudersi.

Quinto: Distingui l’utile dall’inutile. Concetto similare a quello che nel sistema HPM chiamiamo Retargeting Mental Energy, o ricentraggio delle energie mentali, ciò che permette alle persone di capire veramente cosa merita il proprio impegno e cosa non lo merita, dove centrarsi o ricentrarsi nel proprio focus di attenzione, e quindi verso cosa direzionare le energie personali.

Sesto: Riconosci il vero dal falso. Coltivare le capacità di analisi, la percezione pura e decontaminata da preconcetti e distorsioni, il bisogno di verità, il bisogno di pulizia psicologica, il bisogno di sviluppare le capacità di riconoscimento (detection) indispensabile ad esempio in chi svolge il mestiere di negoziatore o di comunicatore, o in chi guida le persone (leader) o in chi lavora in gruppo (team working). Ed ancora, il bisogno di distinguere fatti da opinioni, teorie accertate da ipotesi, affermazioni personali da idee condivise.

Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi. La percezione è il fenomeno oggi più centrale in molte forme di psicologia, e comprende sia la propriocezione (capacità di percepire se stessi), che la percezione ambientale. Il settimo precetto di Musashi indirizza verso abilità di percezione aumentata, disambiguamento dalle illusioni percettive, sviluppo della sensibilità umana e sensoriale, ricerca di significati e quadri di analisi (Gestalt), e il potenziamento delle facoltà di osservazione. Tratta quindi di una “percezione allargata”, opposta ad una chiusura percettiva.

Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie. Il bisogno di entrare nelle micro-competenze, la ricerca dell’eccellenza, l’abbandono di un atteggiamento di pressapochismo e banalizzazione. Attenzione ai dettagli che contano, assunzione di un atteggiamento di amore per quello che si fa e per come lo si fa.

Nono: Non abbandonarti in attività futili. Capire che il tempo è prezioso, e dobbiamo veramente decidere se abbandonarci ad uno squallido clone del modo con cui le persone comuni usano il tempo (copiare il mainstream), lasciarsi andare come bastoni sul corso di un fiume di qualunquismo, assecondare la piattezza di ciò che tutti gli altri fanno, o assertivamente prendere in mano il nostro tempo e decidere di farne qualcosa, allenarci, studiare, intraprendere, esplorare, scrivere, condividere, sperimentare nuove conoscenze; ed ancora, capire che esistono diversi macro-tempi, quello della produttività, dello studio, dell’auto-organizzazione, delle relazioni sociali, e quello del recupero, della meditazione, del relax, ma non esistono i tempi delle relazioni obbligate, lo spreco di tempo con persone piatte o arroganti o prepotenti, e vanno riconosciute e rimosse le attività di pura abulia o distruzione di sé.

Le lezioni di Musashi vengono da un performer che ha passato la vita a sfidare la morte, e hanno un significato odierno assoluto.

È ancora più incredibile notare come già nel 1600 Musashi concentrasse tutta la sua analisi su aspetti di enorme attualità: sinergia tra corpo e mente, correlazione tra preparazione fisica e mentale, il fatto che la preparazione o una vittoria sia una conquista personale e non un diritto da pretendere, e che prima si debba cercare un approccio mentale e strategico valido, e solo dopo vengono i dettegli operativi. Una lezione che nel terzo millennio moltissimi sportivi e manager devono ancora imparare.

Quando si dedicano assiduamente tutte le proprie energie all’Hejò e si cerca con costanza la verità è possibile battere chiunque e ovviamente raggiungere la supremazia, sia perché si ha il pieno controllo del proprio corpo, grazie all’esercizio fisico, e sia perché si è padroni della mente, per merito della disciplina spirituale. Chi ha raggiunto questo livello di preparazione non può essere sconfitto[3].

Dobbiamo oggi riflettere sul significato profondo che queste parole assumono: dedizione, ricerca della verità, pulizia spirituale, sono il vero messaggio di fondo. La ricerca della supremazia e della vittoria appartengono ad una realtà medioevale, vengono dall’essere nati in un certo momento storico dove questo significava vivere o morire. Se, in una mattina del 1600, qualcuno si fosse presentato a noi con una spada per ucciderci, sarebbero state drammaticamente importanti anche per noi.

Oggi i nemici veri non portano spade ma, là fuori, si aggirano ringhiando.

Si chiamano miseria, ignoranza, ipocrisia, prepotenza, arroganza, dolore esistenziale, fame, violenza, bambini che soffrono, nepotismi, corruzione, sistemi clientelari – e soprattutto- fonte di ogni male, l’incomunicabilità.

I nemici possono essere anche dentro: presunzione, chiusura mentale, perdita di senso, perdita di stima in sè, perdita di valori, perdita di orizzonti, chiusura verso nuovi concetti, auto-castrazione, smettere di sognare o credere in qualcosa, chiusura della propria prospettiva temporale in orizzonti sempre più brevi e limitati, vivere solo per se stessi.

Contro questi nemici gli insegnamenti di Musashi, e lo spirito guerriero che li anima, hanno ancora enorme senso e validità.

 

Respirare ogni giorno a pieni polmoni uno spirito guerriero per fini positivi è un abito mentale. Alzarsi con questo spirito, andare a dormire con questo spirito, risvegliare gli archetipi guerrieri e direzionarli per costruire, è una sfida nuova, entusiasmante, che fa onore al dono di esistere.

© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano.

 

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di manager, di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.


[1] Miyamoto Musashi, 1584-1645, giapponese, considerato nelle arti marziali come il più grande Samurai vissuto in ogni tempo. Ebbe il primo duello mortale a 13 anni, e vinse. Vagò per il Giappone come Ronin (guerriero errante) per anni, battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria, lottando anche contro più avversari contemporaneamente o superando imboscate e duelli con decine di avversari. A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline artistiche risultando un maestro in molte di esse. Nel­la pittura, nella calligrafia, le sue opere oggi fanno parte del patrimonio artistico giapponese. A 60 anni si ritirò in una grotta per scrivere il suo Manuale. In Giappone oggi è leggenda.[2] Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005, p. 61.

[3] Ivi, p. 62.

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

Chi si impegna per produrre performance umane deve assumere un preciso abito mentale. È l’assetto del guerriero, del Samurai, del combattente, del ricercatore concentrato, del missionario che crede in una causa.

È l’atteggiamento focalizzato di chi desidera ottenere qualcosa che reputa importante e – durante l’esecuzione – non si lascia distrarre da altro. Di chi ha un valore e lotta per esso. Di chi fa della causa una parte di sé.

Non riguarda solo enormi imprese, ma anche e soprattutto la vita di ogni giorno. Il più grande Samurai di ogni tempo, Musashi1, così descrive l’abito mentale di chi vuole intraprendere la vita del Samurai:

Chi voglia intraprendere la via dell’Hejò (strategia)

tenga a mente i seguenti precetti.

Primo: Non coltivare cattivi pensieri.

Secondo: Esercitati con dedizione.

Terzo: Studia tutte le arti.

Quarto: Conosci anche gli altri mestieri.

Quinto: Distingui l’utile dall’inutile.

Sesto: Riconosci il vero dal falso.

Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi.

Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie.

Nono: Non abbandonarti in attività futili2.

È eccezionale notare come anche oggi questo abito mentale sia dotato di enorme suggestività per chi intende sviluppare il proprio potenziale. Ci parla, infatti, di un atteggiamento di fondo.

È l’atteggiamento di serietà con cui un calciatore professionista rimane persona umile, cura alimentazione e riposo, rispetto al divo del calcio che assume atteggiamenti da star e si presenta tardi agli allenamenti.

È lo spirito di una ragazza che decide di sputare (esatto, sputare) sul modello proposto dai media di cosa sia una ragazza “arrivata” (fotomodella, star televisiva, protagonista di reality show, anoressica, o bambola da chirurgo plastico) e piuttosto si impegna nello studio, in una professione utile, o in campo sociale, mandando a quel paese il modello che fa coincidere carriera con arcata dentale, natiche e scollatura.

È il coraggio di un ricercatore che intraprende vie di ricerca e sperimentazione inusuali ma dalle quali pensa di poter dare una aiuto al mondo, piccolo o grande, anche andando contro i baroni accademici e lo status quo.

È la saggezza del lottatore che cura attentamente il suo recupero prima di gettarsi in una nuova battaglia, consapevole del fatto che se non avrà riposato abbastanza non potrà sostenere molte battaglie e si brucerà.

È la passione di chi si impegna per una causa, fatica, fa rinunce ma non le rimpiange, e si sacrifica per qualcosa di cui forse non vedrà nemmeno i frutti in vita.

Ma non tutto è solo sacrificio. Le performance sono anche contribuzione, gioia, celebrazione, divertimento, piacere, il gusto di fare qualcosa di importante, essere parte di qualcosa, di lasciare un segno, di compiere imprese assieme a qualcuno e fare team. O la voglia di essere ciò che possiamo essere.

I veri performer sanno anche celebrare i propri risultati e vivere a pieno.

Ciascun precetto di Musashi si riferisce anche oggi ad una o più aree della psicologia delle performance e mantiene una validità assoluta:

Primo: Non coltivare cattivi pensieri. L’esercizio di un atteggiamento mentale positivo, il pensiero positivo, la concentrazione su ciò che di buono e utile vogliamo ottenere, allontanarsi da pensieri negativi o dal male; la ricerca di quello che oggi chiamiamo uno “stile cognitivo” efficace.

Secondo: Esercitati con dedizione. Oggi chiamato training, formazione, tecniche di allenamento e addestramento, e soprattutto, la necessità del performer di applicarsi in un active training, cioè in esercitazioni attive e non solo analisi teorica, e farlo con dedizione, nel tempo, e con continuità.

Terzo: Studia tutte le arti. L’approccio enciclopedico, la contaminazione positiva che deriva dall’andare fuori dai propri recinti e studiare le cose più disparate, interessarsi anche di ciò che altre discipline indagano, il contrario della chiusura in un recinto professionale o disciplinare, male odierno, il contrario delle sette, e della cultura dell’egoismo.

Quarto: Conosci anche gli altri mestieri. La capacità di muoversi ed agire anche in campi esterni, l’allargamento del proprio repertorio professionale, sapersi muovere anche fuori dal proprio campo di azione limitato, essere capaci anche in altre abilità e professioni, spaziare, non chiudersi.

Quinto: Distingui l’utile dall’inutile. Concetto similare a quello che nel sistema HPM chiamiamo Retargeting Mental Energy, o ricentraggio delle energie mentali, ciò che permette alle persone di capire veramente cosa merita il proprio impegno e cosa non lo merita, dove centrarsi o ricentrarsi nel proprio focus di attenzione, e quindi verso cosa direzionare le energie personali.

Sesto: Riconosci il vero dal falso. Coltivare le capacità di analisi, la percezione pura e decontaminata da preconcetti e distorsioni, il bisogno di verità, il bisogno di pulizia psicologica, il bisogno di sviluppare le capacità di riconoscimento (detection) indispensabile ad esempio in chi svolge il mestiere di negoziatore o di comunicatore, o in chi guida le persone (leader) o in chi lavora in gruppo (team working). Ed ancora, il bisogno di distinguere fatti da opinioni, teorie accertate da ipotesi, affermazioni personali da idee condivise.

Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi. La percezione è il fenomeno oggi più centrale in molte forme di psicologia, e comprende sia la propriocezione (capacità di percepire se stessi), che la percezione ambientale. Il settimo precetto di Musashi indirizza verso abilità di percezione aumentata, disambiguamento dalle illusioni percettive, sviluppo della sensibilità umana e sensoriale, ricerca di significati e quadri di analisi (Gestalt), e il potenziamento delle facoltà di osservazione. Tratta quindi di una “percezione allargata”, opposta ad una chiusura percettiva.

Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie. Il bisogno di entrare nelle micro-competenze, la ricerca dell’eccellenza, l’abbandono di un atteggiamento di pressapochismo e banalizzazione. Attenzione ai dettagli che contano, assunzione di un atteggiamento di amore per quello che si fa e per come lo si fa.

Nono: Non abbandonarti in attività futili. Capire che il tempo è prezioso, e dobbiamo veramente decidere se abbandonarci ad uno squallido clone del modo con cui le persone comuni usano il tempo (copiare il mainstream), lasciarsi andare come bastoni sul corso di un fiume di qualunquismo, assecondare la piattezza di ciò che tutti gli altri fanno, o assertivamente prendere in mano il nostro tempo e decidere di farne qualcosa, allenarci, studiare, intraprendere, esplorare, scrivere, condividere, sperimentare nuove conoscenze; ed ancora, capire che esistono diversi macro-tempi, quello della produttività, dello studio, dell’auto-organizzazione, delle relazioni sociali, e quello del recupero, della meditazione, del relax, ma non esistono i tempi delle relazioni obbligate, lo spreco di tempo con persone piatte o arroganti o prepotenti, e vanno riconosciute e rimosse le attività di pura abulia o distruzione di sé.

Le lezioni di Musashi vengono da un performer che ha passato la vita a sfidare la morte, e hanno un significato odierno assoluto.

È ancora più incredibile notare come già nel 1600 Musashi concentrasse tutta la sua analisi su aspetti di enorme attualità: sinergia tra corpo e mente, correlazione tra preparazione fisica e mentale, il fatto che la preparazione o una vittoria sia una conquista personale e non un diritto da pretendere, e che prima si debba cercare un approccio mentale e strategico valido, e solo dopo vengono i dettegli operativi. Una lezione che nel terzo millennio moltissimi sportivi e manager devono ancora imparare.

Quando si dedicano assiduamente tutte le proprie energie all’Hejò e si cerca con costanza la verità è possibile battere chiunque e ovviamente raggiungere la supremazia, sia perché si ha il pieno controllo del proprio corpo, grazie all’esercizio fisico, e sia perché si è padroni della mente, per merito della disciplina spirituale. Chi ha raggiunto questo livello di preparazione non può essere sconfitto3.

Dobbiamo oggi riflettere sul significato profondo che queste parole assumono: dedizione, ricerca della verità, pulizia spirituale, sono il vero messaggio di fondo. La ricerca della supremazia e della vittoria appartengono ad una realtà medioevale, vengono dall’essere nati in un certo momento storico dove questo significava vivere o morire. Se, in una mattina del 1600, qualcuno si fosse presentato a noi con una spada per ucciderci, sarebbero state drammaticamente importanti anche per noi.

Oggi i nemici veri non portano spade ma, là fuori, si aggirano ringhiando.

Si chiamano miseria, ignoranza, ipocrisia, prepotenza, arroganza, dolore esistenziale, fame, violenza, bambini che soffrono, nepotismi, corruzione, sistemi clientelari – e soprattutto- fonte di ogni male, l’incomunicabilità.

I nemici possono essere anche dentro: presunzione, chiusura mentale, perdita di senso, perdita di stima in sè, perdita di valori, perdita di orizzonti, chiusura verso nuovi concetti, auto-castrazione, smettere di sognare o credere in qualcosa, chiusura della propria prospettiva temporale in orizzonti sempre più brevi e limitati, vivere solo per se stessi.

Contro questi nemici gli insegnamenti di Musashi, e lo spirito guerriero che li anima, hanno ancora enorme senso e validità. Respirare ogni giorno a pieni polmoni uno spirito guerriero per fini positivi è un abito mentale. Alzarsi con questo spirito, andare a dormire con questo spirito, risvegliare gli archetipi guerrieri e direzionarli per costruire, è una sfida nuova, entusiasmante, che fa onore al dono di esistere.

1 Miyamoto Musashi, 1584-1645, giapponese, considerato nelle arti marziali come il più grande Samurai vissuto in ogni tempo. Ebbe il primo duello mortale a 13 anni, e vinse. Vagò per il Giappone come Ronin (guerriero errante) per anni, battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria, lottando anche contro più avversari contemporaneamente o superando imboscate e duelli con decine di avversari. A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline artistiche risultando un maestro in molte di esse. Nel­la pittura, nella calligrafia, le sue opere oggi fanno parte del patrimonio artistico giap­po­nese. A 60 anni si ritirò in una grotta per scrivere il suo Manuale. In Giappone oggi è leggenda.

2 Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005, p. 61.

3 Ivi, p. 62.

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©Copyright. Vietata la copia o riproduzione non autorizzata. Per contatti. Altri approfondimenti sul volume sono disponibili alla sezione dedicata al Potenziale Umano sul sito Studiotrevisani e sul blog Potenziale Umano, risorse per la crescita personale, formazione e coaching.

Articolo elaborato dal volume “Il Potenziale Umano” – Autore: dott. Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it 

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Chi si impegna per produrre performance umane deve assumere un preciso abito mentale. È l’assetto del guerriero, del Samurai, del combattente, del ricercatore concentrato, del missionario che crede in una causa.

È l’atteggiamento focalizzato di chi desidera ottenere qualcosa che reputa importante e – durante l’esecuzione – non si lascia distrarre da altro. Di chi ha un valore e lotta per esso. Di chi fa della causa una parte di sé.

Non riguarda solo  enormi imprese, ma anche e soprattutto la vita di ogni giorno. Il più grande Samurai di ogni tempo, Musashi, così descrive l’abito mentale di chi vuole intraprendere la vita del Samurai:

Chi voglia intraprendere la via dell’Hejò (strategia)

tenga a mente i seguenti precetti.

  • Primo: Non coltivare cattivi pensieri.
  • Secondo: Esercitati con dedizione.
  • Terzo: Studia tutte le arti.
  • Quarto: Conosci anche gli altri mestieri.
  • Quinto: Distingui l’utile dall’inutile.
  • Sesto: Riconosci il vero dal falso.
  • Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi.
  • Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie.
  • Nono: Non abbandonarti in attività futili.

È eccezionale notare come anche oggi questo abito mentale sia dotato di enorme suggestività per chi intende sviluppare il proprio potenziale. Ci parla, infatti, di un atteggiamento di fondo.

È l’atteggiamento di serietà con cui un calciatore professionista rimane persona umile, cura alimentazione e riposo, rispetto al divo del calcio che assume atteggiamenti da star e si presenta tardi agli allenamenti.

È lo spirito di una ragazza che decide di sputare (esatto, sputare) sul modello proposto dai media di cosa sia una ragazza “arrivata” (fotomodella,  star televisiva, protagonista di reality show, anoressica, o bambola da chirurgo plastico) e piuttosto si impegna nello studio, in una professione utile, o in campo sociale, mandando a quel paese il modello che fa coincidere carriera con arcata dentale, natiche e scollatura.

È il coraggio di un ricercatore che intraprende vie di ricerca e sperimentazione inusuali ma dalle quali pensa di poter dare una aiuto al mondo, piccolo o grande, anche andando contro i baroni accademici e lo status quo.

È la saggezza del lottatore che cura attentamente il suo recupero prima di gettarsi in una nuova battaglia, consapevole del fatto che se non avrà riposato abbastanza non potrà sostenere molte battaglie e si brucerà.

È la passione di chi si impegna per una causa, fatica, fa rinunce ma non le rimpiange, e si sacrifica per qualcosa di cui forse non vedrà nemmeno i frutti in vita.

Ma non tutto è solo sacrificio. Le performance sono anche contribuzione, gioia, celebrazione, divertimento, piacere, il gusto di fare qualcosa di importante, essere parte di qualcosa, di lasciare un segno, di compiere imprese assieme a qualcuno e fare team. O la voglia di essere ciò che possiamo essere.

I veri performer sanno anche celebrare i propri risultati e vivere a pieno.

Ciascun precetto di Musashi si riferisce anche oggi ad una o più aree della psicologia delle performance e mantiene una validità assoluta:

Primo: Non coltivare cattivi pensieri. L’esercizio di un atteggiamento mentale positivo, il pensiero positivo, la concentrazione su ciò che di buono e utile vogliamo ottenere, allontanarsi da pensieri negativi o dal male; la ricerca di quello che oggi chiamiamo uno “stile cognitivo” efficace.

Secondo: Esercitati con dedizione. Oggi chiamato training, formazione, tecniche di allenamento e addestramento, e soprattutto, la necessità del performer di applicarsi in un active training, cioè in esercitazioni attive e non solo analisi teorica, e farlo con dedizione, nel tempo, e con continuità.

Terzo: Studia tutte le arti. L’approccio enciclopedico, la contaminazione positiva che deriva dall’andare fuori dai propri recinti e studiare le cose più disparate, interessarsi anche di ciò che altre discipline indagano, il contrario della chiusura in un recinto professionale o disciplinare, male odierno, il contrario delle sette, e della cultura dell’egoismo.

Quarto: Conosci anche gli altri mestieri. La capacità di muoversi ed agire anche in campi esterni, l’allargamento del proprio repertorio professionale, sapersi muovere anche fuori dal proprio campo di azione limitato, essere capaci anche in altre abilità e professioni, spaziare, non chiudersi.

Quinto: Distingui l’utile dall’inutile. Concetto similare a quello che nel sistema HPM chiamiamo Retargeting Mental Energy, o ricentraggio delle energie mentali, ciò che permette alle persone di capire veramente cosa merita il proprio impegno e cosa non lo merita, dove centrarsi o ricentrarsi nel proprio focus di attenzione, e quindi verso cosa direzionare le energie personali.

Sesto: Riconosci il vero dal falso. Coltivare le capacità di analisi, la percezione pura e decontaminata da preconcetti e distorsioni, il bisogno di verità, il bisogno di pulizia psicologica, il bisogno di sviluppare le capacità di riconoscimento (detection) indispensabile ad esempio in chi svolge il mestiere di negoziatore o di comunicatore, o in chi guida le persone (leader) o in chi lavora in gruppo (team working). Ed ancora, il bisogno di distinguere fatti da opinioni, teorie accertate da ipotesi, affermazioni personali da idee condivise.

Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi. La percezione è il fenomeno oggi più centrale in molte forme di psicologia, e comprende sia la propriocezione (capacità di percepire se stessi), che la percezione ambientale. Il settimo precetto di Musashi indirizza verso abilità di percezione aumentata, disambiguamento dalle illusioni percettive, sviluppo della sensibilità umana e sensoriale, ricerca di significati e quadri di analisi (Gestalt), e il potenziamento delle facoltà di osservazione. Tratta quindi di una “percezione allargata”, opposta ad una chiusura percettiva.

Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie. Il bisogno di entrare nelle micro-competenze, la ricerca dell’eccellenza, l’abbandono di un atteggiamento di pressapochismo e banalizzazione. Attenzione ai dettagli che contano, assunzione di un atteggiamento di amore per quello che si fa e per come lo si fa.

Nono: Non abbandonarti in attività futili. Capire che il tempo è prezioso, e dobbiamo veramente decidere se abbandonarci ad uno squallido clone del modo con cui le persone comuni usano il tempo (copiare il mainstream), lasciarsi andare come bastoni sul corso di un fiume di qualunquismo, assecondare la piattezza di ciò che tutti gli altri fanno, o assertivamente prendere in mano il nostro tempo e decidere di farne qualcosa, allenarci, studiare, intraprendere, esplorare, scrivere, condividere, sperimentare nuove conoscenze; ed ancora, capire che esistono diversi macro-tempi, quello della produttività, dello studio, dell’auto-organizzazione, delle relazioni sociali, e quello del recupero, della meditazione, del relax, ma non esistono i tempi delle relazioni obbligate, lo spreco di tempo con persone piatte o arroganti o prepotenti, e vanno riconosciute e rimosse le attività di pura abulia o distruzione di sé.

Le lezioni di Musashi vengono da un performer che ha passato la vita a sfidare la morte, e hanno un significato odierno assoluto.

È ancora più incredibile notare come già nel 1600 Musashi concentrasse tutta la sua analisi su aspetti di enorme attualità: sinergia tra corpo e mente, correlazione tra preparazione fisica e mentale, il fatto che la preparazione o una vittoria sia una conquista personale e non un diritto da pretendere, e che prima si debba cercare un approccio mentale e strategico valido, e solo dopo vengono i dettegli operativi. Una lezione che nel terzo millennio moltissimi sportivi e manager devono ancora imparare.

Quando si dedicano assiduamente tutte le proprie energie all’Hejò e si cerca con costanza la verità è possibile battere chiunque e ovviamente raggiungere la supremazia, sia perché si ha il pieno controllo del proprio corpo, grazie all’esercizio fisico, e sia perché si è padroni della mente, per merito della disciplina spirituale. Chi ha raggiunto questo livello di preparazione non può essere sconfitto.

Dobbiamo oggi riflettere sul significato profondo che queste parole assumono: dedizione, ricerca della verità, pulizia spirituale, sono il vero messaggio di fondo. La ricerca della supremazia e della vittoria appartengono ad una realtà medioevale, vengono dall’essere nati in un certo momento storico dove questo significava vivere o morire. Se, in una mattina del 1600, qualcuno si fosse presentato a noi con una spada per ucciderci, sarebbero state drammaticamente importanti anche per noi.

Oggi i nemici veri non portano spade ma, là fuori, si aggirano ringhiando.

Si chiamano miseria, ignoranza, ipocrisia, prepotenza, arroganza, dolore esistenziale, fame, violenza, bambini che soffrono, nepotismi, corruzione, sistemi clientelari – e soprattutto- fonte di ogni male, l’incomunicabilità.

I nemici possono essere anche dentro: presunzione, chiusura mentale, perdita di senso, perdita di stima in sè, perdita di valori, perdita di orizzonti, chiusura verso nuovi concetti, auto-castrazione, smettere di sognare o credere in qualcosa, chiusura della propria prospettiva temporale in orizzonti sempre più brevi e limitati, vivere solo per se stessi.

Contro questi nemici gli insegnamenti di Musashi, e lo spirito guerriero che li anima, hanno ancora enorme senso e validità.  Respirare ogni giorno a pieni polmoni uno spirito guerriero per fini positivi è un abito mentale. Alzarsi con questo spirito, andare a dormire con questo spirito, risvegliare gli archetipi guerrieri e direzionarli per costruire, è una sfida nuova, entusiasmante, che fa onore al dono di esistere.


Miyamoto Musashi, 1584-1645, giapponese, considerato nelle arti marziali come il più grande Samurai vissuto in ogni tempo. Ebbe il primo duello mortale a 13 anni, e vinse. Vagò per il Giappone come Ronin (guerriero errante) per anni, battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria, lottando anche contro più avversari contemporaneamente o superando imboscate e duelli con decine di avversari. A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline artistiche risultando un maestro in molte di esse. Nel­la pittura, nella calligrafia, le sue opere oggi fanno parte del patrimonio artistico giap­po­nese. A 60 anni si ritirò in una grotta per scrivere il suo Manuale. In Giappone oggi è leggenda.

Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005, p. 61.

Ivi, p. 62.

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Copyright, dal Volume:

“Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

I filtri ideologici impediscono di osservare la realtà

Riportiamo ed offriamo alla libera analisi la trascrizione di un articolo importantissimo, al fine di esaminare l’influenza degli “schemi” sulla percezione.  Gli schemi o frame sono costrutti attraverso i quali le persone filtrano e putropppo spesso deformano la realtà percettiva, sino al punto di negarla quando dissonante con lo schema dominante interno. Questo ovvviamente impoverisce e amputa qualsiasi forma di analisi corretta, non distorta, basata sui fatti. L’invito è di riprendere lo stesso tipo di analisi e riapplicarlo su ogni forma di schema distorsivo che impedisce di osservare la realtà con occhi puliti, privi di pregiudizio e autoabbaglio, da qualsiasi angolatura essi provengano.

Articolo: fonte Corriere della Sera, giov. 19 febbraio 2009, editoriale di Pierluigi Battista

Nell’intervista rilasciata a Francesco Alberti per il Corriere, Barbagli racconta di una formidabile lotta tra i suoi «schematismi» culturali e i dati della realtà che lo hanno costretto, sul tema della criminalità connessa all’immigrazione, a rivedere drasticamente le proprie «ipotesi di partenza».

«Non volevo vedere », confessa con cristallina onestà intellettuale Barbagli, «c’era qualcosa in me che si rifiutava di esaminare in maniera oggettiva i dati sull’incidenza dell’immigrazione rispetto alla criminalità. Ero condizionato dalle mie posizioni di uomo di sinistra. E quando finalmente ho cominciato a prendere atto della realtà e a scrivere che l’ondata migratoria ha avuto una pesante ricaduta sull’aumento di certi reati, alcuni colleghi mi hanno tolto il saluto». Il racconto di Barbagli riassume con grande pathos espressivo il senso di un percorso sofferto: «ho fatto il possibile per ingannare me stesso»; «era come se avessi un blocco mentale ».

Fino alla conclusione catartica, ma malinconica e solitaria: «sono finalmente riuscito a tenere distinti i due piani: il ricercatore e l’uomo di sinistra. Ora sono un ricercatore. E nient’altro». La conclusione di Barbagli segna il dramma della sinistra italiana che si strazia nel vortice delle ripetute sconfitte. Il suo bagno nella realtà, il suo immergersi nei dati empirici per capire che cosa si muove nella società italiana senza essere percepito dagli occhiali deformanti del politicamente corretto, sanciscono un divorzio tragico tra il «ricercatore» e «l’uomo di sinistra». La sinistra lamenta ritualmente il proprio distacco dalla realtà, il proprio ripiegarsi autoreferenziale in una retorica incomprensibile al «vissuto » della società come realmente è e pensa.

Ma per lasciarsi «assalire dalla realtà », come usava dire tra i liberal americani sommersi dall’ondata culturale neoconservatrice, deve impegnarsi per ricomporre la frattura esistenziale raccontata da Barbagli. Deve dimostrare che tra la «ricerca » e la sinistra, tra i «dati» e il discorso dominante nei suoi circuiti autisticamente chiusi in se stessi non c’è guerra o alterità, e che per risollevarsi occorre disfarsi del «blocco mentale» che l’ha paralizzata in questi anni, precludendosi ogni comunicazione con ciò che sta fuori di essa. Scegliere Barbagli e non chi gli «ha tolto il saluto». La realtà e non i sacerdoti di una «correttezza» politica sempre più vuota.

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Analisi sullo stesso tema, da fonte diversa (http://forum.kataweb.it/viewtopic.php?t=272274)

Marzio Barbagli Il sociologo: ho scritto ciò che la realtà mi suggeriva e molti colleghi mi hanno tolto il saluto

«Immigrati e reati, io di sinistra non volevo vedere»

C’ è il rifiuto di vedere i cambiamenti dovuti all’ ondata migratoria

BOLOGNA – «Sì, in quegli anni andava così, non volevo vedere: c’ era qualcosa in me che si rifiutava di esaminare in maniera oggettiva i dati sull’ incidenza dell’ immigrazione rispetto alla criminalità. Ero condizionato dalle mie posizioni di uomo di sinistra. E quando finalmente ho cominciato a prendere atto della realtà e a scrivere che l’ ondata migratoria ha avuto una pesante ricaduta sull’ aumento di certi reati, alcuni colleghi mi hanno tolto il saluto». Marzio Barbagli ha 70 anni, è professore di sociologia all’ Università di Bologna, ha scritto libri importanti sul tema immigrazione e delinquenza e ha curato per il Viminale (ai tempi di Enzo Bianco e Giuliano Amato) il rapporto sullo stato della criminalità. Nel suo libro, Immigrazione e sicurezza (edito dal Mulino), fissa l’ impressionante impennata di stupri compiuti dagli extracomunitari: dal 9% al 40% negli ultimi 20 anni, con romeni, marocchini e albanesi a guidare la classifica. Professore, a quando risale questa specie di cecità scientifica? «Parlo di una decina di anni fa… Ma guardi che non ero l’ unico, c’ erano anche altri colleghi, della mia stessa parte politica, che si rifiutavano di vedere i cambiamenti, sotto il profilo dell’ ordine pubblico, che l’ ondata migratoria comportava». Eppure non mancavano dati e statistiche. O no? «Certo che c’ erano, ma non volevo crederci, non li cercavo nemmeno. Ho fatto il possibile per ingannare me stesso. Mi dicevo: ma no, le cifre sono sbagliate, le procedure d’ analisi difettose. Era come se avessi un blocco mentale…». Poi cos’ è successo? «Ho capito che non erano i dati ad essere sbagliati, ma le mie ipotesi di partenza». E a quel punto? «Sono finalmente riuscito a tenere distinti i due piani: il ricercatore dall’ uomo di sinistra. E ho scritto quello che la realtà mi suggeriva». E alcuni suoi colleghi le hanno tolto il saluto. «Sì, alcuni. Poi ce n’ erano altri che, pur sapendo che avevo ragione, mi dicevano che quelle cose non andavano comunque scritte». Lei ha avuto l’ onestà e il coraggio di ammettere l’ errore: pensa che a sinistra questi condizionamenti ideologici siano molto diffusi? «Di sicuro lo sono stati. E non solo in Italia. Un gap culturale che ha costretto la sinistra ad una faticosa rincorsa, che in parte però sta avvenendo. La stessa Livio Turco, promotrice assieme a Giorgio Napolitano di una legge importante sull’ immigrazione, ha ammesso che inizialmente, quando si trovò ad affrontare la questione, non fu semplice superare certi schematismi, una certa immaturità». Cosa le ha insegnato questa esperienza? «È stato un processo faticoso, ma di grande crescita. Ora sono un ricercatore. E nient’ altro». Francesco Alberti