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Cultura Marziale

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Mi chiedo seriamente se chi produce film si chiede mai che effetti sta generando nei giovani che li guardano, o se persino questo gli possa interessare.
Molti video nei film come questo, o in Rocky, o Van Damme, Segal, e tantissimi altri film d’azione e di arti marziali, altri – pur di aumentare l’audience e far parlare di sè – mostrano scene irreali: es, in questo video, un soggetto che si rialza dopo aver preso un gancio a tutta potenza da un peso massimo, in pieno mento. E non una, ma due volte. Per chi ha qualche dimestichezza con le arti marziali e gli sport da ring, un gancio destro in pieno volto a piena potenza e senza che venga attutito da una qualsiasi guardia, preso da un peso massimo, genera un KO immediato, anche su un altro peso massimo.
In altri video, gente che si rialza dopo aver preso una sprangata in faccia con un tubo di metallo pieno (es, Die Hard, etc).
Nella realtà non ti rialzi neanche con una gru, e puoi morire.
Questi video sono pericolosi perchè i più giovani possono pensare che in strada potrebbero fare una rissa e cavarsela, mentre la realtà è che un colpo in una rissa o una caduta dove batti la schiena su uno spigolo possono farti morire o paralizzarti per tutta la vita, e che ogni colpo duro preso in punti vitali può farti danni enormi.
Altro che rialzarsi grazie alla voce del presunto Maestro di Arti Marziali di turno…
Per chi fa video, sarebbe ora di chiarire bene se si tratta di esibizioni, di fantascienza, coreografie, o di bugie spacciate per realtà.
Daniele Trevisani

[slideshow]Daoshi® è una  Disciplina Marziale e del Potenziale Umano, basata sull’integrazione di varie discipline e arti, tra cui: Boxe, Muay Thai, Kickboxing, Karate, Judo, Ju Jitsu Goju, Capoeira, Taekwondo, Wushu, Aikido,  unite al Training Mentale, Bioenergetica e altre pratiche psicologiche.
Daoshi è una Disciplina in continua evoluzione. Ad oggi, le  differenti categorie di Daoshi® sono:

  1. Daoshi Kombat™: versione del Daoshi dedita al combattimento con protezioni (guanti o guanti speciali, e altre protezioni. es paratibie) che mette i praticanti in grado di gareggiare in tornei di Kickboxing K1,  Thai, MMA, Valetudo, Ju Jitsu Goju, Sanda, Kumite,  e nella preparazione al Pugilato
  2. Daoshi Total Fighting System™: versione del Daoshi dedicata alla protezione totale della persona e dei propri cari, o alla protezione professionale (sicurezza). Non utilizza generalmente protezioni di alcun tipo (salvo in alcuni casi alcune protezioni speciali militari per operatori speciali),  utilizza tecniche di immobilizzazione, di percussione, di leva, di strangolamento, dal livello minimale (semplice controllo) al livello letale (riservato solo per operatori di Forze dell’Ordine)
  3. Daoshi Bushido™: pratica della “via del Guerriero”, che enfatizza uno stile di vita marziale, lavora soprattutto sul Lifestyle Training, sui valori, sulla ricerca del Potenziale Umano, il Miglioramento Personale e la Crescita Personale
  4. Daoshi Healing™,  Daoshi Bioenergetics™ e Daoshi Mental Training™: pratica crescita personale di natura terapeutica e psicologica, orientata all’unione tra Bioenergetica Loweniana, scuole psicologiche neo-Reichiane e Arti Orientali. Applica soprattutto tecniche di Training Mentale, Psicoenergetica, Bioenergetica, affinamento delle capacità di concentrazione, rilassamento, attivazione mentale, focalizzazione. Utile anche per gli agonisti che lavorano in contesti di sfida massimale e operatori di alto livello nella Sicurezza, Militare e Forze Speciali, in quanto attiva  le competenze di Percezione Aumentata e Extended Cognition o “percezione allargata” utili in contesti di alta difficoltà operativa.

Daoshi non è una federazione, nè una Società Sportiva, è una Disciplina, e collabora con selezionate Federazioni di vari settori sportivi e sociali.
Apertura ad altre discipline e sport: Daoshi è Disciplina aperta soprattutto a chi ha praticato altre discipline marziali e combat e, senza mai rinnegarle, vuole ora guardare oltre il suo settore di provenienza, aprirsi ad altri tipi di studio, e arricchire il proprio campo di conoscenze.
La pratica del Daoshi è compatibile con la pratica di altri sport (es, Calcio, Volley, Basket, Nuoto) in quanto stimola le capacità di concentrazione, lucidità tattica e rapidità. E’ aperta inoltre ai praticanti di altre discipline Marziali e Combat.
Le tecniche vengono applicate sia all’allenamento amatoriale che agonistico. I praticanti delle varianti sportive di Daoshi sono in grado di combattere in tornei di varia natura, come nella Kickboxing (Light, Low-Kick, Full), K1, Muay Thai, nelle MMA, Sanda e Kumite e in varie altre forme di combattimento.
I praticanti più esperti in Daoshi Bioenergetics sono in grado di condurre sessioni private sia di personal training che di risoluzione di una grande varietà di problematiche fisiche, dovute allo stress o alla mancanza di attività fisica corretta.
Le tecniche marziali e combat vengono unite, ad un livello superiore, alle metodologie di Crescita Personale e del Potenziale Umano sviluppate dal dott. Daniele Trevisani e pubblicate da Franco Angeli editore nel volume dedicato – link e descrizione del volume:https://www.studiotrevisani.it/hpm2/
Il nostro scopo è soprattutto l’integrazione tra diversi stili e la formazione di istruttori (Mission Pedagogica Primaria). Svolgiamo attività di formazione e corsi soprattutto rivolti ai giovani, con una missione che è prima di tutto sociale.
Il lavoro sul sociale
Abbiamo ideato e sviluppato progetti di “Arti Marziali
e Sport di Combattimento contro la droga” per contrastare l’ingresso e il permanere della droga nelle comunità dove operiamo – progetti “Drug Free Community“. Di questo siamo molto orgogliosi.
Cos’è per noi la vittoria? Non avere campioni del mondo, ma far vivere a pieno i giovani. Ogni paese, frazione o micro – comunità che riusciamo con il nostro sport/disciplina a bonificare dalla droga e dall’apatia e dalla noia è per noi un successo.
Svolgiamo costantemente progetti di formazione gratuita per donne –“Urban Warrior™ , cui partecipano gratuitamente Istruttori e Maestri Daoshi, aperti anche al contributo di Maestri e Istruttori selezionati.
Siamo attivi nella difesa dei diritti dei deboli e degli emarginati, nella difesa femminile, in attività di contrasto al bullismo, anche tramite corsi gratuiti con Maestri provenienti da ogni disciplina.
Il sistema Daoshi è sviluppato dal dott. Daniele Trevisani, praticante di oltre 13 diverse discipline e ricercatore sul Potenziale Umano.
Sul lato Combat, Daniele Trevisani è stato Campione Universitario in Full Contact alla University of Florida (1991-1992), agonista Cintura nera in Taekwondo agonistico, formatore di team di Kumite (Karate), con oltre 25 anni di esperienza di insegnamento
Sul lato scientifico, è Fulbright Scholar presso la University of Florida (USA), laureato in Dams Comunicazione, Master of Arts in Communication, Master in International Marketing, e Diplomato Federazione Italiana Fitness come Preparatore Atletico.
Daoshi e Potenziale Umano: metodi e piani per la Crescita Personale

Il sistema Daoshi® si occupa – nel suo livello più profondo – di sviluppo del Potenziale Umano tramite le Arti Marziali e gli Sport di Combattimento.
Diversi corsi Daoshi sono dedicati anche a Manager e Professionisti del mondo aziendale, tramite attività di formazione in cui i partecipanti apprendono tecniche di controllo mentale, concentrazione, focalizzazione, rilassamento, attivazione mentale, ricentraggio delle priorità, sviluppo delle energie personali.
Sul piano Marziale, scopo primario è la formazione di istruttori e la crescita dei praticanti, coltivando formazione tecnica e culturale, con la possibilità di arrivare sino al loro grado di Assistente Istruttore, Istruttore e Maestro. Per questi livelli sono previsti affiancamenti di codocenza, ed un programma di certificazione della durata di 1 intero anno più stage intensivo ed esame finale, per chi proviene da altre discipline, o la partenza dal livello di principiante per chi inizia senza esperienza marziale, con – in questo caso – un programma minimo triennale.
Il programma Daoshi®  è fondato soprattutto sul potere delle Arti Marziali di favorire la formazione umana del partecipante, dove la ricerca spirituale accompagna una costante ricerca del miglioramento personale sul piano umano e dei valori.
Le basi didattiche del sistema Daoshi®  sono ancorate in valori solidi di rispetto, lealtà ed onestà, secondo i principi ispiratori del Budo, dagli albori delle arti marziali sino ad attuali metodi di combattimento totale quali MMA e Valetudo.
Formazione speciale agonisti di altre discipline e altri sport (calcio, basket, volley, e altre)il Daoshi viene utilizzato come tecnica di allenamento per aumentare le capacità di focalizzazione, concentrazione, attenzione, forza veloce e forza resistente di praticanti di altre discipline marziali, nonché nel Calcio, Basket, Volley, Nuoto, e ogni altro sport con forti componenti agonistiche
Cinture e gradi
Cinture e gradi nel Daoshi indicano le capacità didattiche ancora prima delle capacità tecniche o atletiche. Si può essere geni della matematica ma pessimi insegnanti di matematica, così come esistono atleti eccezionali incapaci di insegnare. Noi valorizziamo soprattutto le capacità didattiche.
 
Il Daoshi premia soprattutto le capacità didattiche e lo sforzo didattico, l’impegno verso la causa comune e la capacità di fare aggregazione o dare un contributo alla causa. Questo non toglie che ovviamente cinture elevate siano in genere anche più capaci tecnicamente, ma se non lo fossero per lo spessore umano, non meriterebbero la Cintura Daoshi.
Le cinture sono attualmente divise in:

  1. Blank: neo-praticanti, o ospiti esterni (esclusi accordi specifici che permettono di mantenere la propria divisa e Cintura), allenamento con Judogi, Karategi o Shorts Thai, a seconda del tipo di allenamento svolto nella sessione
  2. Cintura bianco-gialla, atleti intermedi: con esame su tecniche prevalenti di striking e tecniche base di lotta
  3. Cintura giallo-rossa: atleti praticanti avanzati con eccellenti capacità di striking e di lotta, ed esperienza agonistica. Dal livello seguente, oltre alla Cintura sono previsti Dan di graduazione per ogni categoria:
  4. Cintura blu: l’equivalente della nera nel Karate, Judo o discipline similari. Richiede esperienza didattica sul campo, almeno annuale in affiancamento ad un istruttore avanzato, ed esperienza agonistica. Forti capacità di striking e buone basi di lotta, voglia di insegnare, spessore umano, affidabilità personale e senso di responsabilità dell’insegnare
  5. Cintura rossa: formatore di agonisti. Richiede forti competenze di striking, lotta al suolo, takedown, autodifesa, difesa da attacchi plurimi, esperienza didattica pluriennale ed agonistica, capacità di preparazione di circuiti allenanti
  6. Cintura viola: direttore di istruttori, con capacità di coordinamento e organizzazione di lavoro allenante su più sedi, di preparazione di target differenziati, di leadership nella gestione di istruttori e assistenti istruttori, conoscenze di Training Mentale e Healing
  7. Cintura nera: Maestro, conoscenze striking provenienti da più discipline, takedown e lotta al suolo, armi Daoshi, armi da strada o armi occasionali. Forti competenze di leadership, capacità come Formatore, spessore umano, affidabilità totale, spirito di squadra, volontà di diventare un riferimento nella crescita dei ragazzi e degli istruttori vista come missione primaria e valore assoluto da perseguire, conoscenza del metodo HPM sul Potenziale Umano, conoscenze approfondite di Training Mentale e Healing, Bioenergetica Daoshi e altre capacità che non possono essere qui divulgate.
  8. Grand Master, Cintura nera dal 6° Dan: Oltre a tutto quanto esposto sopra, prevede la facoltà di erogare cinture e graduazioni, con enorme senso di responsabilità. Questo prevede forti doti di autonomia decisionale e capacità di organizzazione di eventi, allenamenti agonisti, allenamenti di avviamento, sviluppo nuovi corsi, preparazione gare. Prevede inoltre capacità di preparazione e gestione team di operatori di sicurezza, gestione della sicurezza in locali pubblici e eventi pubblici, capacità di leadership di team ad alte prestazioni, e svariate altre capacità, prima delle quali la totale affidabilità e devozione verso la causa dell’insegnamento, vista come missione morale e una professione vera e propria. Al momento, l’unico Grand Maste autorizzato è il M° Alfonso de Vito, 6° Dan
  9. Sensei: dall’8° Dan, oltre a quanto esposto sino al grado di Grand Master, qualifica l’impegno orientato alla ricerca scientifica sui processi del Potenziale Umano e la sua applicazione veso praticanti, agonisti, istruttori e Maestri. Il valore è soprattutto come riferimento morale. Richiede la maturazione di tecniche olistiche di sviluppo del Potenziale Umano, interdisciplinari, sia sul campo fisico che psicologico. Qualifica inoltre l’attività di ricerca costante verso lo sviluppo di nuovi programmi formativi e concept didattici, la rivisitazione e riqualificazione tecnica tramite stage e seminari speciali, lo sviluppo di tecniche applicabili in contesti anche diversi da quello marziale (es: Coaching e Counseling di Forze Speciali, Coaching e Pesonal Training di agonisti e praticanti di discipline non marziali e non combat, coaching e programmi di crescita personale individuali). Prevede inoltre capacità di ricerca scientifica e pratica sia agonistica che di insegnamento. Ha il ruolo di Sensei il dott. Daniele Trevisani, impegnato nello sviluppo e applicazione marziale e combat del metodo HPM (il metodo scientifico sul quale si basano le metodologie allenanti del Potenziale Umano).

Ruoli diversi

  • Ronin: Agonista esterno, ospite, che può mantenere tutte le caratteristiche della Scuola di provenienza (gradi, cinture, divise). Può optare per allenamenti occasionali o  praticare congiuntamente anche Daoshi ampliando il proprio repertorio ed ottenere in seguito una doppia certificazione (dalla scuola di provenienza e dalla scuola Daoshi)
  • Research Committee, Certified Research Partner: attestazione onorifica per Maestri di altre discipline, centrata sullo spessore umano, che attesta contributi culturali al Comitato di Ricerca Daoshi sulle Arti Marziali e Combat (Daoshi Martial Arts Research Committee), mantenendo la propria attività prevalente nella disciplina di base. I membri si distinguono per avere operato concretamente nello spirito di ricerca multidisciplinare del Daoshi, cercando di dare contributi culturali alla crescita di praticanti e istruttori (es, partecipazione a stage multidisciplinari), al di la di qualsiasi scuola o disciplina di provenienza e oltre qualsiasi barriera culturale, e massima apertura mentale. Ne fanno parte il M° Maurizio Medici (per la sua enorme esperienza pratica e didattica nel Wushu), e il dott. Lorenzo Manfredini, psicologo allenatore della Nazionale Italiana di Apnea e formatore di Campioni del Mondo in sport estremi.
  • Ethical Committee: Comitato Etico, valuta azioni e comportamenti di chi opera nell’insegnamento e nei praticanti. Valuta l’intangibile. Pochi sguardi in grado di investigare l’animo delle persone. Ne è Direttore il Comandante Antonio Greci, cultore di discipline del Potenziale Umano, psicologia e crescita personale, formatore in leadership e tecniche di comando e controllo, esperto in leadership, Comandante di Navi di Marina Mercantile Internazionalii.

Ogni allievo, nel sistema Daoshi, viene osservato nelle sue doti di potenziale istruttore, imparando gradualmente a divulgare il metodo, affiancare i nuovi arrivati, e trasmettere cultura e conoscenza, soprattutto sul piano morale ancora prima che fisico.
Nel Daoshi viene svolta una continua opera di formazione-formatori, stage per istruttori e agonisti.
Il successo del Daoshi si misura

  1. nel numero di ragazzi sottratti alla strada, alla noia, all’apatia, e indirizzati verso una via di crescita personale nello sport e arti marziali
  2. dal numero di istruttori e Maestri che esso riesce a creare, e dal fatto che essi diventino veri Formatori del Potenziale Umano e non semplici insegnanti di tecniche.

Segreti delle Arti Marziali e Kickboxing

Primi accenni ai Segreti del ciclo allenante e della sequenza allenante

Iniziamo a parlare di alcuni argomenti “segreti” ed “alchemici” del training marziale e combat, senza la pretesa di esaurire il tutto in un singolo articolo.
Tra  i principali segreti dei professionisti delle arti marziali e sport da ring si colloca sicuramente la “scoperta” del “ciclo allenante”.
Il   “ciclo allenante” corrisponde all’esatta localizzazione della molteplicità di stimoli a cui sottoporre il proprio corpo e la propria mente, e della molteplicità di metodi per aumentare il recupero. Molteplicità significa “più stimoli” e quindi varianza dei metodi di allenamento. Approccio olistico significa “allenare il tutto”. Allenare la Mente significa praticare Training Mentale. Attivare strategie di recupero significa studiare quali metodi (attivi) ci permettono di recuperare al massimo, incluso l’uso “alchemico” di integratori nutrizionali speciali (mai, e poi mai, da confondere con il doping).
Alla base di questo metodo, possiamo quindi individuare
1 – segreti relativi agli stimoli allenanti e alla varianza degli stimoli
2 – segreti relativi ai metodi di Training Mentale
3 – segreti relativi agli integratori “alchemici”
4 – segreti relativi ai metodi di recupero.
Daremo qualche breve cenno in merito
Esempio di segreti relativi agli stimoli allenanti:
– fare sparring ad occhi bendati a cortissima distanza (allena le capacità propriocettive – il sentirsi in azione, ed eterocettive – il sentire l’altro senza bisogno di vederlo fisicamente)
– variare le intensità di allenamento tramite cicli speciali che contengono momenti di “over-reaching”: situazioni allenanti nuovi e stimoli mai incontrati prima, al fine di uscire dalla zona di comfort. Un esempio: compiere Kata in acqua, o praticare shadow boxing in acqua. Queste pratiche limitano il movimento e costringono a “pulirlo”.
– Ma ancora, compiere riprese di combattimento con un “limitatore di fiato” (esempio, un respiratore da snorkeling, modificato) che riduce la portata di ossigeno. Queste pratiche devono essere sequite e programmate da un Maestro o Coach molto esperto perchè comportano rischi fisici.
– Il segreto dei segreti: il Training Mentale. Le Arti Marziali attingono ai repertori, enormi, di Training Mentale sviluppati dalle varie discipline di appartenenza. Gli Sport da Ring possono attingere a questi repertori (con l’aiuto di Maestri) o a tecniche sviluppate dalla psicologia occidentale, come il Training Autogeno, o le tecniche di Visualizzazione Guidata. I ogni caso, i veri professionisti allenano anche la Mente, attraverso sessione specifiche di Training Mentale. Qualli che lo praticano realmente, non lo dicono, ma lo fanno. Se hanno la fortuna di incontrare qualcuno che li segue in questo territorio delicato e pieno di improvvisatori, difficilmente divulgheranno cosa fanno e terranno per se questi segreti.
– Esempio di “segreti” alchemici rispetto agli integratori nutrizionali: l’utilizzo combinato di Omega 3 (le cui funzioni sono multiple e su più piani, sia fisici che mentali), e integratori per mantenere e rigenerare la cartilagine (prevenire dolori e danni a ginocchia, gomiti, spalle) che altrimenti, con lavori allenanti intensi e continuati, rischierebbe di consumarsi e produrre traumi precoci in chi si allena da professionista.
Ogni tipo di attività “segreta” punta a creare vantaggi competitivi, schemi mentali e schemi motori che l’avversario non si aspetta.
E, segreto nei segreti, punta inoltre a lavorare prima di tutto l’immagine mentale del movimento e poi, solo dopo, il movimento vero e proprio.
La creazione di schemi motori fisici nel training manageriale e sportivo è uno degli aspetti più trascurati. Molti training diffondono concetti ma non allenano l’azione correlata alla loro messa in pratica. Non si sviluppano quindi gli schemi motori verbali e fisici, l’abitudine a parlare in un modo diverso, o a rispondere con diversi comportamenti, a pensare in modo diverso.
L’active training o formazione esperienziale è una modalità di training in cui viene creata azione, per generare e allenare schemi motori fisici e schemi linguistici. Averli agiti in prima persona permette di poter ripescare dai propri repertori di memoria molto più rapidamente i comportamenti e le abilità, mentre la sola osservazione non lo fa.
Per ciclo allenante, quindi, non si intende solo la pratica di azioni sul piano esclusivamente muscolare o fisico. Può entrare in una sessione allenante anche la pratica di azioni verbali fisicamente poco impegnative, es: imparare a rispondere in modo diverso ad una frase che in genere ci mette in difficoltà, farlo attivamente e ripetutamente, sino alla sua assimilazione completa negli schemi verbali e comportamentali, o praticare un allenamento in condizioni estremamente diversificate rispetto al normale.
Le azioni che vengono praticate in modo diverso possono sbloccare gli schemi precedenti.
Rimanendo sul versante fisico, al termine del ciclo allenante (composto da stress positivo, alimentazione, e recupero/riposo), gli organi o le funzioni mentali o comunicative che hanno lavorato adeguatamente saranno più forti rispetto alla situazione di partenza.
Figura 7 – Sequenza di lavoro in un ciclo allenante e supercompensazione (dal libro “Il Potenziale Umano”, di Daniele Trevisani, Franco Angeli Editore, p. 72)

Il segreto è quindi nel tipo di stimolo da applicare, nel tipo e modalità di recupero da generare, nell’alchimia delicata sul rapporto tra stimolo e recupero, e nell’integrazione speciale, da realizzare con un piano individualizzato, e mai generico.
Il lavoro allenante si basa sul principio di supercompensazione: una ricarica di energie che porta lo stato post-training ad un livello superiore rispetto allo stato pre-training. Con stimoli allenanti corretti, la ricostruzione è lievemente superiore rispetto alla distruzione.
Per coordinare tutto questo, servono davvero veri Maestri, preparati non solo sulle “tecniche”, ma anche sui principi del “potenziale umano” affinchè le persone possano rimanere professionisti a lungo e non bruciarsi in una singola gara o stagione.
Personalmente conosco oltre 280 diversi metodi di allenamento, e 120 sostanze in grado di aiutare sia il recupero che la concentrazione, la forza o la resistenza, ma so bene quanto male possa fare un uso sconsiderato di queste sostanze, e ai miei allievi consiglio semplicemente di mangiare frutta e verdura, oltre che carni magre e fare una vita sana.
Ai selezionati allievi cui faccio da coach agonistico, creo tabelle allenanti speciali, che comprendono anche integratori specifici per la persona, ma mai e poi mai darò a qualcuno la seppur vaga idea che una qualsiasi sostanza possa sostituire il lavoro serio e continuativo che l’allievo fa con il proprio Maestro. Questo è il vero segreto. In prossime puntate, ci occuperemo di alcuni altri “segreti”, ma teniamo a mente – sempre – che niente sostituisce la continuità e la serietà. Il “fuoco sacro” dell’apprendere, è il vero segreto finale.
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dott. Daniele Trevisani, Maestro, 8°Dan Sistema Daoshi Bushido Total Fighting System.

Capacità di automotivazione e accesso ai drivers interiori (sicurezza, riscatto, autorealizzazione, esplorazione, sfida)

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, ©  dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore. Approfondimenti  sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Per riprodurre l’articolo serve  autorizzazione scritta dell’autore, indirizzo mail visibile presso www.studiotrevisani.it

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Perché allenarsi? Perché alcuni sono costanti e si allenerebbero anche con la febbre, e altri cercano ogni scusa per stare sul divano?

La voglia di essere un artista marziale non si misura solo nell’intensità che si mette in un singolo allenamento, ma soprattutto nella continuità, mese dopo mese, anno dopo anno, decade dopo decade, di “essere li”, nel Dojo, sul tatami o sul ring. Essere li a cercare chi sei. Essere li a cercare qualcosa. Senza voglia di riscatto, senza pulsioni ad autorealizzarsi, avremo solo delle amebe e non dei fighter o degli artisti marziali. La “fame” a volte fa bene.

Le energie mentali, la voglia di fare, aumentano certamente quando una persona “ha fame”. Fame di riuscire, voglia di riscatto, bisogno di affermarsi, volontà di lasciare un’impronta e un ricordo, bisogno di immortalità (in senso spirituale), sono energie mentali che, ben canalizzate, producono grande carica psicoenergetica. Serve motivazione, voglia di riscatto, allenamento, bisogno di crescita personale, forza di carattere.

Questi motori psicologici, se utilizzati male, o se prendono il sopravvento sul senso profondo della vita e la fagocitano, possono invece distruggere.

I bisogni individuati da Maslow nel modello denominato “Gerarchia dei Bisogni” (o Piramide di Maslow) sono utili per inquadrare grandi categorie di bisogno: bisogno di sopravvivenza, bisogno di sicurezza, bisogni sociali e di immagine, bisogni di amore, bisogni di autorealizzazione e di trascendenza (la pienezza umana)[1].

In termini generali, ogni tipo di bisogno compete con gli altri in termini di priorità, ma alcuni bisogni, soprattutto primari come la sopravvivenza, diventano dominanti, sino a che non sono soddisfatti. Per questo motivo il coaching non può dimenticare il bisogno di sicurezza dell’individuo e il suo viaggio verso l’emanci­pazione, anche rispetto bisogno economico, o di trovare un assetto su cui poggiare (grounding personale) per poi andare avanti.

Vogliamo ricordare una citazione di Orwell, secondo cui:

La maggior parte dei socialisti si limita a evidenziare che una volta instaurato il socialismo saremo più felici in senso materiale e presuppone che ogni problema venga a cadere quando si ha la pancia piena. Invece è vero il contrario: quando si ha la pancia vuota non ci si pone altro problema che quello della pancia vuota. È quando ci lasciamo alle spalle lo sfruttamento e la dura fatica che cominciamo davvero a farci domande sul destino dell’uomo e sulle ragioni della sua esistenza.

George Orwell (da Come mi pare)[2]

Le cariche energetiche mosse dalla motivazione sono enormi ma funzionano in buona parte dei casi con andamenti ad U inversa. Livelli troppo bassi di attivazione non producono energia, livelli intermedi producono la massima energia, e livelli troppo alti producono eccesso di energia al punto che il soggetto non riesce a gestirla, non riesce a dissiparla e tradurla in azione, e questa implode sull’individuo stesso (stato di implosione o fibrillazione).

I drive o driver sono pulsioni verso o pulsioni contro, sentimenti che possono andare dalla rabbia al bisogno spirituale, dalla curiosità sino alla voglia di riscatto. Sono motori psicologici che alimentano le energie mentali combattive, agonistiche, ed energie ancestrali che tutti abbiamo dentro.

Queste energie per troppe persone sono drammaticamente coperte da una coltre di apatia, di depressione, di rinuncia. Sollevare questa coltre e lasciarle scorrere è urgente.

La prossima volta che teniamo una lezione, chiediamo ai presenti chi ha veramente FAME di cambiare e di diventare qualcuno o qualcosa, fame di crescere, chi accetta la sfida di allenarsi seriamente, e chi lo fa solo per moda o perché “lo fanno gli altri”.

Chiediamo a tutti chi vuole diventare un vero guerriero della vita e chi vuole essere un mediocre nella vita, e diciamoglielo chiaramente: la differenza tra i due inizia qui, in palestra. Si vede dall’ora in cui arrivi, si vede dall’impegno che ci metti negli allenamenti. Si vede dal fatto che vieni contro ogni difficoltà, o vieni solo se coccolato e portato dall’autista. Si vede da quanto sei disposto a sacrificarti per qualcosa.

Poi guardiamo tutti negli occhi. Troveremo risposte.

Dott. Daniele Trevisani

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei 8° Dan Sistema DaoShi® Bushido www.daoshi.it formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, MMA, Kickboxing, Karate  (Kumite), Taekwondo, Full Contact, Sanda, K1, Autodifesa. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile e campione universitario USA alla University of Florida.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali formatori italiani nella formazione risorse umane, formazione formatori, coaching, formazione di manager, di istruttori e trainer.


[1] Maslow, A. (1954), Motivation and Personality, trad. (1973) Motivazione e personalità, Roma, Armando.

Maslow, A. (1943), A Theory of human motivation, Psychological Review, 50, pp. 370-398.

[2] Fonte: http://it.wikiquote.org/wiki/George_Orwell.

La preparazione psicologica prima di una gara di Kickboxing o Sport da Ring, Arti Marziali e Forme

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, www.studiotrevisani.it

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2

Chi è interessato a riprodurre o citare l’articolo deve chiederne autorizzazione scritta all’autore, via email. L’indirizzo di email è visibiile sul sito www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Che si tratti di arti marziali o sport da ring, prima di una gara si genera “attivazione” psicologica.

L’attivazione può prendere due strade:

  • Attivazione positiva: vivere l’evento nei suoi lati più belli, sentendone soprattutto i lati positivi
  • Attivazione negativa: l’evento si carica di ansia, tensione, distrugge le energie mentali, rende la persona incapace di esprimere liberamente se stessa e tutta la sua preparazione.

Per tantissimi motivi, i praticanti nelle società occidentali vivono soprattutto nel secondo stato. Nessuno insegna veramente loro cosa fare, al di là del dare consigli derivanti dal buon senso.

Vi sono invece tecniche applicabili:

Esercizio di visualizzazione (visual imagery)

La tecnica consiste nella visualizzazione positiva: ogni giorno, per 30 minuti, occorre creare uno “spazio mentale vuoto” nel quale ricercare la condizione migliore. Se ci alleniamo ogni giorno per il corpo, lo stesso dobbiamo fare per la mente.

Occorre distendersi su un divano, o su un letto con doppio cuscino (non spiegherò in dettaglio tutti i motivi di questi accorgimenti, che hanno motivi tecnico-fisiologici che non ho qui il tempo di approfondire).

Occorre inoltre coprirsi e non avere luci forti sugli occhi. L’esercizio di visualizzazione va svolto ad occhi chiusi. Occorre inoltre una musica di sottofondo rilassante (es, musiche Reiki, o altre musiche sinfoniche, orientali, o classiche, niente di “agitato”).

  1. Nella prima fase occorre concentrarsi solo sul respiro, respirare lentamente e profondamente, senza troppo sforzo.
  2. Nella seconda fase (derivante dal Training Autogeno) si avvia la pratica delle ripetizioni mentali: occorre ripetere mentalmente e molto lentamente la frase “il mio corpo è pesante (5 volte), e io sono calmo, tranquillo, sereno. Il mio corpo è pesante, e io sto bene”. Vi sono numerose varianti a queste frasi, ma l’essenziale è che siano frasi positive, sul “sentirsi bene” nel presente e non nel futuro (evitare di dire, ad esempio, “ed io starò bene”, ma dire “e io sto bene).
  3. Fase di visualizzazione positiva: vedersi mentalmente mentre ci si prepara negli spogliatoi, mentre si viaggia verso la destinazione, mentre ci si riscalda, mentre si combatte, e vedersi in tutte queste fasi esattamente come dovremmo essere: felici, rilassati, appagati di quello che stiamo facendo senza nessuna ossessione per il risultato, ma solo sentire il piacere di quello che stiamo vivendo. Nel combattimento, vedere i colpi fluire, vedersi padroni del proprio corpo e della situazione, vedersi al meglio di come possiamo essere. Nelle forme, vedersi muovere esattamente come vorremmo, vedere il proprio corpo che fluisce nel movimento, alternando velocità e rallentamento, pienamente padroni.
  4. Fase di visualizzazione negativa: vedersi mentalmente mentre ci si prepara negli spogliatoi in modo agitato e teso, con movimenti bruschi, osservarsi mentre si viaggia verso la destinazione, mentre ci si riscalda tesi e nervosi, mentre si combatte incapaci di fare quello che sappiamo fare, e vedersi in tutte queste fasi esattamente come non vorremmo essere: tesi, ossessionati per il risultato, nervosi. Nel combattimento, vedere i colpi che non partono, vedersi incapaci diparare e schivare, vedersi poco padroni del proprio corpo e della situazione, vedersi al meglio di come possiamo essere. Nelle forme, vedersi sgraziati, vedersi scivolare o sbagliare.
  5. Ritorno alla visualizzazione positiva: ripetere la fase di visualizzazione positiva
  6. Fase di meditazione: fermare qualsiasi intenzione di visualizzare o pensare qualcosa in particolare, lasciare che la mente vaghi, lasciare che i pensieri vadano e vengano, qualsiasi pensiero sia, lasciarlo venire, accettarlo, e lasciare che se ne vada e un altro lo sostituisca, sino ad arrivare ad un sentimento di rilassamento (in genere, arriva dopo alcune sessioni).
  7. Fase di ripresa: muovere lentamente mani e piedi, stirarsi ad occhi chiusi, rialzarsi lentamente, stirarsi ancora, riprendere a muoversi lentamente.

Questa sequenza è la prima che faccio svolgere nei miei corsi di training mentale e coaching. Ve ne sono molte altre che non possono essere descritte perche prevedono azioni fisiche che pratico sulla persona – compressioni, trazioni, e altre tecniche derivanti dalla psicologia organismica, che non possono essere facilmente descritte ma vanno provate su di sé per essere capite.

Al di la della tecnica che useremo, dobbiamo capire però la radice del problema: la generazione dell’ansia e la sua gestione.

L’ansia, uno dei mali più drammatici della società contemporanea, è stret­tamente correlata allo stress.

L’ansia è – nella nostra visione – il prodotto di un incremento di attivazione mentale (arousal) mixato ad emozioni negative (paura, angoscia, timore, apprensione). La sola attivazione mentale, di per se positiva, acquisisce nell’ansia sfumature negative e innesca un dialogo interiore tutto centrato sugli eventi negativi, producendo un “sequestro emotivo” della persona.

L’ansia può essere uno stato permanente o prodursi in relazione ad alcuni eventi scatenanti o trigger (eventi che l’individuo vede come problematici, es, parlare in pubblico, stare in situazioni pubbliche, o prendere un aereo, una galleria, o in ambiti sociali e nella vita di relazione).

Alcuni autori erroneamente espongono il concetto di “ansia positiva”, intesa come fonte di energie. In realtà è corretto trattare come fenomeno ipoteticamente positivo unicamente l’arousal (aumento dell’attivazione mentale), mentre l’ansia – espressa come un correlato tra attivazione ed emozioni negative – porta con sé numerosi rischi dal punto di vista psicoenergetico.

Si distingue nella letteratura tra:

  • ansia di stato (collegata ed eventi specifici, es., prendere l’ascensore), e
  • ansia di tratto (componente ansiosa più permanente, insita nella personalità dell’individuo, con componenti che possono essere sia di derivazione genetica che apprese durante la vita).

Il training psicoenergetico adeguato consiste in diverse linee di attacco:

Ü eliminare l’arousal connesso agli eventi scatenanti o trigger, tramite tecniche di rilassamento, refraiming cognitivo o ristrutturazione cognitiva; eliminare l’ansia situazionale nei contesti precisi in cui si presenta (es., prima di una lezione, prima di un discorso pubblico);

Ü associare gli eventi scatenanti o trigger ad emozioni positive, con una ristrutturazione cognitiva profonda, es. trasformare l’ansia da lezione in gioia per l’essere protagonista di una relazione d’aiuto, gioia del dare e dell’aiutare il prossimo a capire o a crescere; questo richiede smontare la componente competitiva insita nella prestazione didattica (io contro loro) e sostituirla con la componente della relazione di aiuto (io per loro);

Ü affrontare la componente ansiosa della personalità e quella appresa (ansia di tratto). Questo può richiedere di andare alla ricerca del disagio trans-generazionale (assorbimento di ansia dai genitori e altri referenti importanti nel passato della persona) e degli schemi mentali appresi che la producono e mantengono in vita. Quando sono stati appresi? Da chi? Come rimangono attivi? Quali relazioni personali e culturali la mantengono elevata? Quali abitudini dobbiamo sradicare? Quali inserire? Un lavoro profondo richiede anche la ricerca dei messaggi genitoriali o sociali assimilati che la alimentano (es.: devi riuscire a qualsiasi costo), delle credenze disfunzionali che vivono nella mente dell’individuo, e come virus mentali la danneggiano, dei prototipi cognitivi personali (relazioni tra valori, credenze, atteggiamenti) che la nutrono (es.: devi sempre essere perfetto altrimenti non vali).

Principio 4 – Ansia ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • si innesca nell’individuo attivazione (arousal) associata ad emozioni negative, rispetto a compiti, situazioni, aspetti della vita o dell’esperienza;
  • l’individuo possiede una componente elevata di ansia di tratto (ansia caratteriale) assimilata durante la crescita o alimentata da prototipi di pensiero e credenze disfunzionali,  da modelli di pensiero assorbiti dai genitori o dalla società non localizzati e schermati;
  • l’individuo subisce ansia situazionale, e non pratica attività di riduzione localizzata tramite tecniche di rilassamento o altre forme di training;
  • l’individuo non affronta il fenomeno della propria ansia di derivazione trans-generazionale (trasmissione del disagio psichico) in modo sistematico;
  • l’individuo non ricerca ed affronta i propri prototipi cognitivi disfunzionali (sistemi di pensiero) produttori di ansia e gli stili di vita che la alimentano.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’attivazione (arousal) per azioni o eventi viene ripulita dalle componenti emotive negative;
  • l’individuo riesce a localizzare e ridurre l’ansia di stato (ansia legata a task specifici e situazioni specifiche);
  • vengono svolti con successo interventi di riduzione dell’ansia di tratto (elemento ansioso della personalità, ansia caratteriale);
  • vengono localizzati e riconfigurati i prototipi di pensiero che alimentano l’ansia e il disagio psichico, anche di fonte traumatica, transgenerazionale o culturale;
  • vengono praticate attività costanti e programmatiche di riduzione dell’ansia, con un programma specifico seguito professionalmente, volto anche alla rivisitazione dello stile di vita.

Dott. Daniele Trevisani

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei 8° Dan Sistema DaoShi® Bushido www.daoshi.it formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, MMA, Kickboxing, Karate  (Kumite), Taekwondo, Full Contact, Sanda, K1, Autodifesa. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile e campione universitario USA alla University of Florida.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali formatori italiani nella formazione risorse umane, formazione formatori, coaching, formazione di manager, di istruttori e trainer.

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 9° Dan Sistema Daoshi

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© Articolo a cura di Daniele Trevisani, rielaborato dall’autore, dal volume “Il Potenziale Umano”, Franco Angeli editore, Milano www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo. Testo riproducibile solo con citazione della fonte come sopra.

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Voi uomini bianchi pretendete che noi ariamo la terra, che tagliamo l’erba,

che da questa otteniamo del fieno e lo vendiamo, affinché diventiamo ricchi.

Voi uomini bianchi conoscete solo il lavoro.

Io non voglio che i miei giovani uomini diventino uguali a voi.

Gli uomini che lavorano sempre non hanno tempo per sognare,

e solo chi ha tempo per sognare trova la saggezza

(Smohalla)[1]

Chi pratica arti marziali e sport di combattimento crede in qualcosa. Chi smette, è perché ha finito di credere. Classico sentir dire “chi te lo fa fare di andare a prendere dei pugni” o “andare a fare quei gesti strani”… ma chi lo vive da dentro sa che quelle ore hanno un valore sacro che a volte non vale nemmeno la pena spiegare. Tra di noi però vale la pena parlarne e anzi approfondire il discorso.

Io credo fermamente che il valore delle Arti Marziali e Sport di Combattimento vada oltre il gesto fisico e muscolare. Credo fermamente nel potere che ha un buon allenamento nel farti “staccare” dalla schifezza che circonda a volte le vite di ciascuno e collegarti alla parte buona della vita.

Credo fermamente nel potere curativo, fisico e psicologico, dei nostri sport, e che per vivere le arti marziali si debba vivere ogni allenamento a livello viscerale, con il cuore e non con il cervello, come un momento di rigenerazione e non confonderlo con uno dei tanti impegni che ci stressano.

Sapersi rigenerare diventa ancora più importante che dare prestazioni di picco. Questo soprattutto per chi intende dare prestazioni a lungo, e chi affronta con serietà un lavoro sulle performance. Le energie non sono infinite e vanno ricaricate. Costruire capsule temporali di rigenerazione è arte e scienza.

Il corpo e la mente hanno enormi capacità ma hanno bisogno di recupero.

La gestione dello stress e la ricerca del senso richiedono un lavoro sullo stile di vita, un’evoluzione permanente che si applica ogni singolo giorno, ed esige anche dei momenti di stacco dalla quotidianità e dalle pressioni. Le arti marziali e gli sport da ring permettono questo stacco fisico e mentale. Mentre fai un allenamento in sala pesi o macchine (o qualsiasi altro sport “di moda”) la tua testa può continuare a vagare sui problemi del lavoro, puoi continuare a parlare di cazzate con gli amici o finti amici, mentre combatti no. Mentre fai una forma difficile no. Li la testa è obbligata a staccare e viene a crearsi una capsula di spazio-tempo eterna, che non ha inizio né fine, sinchè hai fiato per andare avanti.

Per questo, qualsiasi luogo dove si praticano arti marziali o sport da ring è sacro. È sacro perché lì dentro, nel sudore, nella “bolla di concentrazione”, le persone cercano di elevarsi dallo stato di apatia della massa e cercano di migliorarsi o aiutare gli altri.

Nessun altro può capire quanto sia sacro sputare in palestra il veleno che hai accumulato nella giornata, e dedicarsi a picchiare un sacco o fare uno sparring o fare delle forme, come fossero una forma di preghiera. Un ringraziamento al fatto di essere vivi. Un momento in cui stai facendo delle ricerche su te stesso.

Ogni attività di coaching può trarre beneficio da ciò che i praticanti avanzati di arti marziali considerano necessario e indispensabile per esercitarsi: apprendere a staccare dalla routine giornaliera, trovare un luogo sacro, magico, speciale, o semplicemente tranquillo, per raggiungere una condizione diversa dove esprimersi.

Si tratta di uno spazio-tempo che prende molte sembianze. Il luogo fisico o psicologico del “ritiro” rigenerante o spirituale, il luogo della meditazione, o dell’ozio meditativo, o del pensiero, l’antro magico in cui fermarsi a riflettere, la grotta che simboleggia il luogo fuori dal tempo, o la pausa di riflessione necessaria per inquadrare meglio la rotta.

I setting fisici, e non solo psicologici, hanno rilevanza fondamentale per facilitare questo distacco, come evidenziato nelle arti marziali, parlando del Dojo o palestra o spazio di allenamento;

Tradizionalmente il Dojo era un luogo sacro. In realtà il Dojo è l’espressione esteriore di uno stato interiore che dobbiamo acquisire fermando il nostro mondo, arrestando il dialogo interiore. Ciò che rende sacro il Dojo è penetrare in uno stato sacro attraverso l’abbandono del nostro pensiero quotidiano, delle nostre inquietudini, dei disturbi, delle ossessioni, del tran tran delle nostre tiranniche menti, sempre incapaci di smettere di muoversi di qua e di là[2].

Nel sistema HPM dedicato al potenziale umano (www.studiotrevisani.it/hpm2)  ci riferiamo a questi luoghi-momenti come a “capsule spazio-temporali” dedicate alla rigenerazione di sé. L’esigenza di trovare un nome per questi momenti deriva dal fatto che sono momenti che tutti i praticanti seri vivono, ma spesso non abbiamo un’etichetta per definirli. Avere un nome per un momento così speciale è fondamentale. Se non sai il nome di una persona farai fatica a chiamarlo in modo diretto, se ne conosci il nome si girerà appena lo chiami.

Quando noi chiameremo le nostre ore passata ad allenarci “capsule spazio-temporali di rigenerazione”, sapremo meglio ciò che vogliamo raggiungere.

E, parliamoci chiaro, dopo anni di pratica un praticante serio vede subito, a colpo d’occhio, chi sono i praticanti che stanno vivendo l’allenamento “da dentro” la capsula spazio temporale, immersi in una sacra bolla di concentrazione, o sono li con la stessa presenza mentale con cui sarebbero a giocare a carte.

A noi stessi può capitare di non riuscire ad “essere li con la testa” durante un allenamento, ma questo stesso fatto di riconoscere che sta succedendo, può aiutarci a lasciare andare sullo sfondo i pensieri che ci concentrano, e immergersi piano piano nella parte sacra dell’allenamento, quella dove il tempo e lo spazio si fermano ed esiste solo la più assoluta concentrazione. Credo che questo momento abbia una sua sacralità.

Lo stesso tipo di attività, lo stacco dal quotidiano, può essere ottenuto attraverso esperienze di contatto con la natura, ritiri manageriali e ritiri sportivi, nella preghiera, o in una attività particolarmente gradita.

Al di là della specifica pratica, ciò che rimane sostanziale è la necessità di trovare gli spazi e i luoghi (gli spazio-tempi) in cui rigenerarsi, e non confonderli con attività che lo fanno solo apparentemente, es.: shopping, fumare, guardare programmi stupidi, e altre attività pseudo-ludiche che in realtà consumano anziché rigenerare, avviluppano invece di liberare, stressano anziché allentare le tensioni.

Fare chiarezza su questa differenza tra tempo di rigenerazione vero – il tempo sacro del dojo o del ring vissuti come dovrebbero essere – e i tempi di annientamento mentale in cui sprechi la tua vita, è una nuova sfida che i fighter possono cercare di inserire al centro del proprio bersaglio da colpire. Un bersaglio mobile e sfuggente, ma che una volta inquadrato prima o poi manderemo al tappeto.

Dott. Daniele Trevisani

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei 8° Dan Sistema DaoShi® Bushido www.daoshi.it formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing, Karate  specializzato in Kumite, Taekwondo Full Contact, Sanda, K1, Thai e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile e campione universitario USA alla University of Florida.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali formatori italiani nella formazione risorse umane, formazione formatori, coaching, formazione di manager, di istruttori e trainer.


[1] Citazione tratta da: Recheis, K., Bydlinski, G. (2004), Sai che gli alberi parlano? La saggezza degli Indiani d’America, Ed. Il Punto d’Incontro, Vicenza.

[2] Tucci, A. (2005), Concentrazione e meditazione nelle arti marziali, Budo International, settembre, p. 62.

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo non autorizzate.

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Inquadrare e saper affrontare le diverse tipologie di stress

Chi pratica arti marziali e sport di combattimento è certamente sottoposto a stimoli fisici e mentali che pochi altri conoscono. Questi stimoli intensi e ripetuti – che per altri sarebbero nemmeno immaginabili – diventano per i praticanti una pratica quotidiana, e fonte di nutrimento.

Dobbiamo però capire quando e come uno stimolo sfora nella zona dello stress distruttivo e quando invece fa bene alla crescita.

Lo stress è una relazione dinamica tra (1) compiti, stimoli, carichi, input, situazioni da affrontare, task e (2) livelli di energia (fisica e mentale) disponibili nell’individuo per fronteggiare questi input.

Nell’accezione comune, lo stress viene rappresentato come un disagio, una fatica difficile da superare serenamente.

Per un soggetto in stato di deprivazione ed energie ridotte, può essere stressante anche alzarsi dal letto per prendere una medicina. Per un soggetto dotato di energie elevate, può essere persino divertente combattere su un ring per due ore consecutive, o svolgere una negoziazione pressante e difficile, vedendola né più né meno come una bellissima occasione di sperimentazione, di esperienza, un esercizio piacevole, un’occasione di apprendimento.

Le energie mentali non sono stimolate ma anzi esaurite dal pensiero stesso di intraprendere azioni che fuoriescono completamente dalle proprie possibilità. Anche negli sport estremi, chi li affronta sa di avere una chance, si allena per fronteggiare l’estremo, si prepara.

Tra le varie forme di stress, lo stress emotivo è tra i più pericolosi in quanto non produce segnali evidenti come lo stress fisico.

La fragilità emotiva, unita a stress emotivo, produce danni enormi.

Principio 3 – Stress management ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo intraprendere azioni che superano le proprie energie totali disponibili, per troppo tempo, e senza recupero adeguato;
  • l’individuo non impiega tempo e progetti all’interno della area di sfida, chiudendosi progressivamente;
  • l’individuo non trascorre tempo sufficiente all’interno dell’area di comfort al fine di ricaricarsi e metabolizzare gli stressor;
  • gli stressor sono di natura forte (per intensità, durata e ripetitività) tale da ledere la tenuta e la capacità di recupero, e l’individuo li affronta da solo, senza supporto emotivo e relazionale adeguato.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo intraprende azioni e sforzi correlati alle energie disponibili;
  • vengono avviati progetti e iniziative nell’area di sfida, con spirito positivo;
  • tempo e modalità del recupero e della ricarica di energie sono adeguati;
  • l’individuo ha supporto emotivo e relazionale per affrontare lo stress.

Per migliorare l’azione di contrasto e gestione dello stress, in chi vuole sviluppare performance e avanzare nel potenziale personale, è indispensabile localizzare alcuni tipi specifici di stress. Il modello HPM permette di far emergere alcune tipologie specifiche.

1 – Stress bioenergetico (stress fisico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

2 – Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

3 – Micro-stress (gap di micro-competenze)

Ogni task o sfida si correla a precise micro-abilità. Quando diciamo “c’è qualcosa che mi sfugge, ma non so bene cosa” stiamo incontrando un esempio di micro-stress. Lo incontriamo anche sul piano dei gesti meccanici, quando le micro-abilità legate all’esecuzione fisica di un compito non sono sufficientemente possedute e interiorizzate. Quando succede,  l’individuo deve aumentare lo sforzo di esecuzione, consuma e assorbe più energie, a volte nemmeno questo risulta sufficiente e l’azione fallisce.

Le abilità che sono invece completamente possedute si esprimono con naturalezza, richiedono meno sforzo, e producono meno stress.

Lo stress nelle micro-competenze comprende fattori sfuggenti, micro-dettagli, imperfezioni operative, che creano un divario tra esecuzione ottimale di una performance e esecuzione reale.

È spesso il risultato di azioni formative che si fermano troppo presto rispetto alla reale esigenza.

4 – Macro-stress (stress di ruolo, stress esistenziale)

Consiste in disallineamenti nei profili professionali e di competenze, scostamenti tra proprio portfolio di competenze, ruolo atteso e ruolo ricoperto.

In azienda, si manifesta come crescente difficoltà nel dare una contribuzione reale, nella difficoltà a sviluppare risultati e generare valore.

Possiamo avere un macro-stress di competenze quando il ruolo viene cambiato senza adeguata formazione, o quando lo scenario evolve con una rapidità tale da rendere vecchio il patrimonio di conoscenza acquisito sinora.

Si verifica quindi un’obsolescenza delle competenze quando i nostri saperi diventano pressoché inutili rispetto alle esigenze nuove, attuali, mutate. Questo produce entropia delle competenze, uno stato di disordine o caos nei profili professionali.

Di forte interesse per il coaching è soprattutto individuare e intervenire sulla dinamica di entropia delle competenze, termine da noi fissato per identificare l’erosione di valore e applicabilità del proprio bagaglio professionale, quando non viene svolta “manutenzione professionale” e formazione adeguata. Se gli scenari cambiano e si rimane fermi, questo equivale ad arretrare.

In condizione di entropia, un’organizzazione perde contatto con i fattori che generano il suo valore. Ad esempio, un centro di formazione che non sa fare didattica attiva, uno studio legale che non si aggiorna sulle legislazioni, un medico che non conosce nuove forme di terapia e nuovi farmaci, un’impresa familiare che resiste all’ingresso di un modello di gestione più manageriale anche quando il modello familiare non regge più, una squadra sportiva che non fa preparazione atletica.

5 – Stress progettuale (stress legato ai goal)

Deriva dal possesso di obiettivi e goal inadeguati, e comprende sia aspetti di ipo-stimolazione che di iper-stimolazione. Gli obiettivi possono essere troppi o troppo pochi, oppure mal definiti e imprecisi. Distinguiamo:

  • stress da iper-stimolazione: deriva da goal eccessivi rispetto alle risorse individuali, goal praticamente irraggiungibili (es.: tre, quattro progetti significativi contemporanei). È spesso il frutto di un coaching poco etico che ripete alla persona messaggi del tipo “puoi dare di più, devi fare di più, tu sei un leader, risveglia il leader che è in te”, e simili, ma non si prende il tempo necessario per formare veramente la persona;
  • stress da ipostimolazione: deriva da goal assenti, insufficienti come numero o grado di sfida, obiettivi di portata non sufficiente per attivare curiosità, interesse o motivazione, o superare la noia;
  • stress da eccesso di varianze temporali nei goal: avviene quando i goal variano troppo rapidamente, “cambiano le carte in tavola”, non consentendo al soggetto di attuare quanto previsto; troppi progetti si aprono e nessuno si chiude, ci si perde, si attivano energie su progetti che poi vengono dimenticati o dispersi nel caos organizzativo;
  • stress da molteplicità nelle definizioni e attese dei referenti: accade quando più persone si attendono goal diversi dalla persona; troppe persone creano attese e pongono richieste, e il soggetto non è in grado di rispondere simultaneamente ai diversi goal, o il rispondere ad un goal crea automaticamente soddisfazione in un referente e contrasto con un altro referente;
  • stress da offuscamento dei confini dei goal: avviene quando un soggetto non ha più chiaro cosa la sua struttura o organizzazione si attenda da lui/lei, cosa costituisca un goal e cosa non lo sia, cosa verrà apprezzato e cosa non sarà apprezzato;
  • stress da mancanza di riconoscenza: deriva dalla mancata gratificazione psicologica verso chi raggiunge il goal, o attua impegno consistenze: la mancanza di riconoscimento demotiva il soggetto sia nel presente che verso l’impegno futuro;
  • stress da difficoltà di canalizzazione: difficoltà a tradurre un ideale (sogno, visione) in una sequenza di azioni concrete, goal pratici, tale che il soggetto continua per lungo tempo ad essere attivato (volontà elevata) ma non riesce a tradurre l’energia in progettualità e azione;
  • stress da dissonanza tra aspettative interne concorrenti: è uno stress psicologico molto forte in cui ci si trova nella condizione di dover rispondere a più input interni ma in modo dissonante, tale che il perseguimento di uno porti al decadimento dell’altro. Si crea una forma di concorrenza nelle aspettative interne quando l’individuo non riesce a risolvere le tensioni psicologiche sottostanti e queste continuano a macerarlo o “torturarlo”. Ad esempio, per un padre di famiglia, il caso in cui le aspettative su di lui siano duplici e contrastanti: dover portare a casa più soldi e contemporaneamente essere più presente in famiglia; per una madre di famiglia: sentire pressioni per essere produttiva e di successo e contemporaneamente più presente come moglie e madre. Per un’azienda, classicamente, dover scegliere tra investimenti e taglio di costi.

6 – Stress legato alla vision e ai valori

Distinguiamo anche in questo campo:

  • stress da hyper-visioning non canalizzato: deriva dalla costruzione di obiettivi di lungo periodo eccessivi rispetto alle risorse individuali, praticamente irraggiungibili. Lo hyper-visioning (sognare e progettare in un orizzonte temporale molto lungo, o su sfide estremamente ambiziose) è una pratica positiva quando attuata entro confini personali e manageriali adeguati, e rappresenta invece una fonte di disagio se si trasforma in “ru­minazione mentale permanente” o insoddisfazione permanente. Sognare lontano e guardare lontano è positivo. Farlo e pretendere che tutto si avveri immediatamente no. La vision parla di sogni e ambizioni, e questo è positivo, ma se non vengono fatti i conti con la realtà essi rischiano di far male. La presenza nella vision di elementi decisamente eccessivi per le risorse individuali, vissuti come castrazione permanente, riduce la motivazione anziché aumentarla; ambizioni irraggiungibili che diventano non più motivatori in back­ground (positivi) ma ossessioni o afflizioni; deve essere chiarito se un tratto di vision si considera sostanzialmente riportabile all’area dei goal (vision raggiungibile) o invece come visione puramente ispirativa;
  • stress da hypo-visioning: un vissuto permeato da una mancanza di “senso delle cose”, o “senso del perché”, mancano desideri e traguardi nobili o significativi per il sistema di valori dell’individuo. La visione del futuro è imprecisa, manca un senso del “tendere a…”, gli obiettivi personali o aziendali sono confusi, o variano continuamente, manca un “faro” nella vita, un ideale cui tendere, viene meno una linea di tendenza e si perde il senso del percorso non capendo più per chi o per cosa affaticarsi, verso cosa tendere, per cosa darsi da fare;
  • stress da incoerenza tra valori individuali e valori dell’organizzazione: il soggetto non sente di poter aderire ai valori che percepisce nella realtà aziendale o del team di cui fa parte. Ed ancora: il soggetto percepisce uno scontro o un divario tra valori iniziali a cui ha aderito nell’entrare in azienda o nell’organizzazione, e i comportamenti reali che osserva in seguito e quotidianamente;
  • stress derivante dal conflitto tra scuole di pensiero, stress da diversità delle scuole metodologiche: spesso le scuole di provenienza portano con se precise visioni dell’uomo e valori di riferimento ben consolidati, cui le persone aderiscono. In ogni organizzazione si creano confronti (positivi) o scontri (conflittuali) tra scuole di provenienza delle varie persone. Si creano anche cordate aziendali, gang, bande interne, tribù, clan, e altre dinamiche di antropologia tribale dell’organizzazione. Lo stress deriva in questo caso dal dover operare entro modelli di valori e visioni che non si sentono propri. Es.: in una clinica, quando i diversi professionisti appartengono a scuole diverse e queste non trovano convergenze, collidono sul da farsi pratico sul paziente, e il medico o terapeuta può trovarsi a dover lavorare con metodi e prassi in cui non crede. Questo accade frequentemente anche nei sistemi educativi, scuola, università, aziende, e in ogni organizzazione.

articolo di: Dott. Daniele Trevisani

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di manager, di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.

Vivere a pieno. La consapevolezza di chi siamo veramente

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Sintesi

Se le arti marziali e gli sport da ring hanno qualche valore, questo valore va ricercato nella loro capacità di dare una identità solida alla persona, un radicamento forte nel sentirsi “guerrieri ricercatori” e portare questa attitudine con sé nella vita, con umiltà, con spirito di curiosità e di apprendimento.

Questo ancoraggio forte rimarrà valido ad ogni età, in ogni condizione fisica, in ogni momento della vita. Diventerà un porto sicuro in cui rifugiarsi nei momenti difficili, un luogo dove rigenerarsi. Saranno le fondamenta solide su cui costruire gli edifici della nostra vita, essere buoni amici, buoni padri e madri, e un giorno buoni genitori e, sempre, brave persone.

Quando questo valore sarà entrato nella mente dei nostri allievi, allora, e solo allora, potremo dire di avere avuto successo.

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Prendiamo un qualsiasi atleta o praticante di arti marziali e sport di combattimento. Esaminiamo le sue energie disponibili. Scopriremo presto che possiamo identificare nella persona sia un certo livello di energie fisiche, che un certo grado di energia mentale.

Abbiamo quindi 4 macrotipi di atleta o praticante:

Estremi positivi ed estremi negativi

  1. fisicamente forte, mentalmente forte: stato ottimale. Un praticante che ha fatto del suo corpo un laboratorio di sviluppo, costruendosi anno dopo anno solide basi fisiche (velocità, resistenza, flessibilità, coordinamento). Considera la mente un alleato da nutrire, ha forgiato un carattere in grado di farlo rialzare dopo le cadute di percorso, non vive gli eventi (es. gare) con ansia ma con amore e come occasione di scoperta. Ama intensamente ogni secondo del suo allenamento, aiuta gli altri. Vive la sacralità del suo momento, non è arrogante, e non si considera mai arrivato, sempre pronto ad apprendere qualcosa di nuovo, sente i confronti come occasione di crescita e non come sfida. Pratica diversi stili sentendosi prima di tutto un ricercatore, ha le proprie preferenze ma non è mai identificato in una singola disciplina in modo cieco, in quanto cerca una connessione con un piano di energia superiore. Sa che le arti marziali e gli sport di combattimento possono essere un ponte verso questo piano di energie superiori, e li rispetta per questa loro sacralità
  2. fisicamente debole, mentalmente debole: ha problemi fisici che tende a considerare insuperabili, non si impegna, considera ogni fallimento una dimostrazione della sua incapacità, è incostante. Cerca nelle arti marziali o sport da ring solo tecniche per compensare la sua debolezza, trucchi da applicare, e per questo cade vittima di ciarlatani che lo illudono. Avendo una identità personale debole, è sufficiente uno sparring con una persona tecnicamente superiore per fargli desiderare di abbandonare. La sua unica speranza è trovare un Maestro che non lo tratti come un perdente e gli prepari un percorso di graduale scoperta delle sue potenzialità, e lo aiuti con grande progressione a fare passi in avanti.

Stati intermedi

  1. fisicamente debole, mentalmente forte: non ha grandi potenzialità fisiche, o non le ha ancora sviluppate, ma è costante, ha uno stile di vita positivo, è rispettoso delle regole, cura la sua preparazione, sa lavorare sul lungo periodo, accetta di perdere, cade e si rialza. Con un lavoro sul piano fisico e un coaching adeguato, ha le maggiori probabilità di sviluppare livelli molto elevati.
  2. fisicamente forte, mentalmente debole: ha enormi potenzialità fisiche, ma una mente non ancora preparate. Molto probabilmente alla prima difficoltà si abbatte, o abbandona, non è costante negli allenamenti, tende a distrarsi, non sa bene nemmeno lui cosa vuole. Se è un agonista, la sua prestazione sarà estremamente variabile, potrà perdere malamente o vincere con grande superiorità dallo stesso avversario, al solo variare della sua condizione psicologica.

Le energie psichiche sostengono anche la preparazione fisica. Atleti dal grande potenziale fisico, senza energie psichiche, sono come locomotive potenti ma senza carburante.

Questa realtà ci porta a dover spostare la nostra attenzione sul fronte del grounding (radicamento) delle energie mentali, il radicamento solido della motivazione e della volontà.

Fare i conti con la propria identità: i ruoli multipli

Le autoimmagini pongono il problema dell’identità, il senso profondo di “chi e cosa siamo”. Quando ti senti parte di una comunità di altre persone che amano ciò che fanno, vedrai molto meno le differenze tra gli stili e vedrai molto più la passione comune che unisce tutti. Cercherai di apprendere da tutti. La tua identità smetterà di identificare in una singola disciplina (es, “pugile”, “karateka”, “kickboxer” etc) e diventerà quella del viandante e del ricercatore-guerriero che studia ogni arte e ama ogni disciplina per ciò che gli può insegnare.

La psicologia e la sociologia e fanno emergere la presenza della “molteplicità dei sistemi di appartenenza degli attori sociali”, delle identità multiple, il fenomeno per cui diverse identità e ruoli sono compresenti nell’individuo stesso, e spesso sono in conflitto per la gestione delle risorse (tempo, denaro, attenzioni). Ad esempio, una certa sera, potrei avere “attivo” il ruolo di seduttore e l’identità del “riproduttore”, e “spento” il ruolo di atleta o praticante. Le due identità entrano in conflitto. Solo una grande maturità può portare la persona a darsi una strategia per non mettere in seconda priorità il ruolo di atleta o praticante, e decidere magari di incontrarsi con chi desidera dopo l’allenamento.

Le diverse identità possono convivere (a volte solo apparentemente) ma entrano normalmente in conflitto. Ad esempio, l’identità di padre può richiedere di uscire prima dal lavoro o di non assumere un nuovo incarico (perché già saturi), mentre l’identità di professionista, basata su stereotipi di manager onnipotente, super-efficiente, richiede che un nuovo incarico vada assolutamente accettato e ricercato, non ci si faccia scappare l’occasione. Per scegliere bene e rapidamente dobbiamo sapere bene chi siamo.

Perseguire obiettivi ambiziosi nel percorso di carriera e nell’ascesa professionale può andare in conflitto con l’ambizione di essere un buon padre o madre. Dividere bene “chi siamo” nei vari momenti della giornata, e rispettare i confini tra i diversi ruoli personali, è un’abilità sociale e professionale da non dare per scontata.

Ogni energia e tempo possiedono limiti, ed si possono generare conflitti tra le diverse identità. Le domande interiori sono costanti, ad esempio: dedicarsi alla carriera o alla famiglia (e se ad entrambe, con che equilibri)? Dedicare la prossima serata agli amici o al mio sè intellettuale (lettura)? Dare spazio all’avventuriero o al pantofolaio, nella prossima vacanza? Andare in palestra o stare a casa?

Ogni volta che si presenta una scelta, le identità latenti emergono.

Riuscire a compiere una sintesi tra le diverse identità e ruoli, evitare di disgregarsi, trovare una centratura personale, è fondamentale[1].

Identità e presenza mentale

Finché non si sono “fatti i conti” con i propri sé multipli, e ricercato un equilibrio consapevole tra le identità multiple compresenti in ciascuno di noi, appare difficile trovare una armonia interiore e vi saranno conflitti interni permanenti (dissonanze cognitive).

Queste dissonanze interne porteranno a pensare “sono qui ma dovrei essere là” in ogni occasione: sono qui al mare con la famiglia (identità genitoriale) ma dovrei essere a dedicarmi a quel progetto di lavoro (identità professionale), ma vorrei anche leggere un libro (identità intellettuale), e via così. I conflitti interni non risolti assorbono e consumano energie.

Questi conflitti di identità minano letteralmente la percezione del tempo (time perception), distruggono il vissuto “sano” del tempo, impediscono di vivere a fondo il momento nel quale stiamo vivendo, con la costante sensazione “mi sta sfuggendo qualcosa di importante”.

Per superarli è necessario applicare un training di “cultura dei confini” nel quale il soggetto apprenda a creare barriere mentali tra le attività (da non confondere con il tentativo goffo di dirsi “smetti di pensarci”), tramite una vera ristrutturazione cognitiva dei tempi personali.

Il problema delle identità riguarda anche la sfera del role-fitting (letteralmente: adattamento nel ruolo): sentire il ruolo come proprio, sentirsi adatto al ruolo, ben calato nel ruolo, essere “a pieno nel ruolo” o “forzato entro il ruolo”. Impadronirsi a pieno del ruolo (empowerment) è spesso difficile.

In alcuni rari casi si assiste al miracolo: persone che per un certo periodo di vita riescono a far coincidere una propria passione con la professione. Es.: un pallavolista o calciatore professionista, un ballerino o ballerina che praticano l’attività per professione ma anche per passione, un artista o pittore che amano l’arte, un leader che ama sfide professionali, un medico che ama curare, un formatore o docente che amano davvero insegnare e trasmettere.

Questa coincidenza di identità professionali e passioni non è la norma. E anche quando accade non è permanente.

Un pallavolista o calciatore può trovarsi a convivere con un allenatore che gli è poco simpatico. Un artista o pittore può trovarsi a dover mantenere una famiglia e dover produrre dipinti o opere non più solo per l’arte ma anche e soprattutto per comprare le scarpe ai figli. Un leader può trovarsi improvvisamente con l’azienda per cui lavora fallita o acquistata da un gruppo internazionale, e – se gli va bene – accettare una posizione minore, o essere licenziato. Un medico può anche trovarsi a dover curare una malattia oggi incurabile, o gestire casi più forti delle sue capacità o lavorare in ambienti demotivanti.

Il dilemma “lotta o fuggi” pone domande: puoi permetterti di abbandonare? Hai soldi da parte per vivere tutta la vita? Vivi di rendita? Hai avuto eredità? Riesci a produrre e vivere con passione anche in mezzo ai problemi o in ambienti imperfetti?

Imparare a trovare le energie mentali per vivere anche fuori da un mondo ideale è una competenza utile per ogni persona e per ogni performer. Questa capacità psicoenergetica è la capacità di sostenere imperfezioni e abilità di adeguamento ad ambienti ostili, vivere un mondo difettoso per natura e in situazioni carenti senza che queste lacune facciano soccombere le forze e la volontà. Vivere nell’impossibilità di perfezione è una nuova arte.

Abbiamo detto, tuttavia, che inseguire un sogno è importante, per cui le abilità di adeguamento sono una capacità apprezzabile, ma ancora di più lo è capire quando è ora di cambiare e trovare il coraggio di farlo.

L’analisi complessiva dei fattori di identità e di ruolo permette di scomporre larga parte del disagio esistenziale. Il coaching potrà quindi rimuovere le aspettative su di sé che non possono veramente essere raggiunte. Potrà sostituirle con qualcosa di sfidante ma perseguibile e sano.

Potrà anche supportare i processi utili per trovare un equilibrio forte e fissare nuove mete raggiungibili con le proprie risorse, maggiormente coerenti con un principio di realtà, ripulite da illusioni e modelli proposti dai mass media e dalle aspettative altrui.

Il coach può e deve facilitare l’impegno dell’individuo verso la propria formazione, indipendentemente dal fatto che il risultato venga poi raggiunto o meno, e ristrutturare il concetto di apprendimento, da male necessario a piacere di scoperta.


Principio 1 – Identità, ruoli ed energie mentali

Le energie mentali sono collegate alle capacità di:

  • riconoscere i diversi ruoli giocati ed eliminare le forme di concorrenza interna per le energie disponibili, con aumento di una cultura dei confini tra ruoli;
  • capire bene come distribuire energie e tempi nei diversi ruoli giocati in un certo momento della vita, staccare mentalmente da un ruolo (es. lavorativo) prima di entrare in un ruolo diverso (es.: genitore); evitare trascinamenti e confusioni di ruolo;
  • capire quali priorità dare e saper rinunciare senza rimpianti a pretese di onnipotenza e desiderio di “voler essere dovunque” o “voler essere in troppi ruoli”, capacità di rinuncia serena e consapevole, senza rimpianto;
  • armonizzazione dei sé multipli in una identità sana, coerente, senza dissonanze interne tra i ruoli, ancorata a principi solidi;
  • gustare e assaporare il vissuto del tempo speso in un ruolo e attività connesse senza voler essere contemporaneamente in un ruolo e attività diverse e concorrenti (incremento della presenza mentale);
  • pulizia mentale dalle aspettative sbagliate su di sé, inerenti i ruoli proposti dai media e dalla cultura dominante, e ricerca di una propria identità più vera.

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano e Psicologia, coach e formatore presso www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com e Direttore di www.medialab-research.com –  Insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.


[1] Va reso omaggio in questo ambito al mirabile lavoro di Roberto Assagioli, che su questo tema ha prodotto numerosi contributi. Il senso stesso del metodo da lui creato, la Psicosintesi, ha un significato simile a quello che stiamo qui proponendo. Vedi Assagioli, R. (1973), Principi e metodi della Psicosintesi terapeutica, Astrolabio, Roma; Assagioli, R. (1977), L’atto di volontà, Astrolabio, Roma; Assagioli, R. (1999), Psicosintesi: per l’armonia della vita, Astrolabio, Roma.

Il Coaching Psicologico per le arti marziali

Allenare la Mente, e costruire il ponte verso i nostri ideali

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Immagine di sé (Self-image), identità e ruoli, conflitti in­te­rio­ri, pulizia mentale

Dobbiamo costruire un modello di noi stessi verso il quale tendere. Un prototipo, un concetto, un’immagine visiva, un modo di essere, che consideriamo un miglioramento, un’aspirazione da raggiungere. Senza aspirazioni, senza riferimenti, senza ideali, l’uomo muore (Daniele Trevisani)

L’immagine di sé corrisponde a ciò che noi pensiamo di noi stessi. Costituisce una forma di auto-percezione, di auto-immagine, con la quale ci misuriamo costantemente.

Risponde in pratica alla domanda “cosa penso davvero di me?”, “come mi vedo?”. La “fotografia di noi stessi” può piacerci o meno, ed in genere, quanto più e bassa tanto più diminuiscono le energie mentali. Con alcune importanti eccezioni da esaminare.

In genere le energie mentali crescono quanto meglio riusciamo a sentirci con noi stessi, accettarci, piacerci.

L’importante eccezione è la seguente: le situazioni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi possono svolgere funzione positiva quando questa insoddisfazione si trasforma in un piano di lavoro e azioni concrete di cambiamento. In altre parole, non piacersi e macerarsi in questo stato è distruttivo per le energie mentali, mentre non piacersi, ma trovare una strada di miglioramento e praticarla, è un modo efficace per generare energie.

Uno dei compiti essenziali del coaching, sul piano etico, è quello di determinare se il “non piacersi” sia su variabili importanti e “giuste” o su aspetti di vita pericolosamente sbagliati, o assorbiti da modelli altrui improduttivi, mode effimere, esempi esposti dai media, il cui perseguimento finirebbe per fare danni elevati alla persona.

Ad esempio, molte modelle non si piacciono e vorrebbero vedersi sempre più magre, diventando anoressiche, con casi accertati di morti per anoressia.

Un coach (LifeCoach o FitCoach, o un consulente, o un medico) che aiuti questa persona ad essere tanto magra al punto di morire non è un coach ma un perfetto idiota e un delinquente. Aiutare le persone a perseguire obiettivi distruttivi è moralmente sbagliato. L’aiuto ha sempre uno sfondo etico.

Nessun problema invece per un coaching in cui una persona non sia soddisfatta delle proprie capacità di comunicazione, di negoziazione, o di leadership, o di vendita, e voglia migliorarle, o ancora non accetti un corpo evidentemente fuori forma, flaccido, e voglia essere tonico e sano, o ancora sia in perfetta forma ma voglia trovare una condizione agonistica di picco.

Trasformare gli stati di insoddisfazione in azioni positive quindi è uno dei compiti fonda­mentali del coaching.

Su quali temi può lavorare un coaching profondo?

Le forme specifiche di autoimmagini possono essere numerose e provenire da diversi angoli di osservazione.

Distinguiamo alcuni piani di osservazione o analisi:

Ü Self-image intellettuale: l’immagine di noi stessi sul fronte dell’intelligenza che ci attribuiamo, della capacità di interagire con le persone su un piano culturale, di usare la mente in modo raffinato;

Ü Self-image dello spessore umano e morale: il nostro auto-giudizio su co­­me applichiamo alcuni valori in cui crediamo, il nostro valore morale. Comprende il giudizio su alcune delle scelte fatte in passato, il gradimento o rifiuto che abbiamo per noi e il valore morale che ci attribuiamo. Sul piano del coaching, è essenziale che il coach riesca ad isolare i fallimenti passati e ripulirli da giudizi errati sul proprio spessore umano e morale (au­toflagellazione improduttiva), per inquadrarne invece le reali condizioni, situazioni e difficoltà incontrate;

Ü Self-image di ruolo professionale attuale: analisi limitata al piano della per­cezione di sé sul lavoro, come professionisti, lavoratori, o comunque nell’occupazione attuale;

Ü Self-image dei ruoli e identità del passato personale: autovalutazione e gradimento di chi e come eravamo in diversi momenti della nostra vita passata;

Ü Self-image bloccata nell’evento: un’immagine di sé negativa legata ad un evento critico (critical incident), es., una perdita, un fallimento, un atto spiacevole compiuto – che non viene accettata, superata, metabolizzata;

Ü Self-image relazionale: l’immagine che abbiamo delle nostre abilità di re­lazione con gli altri. All’interno, ancora più in profondità, possiamo trovare altri piani sempre più analitici, alcuni dei quali citati di seguito;

Ü Self-image della seduttività: l’immagine che abbiamo di noi come seduttori, amatori, comunicatori efficaci, sino alle relazioni sessuali;

Ü Self-image agonistica: l’immagine di ruolo che abbiamo di noi come lottatori, sia in azioni proattive (di “attacco” a problemi e situazioni) che difensive, quando qualcuno attacca il nostro territorio fisico o psicologico. La ricerca del prototipo interiore può assumere le sfumature di guerriero fisico, di mediatore, o di soggetto abile nelle sfide verbali, di chi “non si lascia pestare i piedi”, o ancora di chi “preferisce sempre parlarne”, o di uno con cui “è meglio lasciare perdere”, o del “perdente”, e altre;

Ü Self-image di ruolo genitoriale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni (o cattivi) padri o madri, reali o potenziali;

Ü Self-image di ruolo filiale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni o cattivi figli, rispetto ai doveri sociali introiettati e attivi in noi;

Ü Self-image corporea: l’immagine che abbiamo del nostro corpo, anch’es­sa connessa al gradimento o rifiuto che proviamo per essa (self-sa­tisfaction corporea);

Ü Self-image complessiva: la sommatoria di auto-immagini, il quadro com­ples­sivo della nostra auto-percezione.

Il quadro delle percezioni è spesso confuso e dissonante. Possiamo trovarci a nostro agio con una delle nostre auto-immagini ma non con un’altra.

Ogni autoimmagine non accettata può produrre

–          un calo delle energie mentali, quando emerge la rassegnazione verso lo stato negativo (da non confondere con auto-accettazione dei propri limiti), o si scatena senso di colpa e frustrazione associati a senso di impotenza, o

–          incremento delle energie mentali, quando la consapevolezza di un tratto negativo stimola il senso di orgoglio e la volontà di lavorarvi sopra, e viene individuato un percorso concreto nella direzione voluta. Anche piccolissimi passi possono sbloccare la situazione.

Per questo motivo, l’immagine di sé va chiarita sui diversi distretti psicologici e non solo in termini generali.

Un buon modo di partire è porsi la domanda (o porla, per i coach, formatori, terapeuti, educatori e counselor): In cosa sei diverso da come vorresti essere?… per poi entrare nello specifico.. es. Che tipo di manager vorresti essere, e in quali situazioni non si senti come vorresti? Ed ancora: Che tipo di professionista vorresti essere? Dove, in cosa, con chi non riesci ad essere come vorresti? Cosa ti piace e non ti piace fare in particolare?  Con chi non ottieni i risultati che vorresti? Quando accade? Esaminiamo in dettaglio come ti muovi: cosa ti succede quando…? Dove invece ti senti funzionare al meglio? In quali situazioni? Facciamo qualche esempio…

Un coaching psicologico si distingue ampiamente da un coaching strettamente sportivo proprio perché riesce a diventare il “ponte” che aiuta le persone ad avvicinarsi ai propri ideali non solo come atleti o praticanti, ma soprattutto come esseri umani che vivono a pieno la loro vita.

Vivere a pieno o vivere a metà? Molti atleti e praticanti agiscono e migliorano solo nel corpo e nelle tecniche, ma non nella maturità mentale e morale.

Chi riesce a generare questa relazione d’aiuto forte, deve essere fiero di sé come istruttore, come Maestro, al di là di qualsiasi aspetto legato all’agonismo, alla forza o alla potenza che possiamo generare nelle persone.

Nulla ha senso in una vita che ha perso di senso. Il coaching psicologico è quindi un motore di motivazione, uno stimolo a migliorarsi da qualsiasi condizione o stato siamo, uno stimolo ad accettarsi per poi tendere verso un piano superiore di ricerca.

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano e Psicologia, coach e formatore presso www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com e Direttore di www.medialab-research.com –  Insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.