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Articolo estratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia – I segreti di una comunicazione efficace” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

…a volte si parla al mondo e il mondo sembra non sentire…. 
altre volte il mondo parla a noi e noi siamo da un’altra parte.

Daniele Trevisani

L’empatia è quello stato di “presenza mentale”, dove “io sono qui, con te”, a fianco di un essere umano che vogliamo capire a fondo. 

Come tale, ha una possibilità di durata limitata, quella di un colloquio, ma il suo effetto può durare per sempre, come per ogni memoria o esperienza. L’empatia si basa sul fatto di volere fortemente essere presenti, una presenza mentale che accoglie ogni sfumatura e dettaglio di quanto detto, del non verbale, del paralinguistico, cercando di comprenderne il significato, fino ad arrivare a capire la “storia” di una persona e i suoi “episodi salienti, positivi e negativi”. Può anche arrivare ad una totale comprensione dello “stato d’animo” di una persona, oltre ogni etichetta verbale, al di là di ogni possibilità di espressione.

Nel metodo ALM (sviluppo aziendale) e HPM (sviluppo personale) si elabora un modello speciale di empatia, con una tipologia esposta inizialmente nel volume Negoziazione Interculturale.

Empatia e comunicazione empatica: i quattro livelli dell’empatia nel metodo ALM/HPM

Tipi di empatia in base agli angoli di osservazione:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si àncora.

Quando si viene ascoltati ed intesi, situazioni confuse che sembravano irrimediabili si trasformano in ruscelli che scorrono relativamente limpidi.

Carl Rogers

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatia:
Curiosità, passione, motivazione all’ascolto
Partecipazione reale all’ascolto, non finzione
Atteggiamento dello “scopritore”, del cercatore di tartufi o cercatore di pietre preziose. Vediamo cosa salterà fuori oggi!
Riformulazione dei contenutiRecap – ricapitolazione delle “storie” e dei “temi” che emergono
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)Flessibilità delle domande in funzione di come varia una sessione e il suo contesto
Centratura sul vissuto emotivo, ascolto emozionale
Segnali verbali e non verbali di attenzione, segnali “fàtici” (segnali di contatto) es, uhm, ah, ok, ho capito…
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti)
Distrugge l’empatia:
Disinteresse, ascoltare per obbligo, per dovere; scarsa motivazione
Fingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Atteggiamento burocratico, ingessato. Anche oggi, proprio adesso, un altro incontro, che noia
Giudizio sui contenuti, commentiFlusso ininterrotto senza mai accertarsi di avere capito di cosa si parla e del senso delle cose
Monotonia nel tipo di domande, staticità delle domande,  domande troppo ancorate a uno schema o scuola dogmatica
Centratura esclusiva sui fatti, ascolto robotizzato
Body Language che esprime disinteresse o noia, apatia, voler essere altrove
Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale

“L’empatia fra le persone è come l’acqua nel deserto: si incontra di rado, ma quando capita di trovarla ti calma e ti rigenera.” 

Emanuela Breda

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Articolo estratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia – I segreti di una comunicazione efficace” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

L’ascolto uditivo arriva tramite le vibrazioni delle corde vocali che creano suoni, che noi riconosciamo come parole.

Quando siamo stressati, ad esempio dicendo una bugia, o trattando un tema molto delicato per noi, il corpo inconsapevolmente attiva il sistema attacco-fuga (sistema nervoso simpatico) – aumentando la preparazione dei muscoli ad entrare in azione. Le corde vocali non sfuggono, e la loro vibrazione passa dallo stato del relax ad una voce più tremolante (microtremori) che corrisponde ad una voce sotto stress.

Questo per dire che mentre ascoltiamo, non entrano solo parole “grammaticali”, ma avviene una mia elaborazione di quanto ascolto, e si innesca una forma di giudizio o valutazione, non solo dei contenuti (valutazione etica o morale), ma anche di competenze del parlante, o del suo stato di stress. Se un italiano cita una parola in inglese, es Bed & Breakfast, in base a quanto bene pronunzierà anche solo singole parole in inglese, capirò quanta familiarità ha con quella lingua, quanto la ha studiata, e persino se ci ha vissuto o meno a lungo. Questa è percezione aumentata. Chi parla di vendite e usa la parola Sales (in inglese pronunciata “seils”) ma dice “sales” in modo letterale, testualmente –  ci sta dicendo, senza volerlo, che ha un inglese veramente approssimativo e probabilmente non ha la coscienza di fare una gran brutta figura rispetto a chi invece sa bene la lingua.

La gente tende a notare i colori di una giornata solo all’inizio e alla fine, ma per me è chiaro che in un giorno si susseguono un’ infinità di sfumature e tinte, in ogni istante. Una singola ora può essere composta da migliaia di colori diversi. Gialli cerei, azzurri plumbei. Tenebrosa oscurità. Nel mio lavoro mi picco di notarli tutti.

markus zusak

Se mentre la persona parla, sentiamo un tremore vocale, stiamo praticando un ascolto avanzato, l’ascolto delle componenti dello stress vocale è un indicatore di bugie in corso o di difficoltà emotive, pensiamo che la persona sia sotto stress. 

Ascoltare i micro-segnali della voce e delle parole. Dallo stress vocale, alla qualità della pronuncia, alla fiducia e affidabilità, sino alla camminata. Ascoltare il “tutto”

Ma non solo, ascoltiamo più delle parole anche se telefoniamo ad una persona la mattina, e sentiamo un timbro di voce basso, per cui arriviamo a chiedere “oh scusa, ti sei appena svegliato?” anche se la persona che ci risponde al telefono non ne fa assolutamente cenno. Lo cogliamo dalla voce, dalle sue qualità. I nostri neuroni-specchio ci consentono di immedesimarci e provare quello che percepiamo. Nella nostra mente prende forma il pensiero di quanto possa stare accadendo, in base a quello che potrebbe essere successo a noi in simili occasioni. Anche questa è una dinamica di ascolto avanzata e attiva.

“Il primo passo per la comprensione della realtà è prendere consapevolezza di come questa prenda forma nella nostra mente.” 

Stefano Nasetti

Ma torniamo ad esempi di contenuto. Se parlo di fibre bianche e fibre rosse (due diversi tipi di fibre muscolari) [1], do per scontato che l’altro mi capisca e abbia studiato scienze motorie o medicina o fisiologia.

E non solo. La qualità dell’esposizione mi dirà parecchio sul suo stato culturale, e la tranquillità con cui espone, mi aiuterà a capire se è la prima volta o una delle tantissime di cui ne parla, e quindi se è un esperto del settore o meno (e questo senza che la persona lo abbia né detto né annunciato ufficialmente).

E sempre guardando il “non detto”, è sufficiente vedere una persona entrare in un bar o camminare per strada e dedurre dal tipo di camminata, dalla postura e dalle dimensioni corporee e loro proporzioni, molti dati rispetto ad età, stato di salute, il fare o meno sport, e tante altre informazioni. 


[1] 3. Fibre muscolari a contrazione lenta o veloce  – Le fibre muscolari striate sono classificate in fibre a contrazione lenta (I tipo) e veloce (II tipo). Le fibre di I tipo sono responsabili del tono muscolare; esse presentano un colore più scuro e vengono chiamate anche fibre rosse, per la ricchezza di mioglobina, si contraggono più lentamente e hanno una resistenza maggiore all’esaurimento (sono i muscoli che prevalgono ad esempio in un maratoneta); quelle di II tipo, invece, sono più chiare (chiamate quindi fibre bianche), producono scatti potenti ed esauriscono l’energia rapidamente (sono la tipologia muscolare che coltiva un sollevatore di pesi, un artista marziale, o un pugile, ad esempio). La maggior parte dei muscoli scheletrici è composta da fibre di entrambi i tipi.

Elaborato con modifiche da Microsoft ® Encarta ®. © 1993-2008 Microsoft Corporation.

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Articolo estratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia – I segreti di una comunicazione efficace” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Durante ogni interazione umana, esistono momenti di avvicinamento e allontanamento tra persone. L’ascolto, quando ben fatto, è certamente un momento di avvicinamento relazionale.

Le parole assumono significato solo in base ad un accordo tra le parti, altrimenti sarebbero solo suoni vuoti. La teoria del Coordinated Management of Meanings[1] (Gestione Coordinata dei Significati) evidenzia proprio che la parola con il suo insieme di significati condivisi è il frutto di un lavoro di coordinamento tra i tanti significati possibili. Per chi ascolta, rassicurarsi sul significato delle parole primarie che stiamo usando, è fondamentale.

Se un intero discorso, ad esempio, ruota attorno al tema Formazione Aziendale, non è male chiedere attivamente “Qual è la tua concezione di Formazione Aziendale?” e confrontarla con la propria.

Sapremo in questo modo se ci sono delle divergenze di significato (divergenze semantiche) che rischiano di ostacolare la nostra comprensione.

Per giudicare un uomo bisogna almeno conoscere il segreto del suo pensiero, delle sue sventure, delle sue emozioni. 

Honoré de Balzac


Esistono distanze, distanze relazionali, non meno importanti delle distanze fisiche. L’ascolto è il meccanismo più potente che abbiamo per ridurre le distanze relazionali tra esseri umani.

L’incomunicabilità è invece un nemico sia della comunicazione tra persone, che dei meccanismi umani come l’essere amici, l’andare d’accordo, il fare cose assieme e divertirsi. Tocca anche le relazioni in azienda, tra aziende, tra nazioni e persino tra intere culture e aree globali.

Faccio un breve esempio iniziale di buona capacità di ascolto, realizzata, non a caso, da un amico che è anche psicoterapeuta e Counselor, cui racconto per telefono la gioia dell’avvio di questo libro: 

  • Daniele “Sai Lorenzo, sta venendo fuori davvero bene, oggi ero nella biblioteca con tutte le finestre aperte, aria frizzante, e ho scritto veramente bene, il libro sta iniziando a prendere forma, sento che fluisce”.
  • Lorenzo: “mi fa piacere sentirti così vivace”.

Come si può osservare bene, l’ascolto attivo del collega e amico dott. Lorenzo Manfredini non va nemmeno ad occuparsi del contenuto (avrebbe potuto chiedere, ad esempio, su che capitolo ero), ma va a “rispecchiare” un ascolto tutto speciale, quello del mio stato dell’umore, percepito soprattutto dal sistema paralinguistico (tono della voce, timbro, velocità del parlato, intonazione), ancora più che dalle parole in sè (componente verbale, le parole da me usate).

L’intonazione è uno degli “elementi prosodici” del linguaggio. E’ composto dal tono e dalla modulazione della voce durante l’articolazione di una parola o di una frase. La prosodia è la parte della linguistica che studia l’intonazione, il ritmo, la durata e l’accento del linguaggio parlato. Le informazioni prosodiche, come l’intonazione, sono dense di significati, ad esempio, ci dicono qualcosa sullo stato di salute e di forma di chi parla, sulle energie in circolo, sull’umore. Un esempio di ascolto aumentato è l’ascolto dell’intonazione: 

Il tono ascendente e discendente o l’uso di una particolare cantilena sono elementi ‘paralinguistici’ della comunicazione, che si aggiungono al significato veicolato dalle parole. Questo livello di comunicazione non può mai essere eliminato dalla comunicazione vocale, neppure da quella che viene prodotta artificialmente, che infatti ci appare spesso meccanica proprio per la sua intonazione ‘piatta’. Con la comunicazione paralinguistica si trasmettono soprattutto informazioni sull’identità di chi parla (sesso, provenienza geografica ecc.) e sulle relazioni che l’emittente intende stabilire col destinatario (gioco, scherzo, comando, interrogazione ecc.)”. [2]


Ed è proprio quello che l’amico ha fatto, connettersi alla relazione di “condivisione di felicità” che era il mio intento comunicativo primario.

Ascoltare l’intento comunicativo sottostante, e non solo le parole, è un esempio di ascolto oltre le parole, e di percezione aumentata.

Questo per dire che l’ascolto attivo avanzato può entrare in ogni nostro momento, in ogni nostra giornata, richiede competenze, e non riguarda solo le parole, ma anzi e soprattutto l’intento comunicativo che una persona esprime, facendolo in genere, in modo assolutamente non dichiarato.

Se fossimo stati in un progetto nel quale tale trasmissione di messaggi era connessa ad una scadenza, la domanda poteva riguardare a che pagina fossi rispetto alla scadenza; l’intento comunicativo poteva riguardare una necessità pratica di capire se fossimo in ritardo, e sarebbe stata la domanda appropriata, ma non essendo così, è emersa una competenza di ascolto attivo e avanzato ben superiore, e azzeccata.

“La parola è per metà di colui che parla, per metà di colui che l’ascolta.” 

Michel Eyquem de Montaigne

Ogni volta che ascoltiamo in profondità, in qualche modo, ci stiamo connettendo ai mondi interiori delle persone, ci avviciniamo al “nucleo” dell’individuo, ai suoi “toni dell’umore”, alla sua personalità, alla sua storia, e non a semplici fatti e dati. Allora, e solo allora, possiamo cominciare a coglierne le infinite sfumature, e iniziare a capirla.

[1] Pearce, W. B.; Pearce, K. “Extending the Theory of the Coordinated Management of Meaning (“CMM”) Through a Community Dialogue Process” . Communication Theory. 10: 2000.

[2] Voce Intonazione, da Microsoft ® Encarta ® 2009. © 1993-2008 Microsoft Corporation.

Pearce, W. Barnett, Vernon E. Cronen, and Linda M. Harris. “Methodological considerations in building human communication theory.” Human communication theory: Comparative essays (1982): 1-41.

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Il mondo di chi ascolta e il mondo di chi parla sono due mondi diversi. Sono due storie diverse, hanno passati diversi, amici, parenti, vissuti diversi, corpi diversi, sensibilità diverse. L’ascolto attivo ed empatico può compiere il miracolo di creare un ponte tra questi due mondi.

Ognuno di noi possiede immagini mentali diverse per ogni parola esistente, persino per la parola “albero”, se potessimo crearne un disegno, emergerebbero 10 alberi diversi su 10 persone diverse, andremmo dalle palme ai pini, con una grande varietà. Figuriamoci quando parliamo di concetti come “amore” o “amicizia”.

Due persone dicono reciprocamente “ti amo”,
o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa,
una vita diversa, perfino forse un colore diverso
o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni
che costituisce l’attività dell’anima.

fernando pessoa

Immaginiamo la differenza esistente tra un coach senior di basket e un giocatore di basket appena ventenne. Esistono enormi differenze, di età, di altezza, di prestanza fisica, o di vedute sulla vita. 

Ma se il giocatore non impara ad ascoltare, non potrà mai trarre niente, nessun succo, nessun insegnamento, e rimarrà al suo livello o forse persino peggiorerà o non parteciperà al gioco della squadra.

Vi è qualcosa di fondamentale nell’ascolto, voler entrare nel mondo dell’altro, fosse solo per proprio interesse.

E per l’allenatore non è da meno. Ascoltare una lamentela o un suggerimento su una diversa posizione in campo da assumere, e capire, può fare la differenza tra un giocatore che si trova bene in campo, e un giocatore che abbandona lo sport perché costretto ad un ruolo non suo, che per tanto tempo ha cercato di far capire all’allenatore.

L’ascolto, ancora una volta, è alla radice di intere catene di eventi.

“Odio marcare a uomo, io sono una persona creativa, mi piace creare gioco, non sono un burattino che deve incollarsi ad un tizio e seguirlo anche se va in bagno. Se continua così, se l’allenatore non la smette di mettermi a marcare a uomo, mollo il calcio. Gliel’ho detto 50 volte, non ascolta, non capisce, non ha capito che alla prossima partita io non ci sono. Anzi, da adesso, io non ci sto a fare il manichino.” (testimonianza reale di un giocatore di calcio giovanile)

L’ascolto di se stessi. Esercizio in 3 fasi. Localizzare 1) aspetti che ci caratterizzano, 2) i nostri “tag”, 3) i nostri “target”

Se ascoltare bene gli altri è difficile, ancora di più lo è ascoltare se stessi. Possiamo avvicinarci all’ascolto di noi stessi in tanti modi. Il primo è un modo meditativo, stendersi e da sdraiati ascoltare le voci o meglio il dialogo intrapsichico, quello che “ronza” nella nostra testa, soprattutto quando ci poniamo la domanda “chi sono io”. Sono tecniche molto valide ma vanno guidate da un Maestro, coach o Counselor.

Un’alternativa possibile è un lavoro più “attivo”. In questo ci poniamo domande su:

  • la mia identità personale, il “chi sono io”
  • “Tag” descrittivi della mia identità, le parole o aggettivi o frasi che caratterizzano la mia identità,
  • gli “altri significativi” o ” significant others”, le persone che contano per me e alle quali voglio comunicare la mia identità.

Esempio:

  1. Chi sono io?
  2. Quali keywords mi caratterizzano, connesse all’identità? Che keyword metterei per descrivere me stesso?
  3. Gli altri significativi percepiscono questi tag o stati della mia identità o no?
  4. Quale è il mio Target Audience? Singolo o multiplo? Verso chi voglio comunicare? Verso chi voglio produrre degli effetti comunicativi, effetti derivanti dal mio mix di comunicazione olistica, di messaggi che emano?
  5. Riusciamo a creare percezione di verità, e quindi affidabilità?

Esaminiamo la questione dei “tag” o etichette. Cosa vede di noi un robot? Questo è un esempio dei tag rilevati da un motore di ricerca rispetto a tutti i miei video del mio canale YouTube principale.

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E’ una visione – parziale, riduttiva, sintetica – nella quale io tuttavia mi ritrovo. Parla di me. Questa mappa di significati raccoglie elementi persino dell’ultimo video appena caricato, nel quale compare persino il tag “significato dei tatuaggi”, e che mi piaccia o meno, così mi vede il software, così mi caratterizza, e molto probabilmente, queste sono le “cose” che pensano di me le persone che non mi conoscono soprattutto tramite YouTube. A distanza di 3 settimane, ripeto l’analisi e trovo questi tag, in parte coincidenti, in parti no.

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Anche questa versione parla di me, ma è più aggiornata, riflette maggiormente i temi che ho trattato nelle ultime settimane, compare ad esempio la parola “empatia”, e “ascolto attivo”.

La domanda ora diventa difficile: riesco io con il mio ascolto a cogliere il variare di me stesso? 

Se ci guardiamo allo specchio ogni singolo giorno, probabilmente non ci vedremo cambiare. Ma se prendiamo una foto di 20 anni fà, ci vedremo cambiati eccome.

Ecco, l’ascolto di sè vuole potenziare la nostra facoltà nel leggere noi stessi e le nostre variazioni.

Rispetto al mondo esterno, il fattore che vogliamo chiederci è invece quanto l’ascolto di noi stessi trovi riscontro all’esterno. 

Siamo per gli altri la stessa persona che vediamo in noi stessi? 

Curiosamente, e molto probabilmente, no, o almeno ci saranno 20 immagini diverse di noi in una stanza con 20 altre persone che ci osservano o ascoltano.

Dobbiamo quindi concentrarci, e farlo sulla nostra “credibilità percepita”.Che io sia percepito come una fonte autorevole (alta source credibility) o scarsamente autorevole (bassa source credibility) influenza in modo determinante il “processing” del messaggio, la sua elaborazione, la sua ricezione, e l’effetto di persuasione alto o invece basso o nullo. L’elaborazione del messaggio avviene non tanto in base al messaggio che io “penso” di avere dato ma in base alla ricezione olistica di tutti i messaggi che trasudano da me, dal mio essere, dalla mia identità, dai miei “segni distintivi”.

La “percezione di verità” è uno degli effetti che i comunicatori cercano, al di la del messaggio, il fatto di essere percepiti come persone che comunicano in modo “vero”. Queste percezioni caratterizzano il mio modo di comunicare e lo alterano

Non potendo avere una macchina del tempo per sapere chi ero veramente prima e la mia storia vera, i riceventi del messaggio vanno avidamente a caccia di dissonanze comunicative, incongruenze, segnali di stress vocale, di imbarazzo, di segni e simboli concordanti o discordanti che io come comunicatore “emano”, persino della mia macchina o del mio PC o del mio telefono. 

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

Sito Cristina Turconi – Sviluppo del Potenziale Individuale, dei Team e delle Imprese
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Articolo estratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia – I segreti di una comunicazione efficace” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Regala la tua assenza a chi non da valore alla tua presenza.

Oscar Wilde

L’ empatia è un valore e genera valore. Per questo è bene osservare cosa dicono alcune indicazioni in merito provenienti dal mondo della ricerca. L’empatia, il fatto di praticarla bene, richiede una mente che funzioni bene[1]. Questo significa per noi, che il comunicatore empatico deve prendere cura di se stesso, della sua salute, dello stato della sua mente, esempio essere riposato, non abusare di sostanze, nutrirsi e fare attività fisica, insomma, siamo di fronte a degli atleti della comunicazione e a degli atleti della mente.

Certo, si potrà obiettare che alcuni psicoterapeuti riescono ad essere estremamente abili nell’ascolto attivo ed empatici anche a 80 anni, o con il fisico malato, ma non dimentichiamo quanta esperienza li stia sorreggendo, e quindi, facciamo i nostri compiti personali con diligenza per trovare il nostro migliore stato di forma ed avere un corpo-mente che ci sorregga, che ci sia di aiuto, che ci supporti. 

Prendersi cura di sè aiuta l’empatia. Avere energie personali, fisiche, corporee, mentali, motivazionali, aiuta l’empatia. Se non hai energie, non ascolterai mai nessuno davvero in profondità.

Altra evidenza: quando il tema dell’ascolto attivo ed empatico è una sofferenza (distress)[2], avere alle spalle una scuola metodologica, ad esempio la psicologia umanistica, il Counseling Bioenergetico, o altre, è un fattore di aiuto, perché non si è più soli nell’ascoltare, si è soli solo fisicamente, ma la presenza della “scuola” aiuta a procedere comunque bene. Per quanta buona volontà tu abbia, avere alle spalle una scuola che dà struttura, aiuta, sorregge moralmente.

Empatia e ascolto fanno bene, a chi li pratica, e a chi ne riceve: Alcune evidenze dalla ricerca

La “scuola” può essere anche un’associazione, circolo o gruppo di persone dove ci si ritrova, e nelle quali si discute del metodo e del lavoro, di casi o di modelli, e questa discussione è di enorme arricchimento professionale. Che si tratti di un circolo di leader, di un circolo di Counselor, di una scuola formativa, i momenti di “sbobinatura e riallineamento” come quelli di supervisione sono fondamentali, anche nel contesto non clinico. Anzi, si pensi a quanto in azienda possa essere migliorativo fare colloqui con i collaboratori da parte di un leader, sapendo di avere un Mentor e poterli poi discutere con un supervisore, piuttosto che lasciarli nel nulla.

In ultimo, una riflessione importante. L’empatia è un concetto che viene interpretato, in letteratura, in molti modi a volte anche non compatibili tra di loro[3].

La distinzione sostanziale è tra due estremi, un tipo di empatia emozionale, che sia soprattutto centrata sul vissuto, cioè basata sul sentire e riflettere i sentimenti di chi parla, e un tipo di empatia cognitiva, basata sul riflettere e comprendere i ragionamenti di chi parla.

La nostra visione è che l’empatia sia una forma concreta di presenza mentale nella comunicazione, un colloquio nel quale si vuole ottenere l’End State (punto di arrivo) di comprendere una persona nel pieno delle sue sfumature fisico-corporee, intellettuali ed emozionali.

Nel nostro metodo, quindi, l’empatia deve essere sia emozionale, che cognitiva. Significa poter capire una situazione o brano di vita secondo il punto di vista di chi lo vive, e questo richiede fare luce sia su componenti emozionali (capire le emozioni e le loro sfumature), sia sui ragionamenti (capire i valori, le convinzioni, le azioni, i pensieri strutturati). Solo l’unione tra le due componenti può portare a vera empatia, almeno per quanto riguarda l’ascolto empatico.

Diverso discorso si può fare per un “modo di essere” empatico, che significa vivere costantemente con l’attenzione e la sensibilità alle emozioni altrui, ma questo fuoriesce dal tema della tecnica di ascolto attivo ed empatico, non è certamente da condannare, ma nemmeno da forzare. 

Credo sia giusto lasciare al libero arbitrio di ciascuno, come condurre la propria vita. Di certo, però, quando entriamo in una sessione di ascolto attivo o empatico, saper attingere a questa sensibilità, serve.

Differenza tra empatia e simpatia

Empatia e simpatia vanno distinti. Empatia significa capire. Ad esempio in azienda, capire perché un cliente posticipa un acquisto o vuole un prodotto di basso prezzo, perché un cliente arriva tardi ad un appuntamento, se sia per strategia o vero impedimento, o perché un cliente ci parla di un certo problema specifico, cosa c’è dietro. Simpatia significa invece apprezzare, condividere, essere daccordo. La vendita richiede l’applicazione dell’empatia e non necessariamente della simpatia. Lo stesso vale per un colloquio di coaching, di counseling, o di leadership.

L’ascolto attivo e l’empatia non vanno confuse con l’accettazione dei contenuti altrui o dei loro valori. Un decalogo di ascolto attivo non è da confondere con una cieca accettazione del contenuto altrui. Si tratta unicamente di metodi che permettono di far fluire il pensiero altrui più liberamente possibile per ricavarne apertura e informazioni utili.

La fase di giudizio interiore su quanto ascoltiamo, inevitabile durante la negoziazione, deve essere “relegata” alla nostra elaborazione interna, tenuta per fasi successive della contrattazione, e non deve interferire con la fase di ascolto. 

Quando il nostro scopo è ascoltare dobbiamo ascoltare.
Per farlo dovremo:

  • sospendere il giudizio;
  • dare segnali di assenso e presenza (segnali di contatto, segnali fàtici);
  • cercare di rimanere connessi al flusso del discorso;
  • fare domande ogniqualvolta un aspetto ci sembra degno di appro­fondimento;
  • evitare di “anticipare” (es.: sono certo che lei…) ed evitare di fare affermazioni che siano “prese di posizione”;
  • limitarsi a riformulare i punti chiave di quanto detto dall’altro;
  • non interrompere inopportunamente.

È necessario riservare il nostro giudizio o fare puntualizzazioni solo dopo avere ascoltato in profondità e all’interno di un frame negoziale adeguato. L’obiettivo delle tecniche empatiche è quello di favorire il flusso del pensiero altrui, e di raccogliere quanto più possibile le “pepite informative” che l’interlocutore può donare. L’empatia, se ben applicata, produce “flusso empatico”, un flusso di dati, informazioni fattuali, sentimentali, esperienziali, di enorme utilità per il negoziatore.

Il comportamento contrario (giudicare, correggere, affermare, bloccare) spezza il flusso empatico, e rischia di arrestare prematuramente la raccolta di informazioni preziose. 

Sono poche le persone che pensano, però tutte vogliono giudicare.

Re Federico il Grande

Esiste un momento nel quale il negoziatore deve arrestare il flusso del discorso altrui (momento di svolta, turning point) ma in generale è bene lasciarlo fluire, finché non si sia compreso realmente con chi si ha a che fare e quali sono i veri obiettivi, e tutte le altre informazioni necessarie. Le tecniche empatiche sono inoltre d’aiuto per frenare la tendenza prematura alla disclosure informativa di sé: il dare informazioni, il lasciar trapelare inopportunamente o prematuramente dati su di noi. Dare al cliente informazioni e dati che potrebbero risultare controproducenti genera un effetto boomerang. Ogni informazione deve essere fornita con estrema cautela. 

L’atteggiamento empatico è estremamente utile per concentrare le energie mentali del negoziatore sull’ascolto dell’altro e frenare le nostre interferenze inopportune.

Ricordiamo anche un altro punto. L’ascolto è un dono. Donare il proprio ascolto, oggi, in un mondo materialistico, è tra i doni più preziosi che si possano fare, premesso che la persona da ascoltare ci interessi e vogliamo fare questo regalo. Il tempo umano è prezioso e limitato, e ascoltare bene, richiede tempo. Per questo, dedicare a qualcuno un momento di vita denso di ascolto di qualità, e farlo con passione, deve essere fatto o per lavoro, o per amore.

“Amare vuol dire soprattutto ascoltare in silenzio.”

Antoine de Saint-Exupery

[1] Neumann D1, Zupan B. Empathic Responses to Affective Film Clips Following Brain Injury and the Association with Emotion Recognition Accuracy. In:  Arch Phys Med Rehabil. 2018 Aug 21. pii: S0003-9993(18)30938-9. doi: 10.1016/j.apmr.2018.07.431.

[2] Guan K, Kim RE, Rodas NV, Brown TE, Gamarra JM, Krull JL, Chorpita BF,. Emergent Life Events: An In-Depth Investigation of Characteristics and Provider Responses during Youth Evidence-Based Treatment. In: J Clin Child Adolesc Psychol. 2018 Aug 24:1-16. doi: 10.1080/15374416.2018.1496441.

[3] Dohrenwend AM. Defining Empathy to Better Teach, Measure, and Understand its Impact. In: Acad Med. 2018 Aug 21. doi: 10.1097/ACM.0000000000002427.

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Articolo estratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia – I segreti di una comunicazione efficace” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Poche delizie possono eguagliare la semplice presenza 
di colui di cui ci fidiamo totalmente.

George MacDonald

Nell’empatia, “esserci”, è importante.
Per “esserci” è essenziale non confondere i piani, l’ascolto, e l’espressione. La comunicazione d’ascolto, e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente, e prima di tutto mentalmente, le attività di attenzione alla comunicazione altrui, la sua comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione di nostri messaggi (comunicazione in uscita).

Possiamo parlare veramente di un “flusso”, un flusso empatico, un flusso bidirezionale che scorre tra due persone durante una comunicazione empatica. Un flusso che, a volte, ha qualcosa di magico. Attenzione: chiaramente il contenuto di questo flusso in termini di parole, frasi, espressioni del volto e ogni altro “contenuto comunicativo” viene espresso da chi parla, ma chi ascolta esprime un flusso altrettanto potente, persino ancora più potente, il flusso dell’attenzione e della presenza mentale. Due flussi di apertura, di accettazione, che creano un momento di condivisione umana unica e speciale. Se ti accade di sentirti dire “non mi sono mai sentito così capito come in questa conversazione, grazie davvero” è probabile che il tuo tasso di empatia sia stato alto.

Quando sapremo separare bene questi due flussi, prima di tutto a livello mentale, poi sul piano fisico e comportamentale, sapremo come dare presenza, evitando di intromettere il flusso empatico con comunicazioni non appropriate. Quando sarà “il nostro turno”, saremo sempre e comunque empatici, “collegati” e pertinenti.

Ci sono persone che lasciano la loro presenza in un luogo anche quando non ci sono più.

Andy Goldsworthy

Il Decalogo per un ascolto empatico di qualità.
Dieci regole da applicare sempre:

Durante le fasi di ascolto empatico è necessario:

  1. non interrompere l’altro;
  2. non giudicarlo prematuramente; non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  3. ricapitolare di tanto in tanto quanto si è capito (quindi se ho capito bene, è successo che…), riformulare i punti critici (ok, non ti risponde subito al telefono, e tu ci rimani molto male, capito), fare parafrasi (quindi, se capisco bene è come se….?)
  4. non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  5. non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  6. non cercare di sopraffarlo;
  7. non cercare di dominarlo;
  8. non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  9. non parlare di sé;
  10. testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;
“Esserci” nella relazione: separare l’ascolto dalle attività di “espressione” e generare il “flusso empatico”

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi;
  • predisporsi mentalmente al “tutto”: riuscire a fare posto anche a materiali psichici “pesanti” (paure, traumi, drammi, tragedie personali, sogni, stati d’animo turbati) che l’altra persona esprime, o quando emergono nel processo, saperli esplorare rimanendo “centrati”, in equilibrio mentale ed emozionale, non sopraffatti da quanto si ascolta (tecnica di Distanziamento Emotivo Controllato – DEC). 

È importante ricorrere alle parole di Carl Rogers, psicologo e fondatore del Counseling, la persona che ha più influito sul concetto stesso di empatia:

“La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione tendiamo subito a pensare ‘è ingiusto’, ’è stupido’, ‘è anormale’, ‘è irragionevole’, ‘è scorretto’, ‘non è gentile’. Molto di rado ci permettiamo di ‘capire’ esattamente quale sia per lui il significato dell’affermazione.” 

Carl Rogers

Cosa sia per lui il significato dell’affermazione” è il vero senso di qualsiasi operazione di empatia, capire la connessione emotiva, il movente visto da dentro. Si tratta di una tecnica. Poi poco importa che tale tecnica sia applicata verso un criminale per capire quali prossimi gesti possa compiere, o verso una persona che soffre di ansia, o per aiutare un giovane a trovare la sua strada nel futuro, uno sportivo a vincere la sua prossima gara, o una squadra nella quale stiamo cercando di produrre lo stato di “flow” per le massime performance.

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
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Articolo a cura di: Cristina Turconi – Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

Motivare un individuo o un gruppo di lavoro in ambito professionale può rivelarsi un’impresa difficile. 

Risvegliare quel desiderio a contribuire, a devolvere le migliori intenzioni e energie ad ogni singola prestazione, è come partire per un lungo viaggio che attraversa la storia individuale e la personalità di ciascun collaboratore. 

Per essere produttivi è necessario stare bene con sé stessi. Ogni responsabile dovrà fare in modo che i propri collaboratori si sentano a proprio agio nel contesto in cui si trovano ad operare, sia a livello personale che professionale.

Come riuscire a trovare le chiavi di successo che possano far sentire ogni singolo collaboratore parte di qualcosa di speciale, di arricchente che doni gratificazione, stimolo e senso di appartenenza?

Il Modello 4Colors® è un valido supporto in quanto permette di decodificare 4 Personalità-Colore che corrispondono a specifiche tipologie di comportamento, stile di pensiero e processo decisionale, e riconoscere ciò che è davvero importante per ogni componente del Team.

Collaboratore Rosso: [1]

  • È concentrato sui risultati e estroverso; cerca sempre di distinguersi dal gruppo. 
  • È come una forza motrice che traina gli altri membri che tendono a seguirlo. 
  • Orientato all’azione, è anche veloce agli occhi di coloro che preferiscono pensare a fondo prima di agire. 
  • Reattivo, ha difficoltà a tollerare che gli altri non vadano alla sua velocità. 
  • Può essere molto critico nei confronti degli altri rossi della squadra con cui è in competizione, così come delle decisioni prese dal suo capo, dal quale si aspetta una competenza estrema e un modello da seguire. 
  • A seconda della situazione, può diventare un leader positivo o un leader negativo. Gioca il ruolo di “capitano”, il capitano della squadra o del progetto. 

Fattori chiave: dominare – combattere – sfidare – superare sé stessi.

Motivare significa saper “risvegliare” il desiderio di ciascuno all’interno del tuo Team

Collaboratore Giallo: 

  • È concentrato sulle relazioni ed estroverso; il giallo è quello con la più naturale propensione a comunicare e a interagire in quanto ha “bisogno degli altri”. 
  • Un giallo in una squadra è come il tuorlo in una maionese! Porterà il suo dinamismo, il suo entusiasmo, il suo calore, il suo umorismo, il suo senso del compromesso per mantenere attive le connessioni con tutti gli altri.
  • Ha un enorme bisogno di riconoscimento e ama essere visto nella sua “unicità” e “preziosità”.
  • Lavora bene solo in un’atmosfera piacevole che tende a far dimenticare l’orientamento ai risultati. 
  • Per lui è difficile non poter piacere a tutti, soprattutto ai blu che sono infastiditi dalla sua estroversione e dalla sua energia esuberante. 
  • Svolge il ruolo di colui che sforna idee originali, stimoli innovativi e creatività.

Fattori chiave: influenzare – creare – giocare – lavorare con piacere.

Collaboratore Verde:

  • È orientato alle relazioni ma introverso, mostra grande capacità di ascolto, empatia e rispetto per gli altri.
  • È riconosciuto come un membro flessibile con cui è facile cooperare. 
  • È disposto ad accettare le decisioni degli altri pur di evitare conflitti. 
  • Messo in una situazione di stress, come in un contestoi di cambiamento, può sviluppare una sorta di “immobilismo” caratterizzata da una lentezza estrema che irriterà i rossi. 
  • È il guardiano della coerenza e della perseveranza e tende a costruire relazioni profonde, durature e fedeli.

Fattori chiave: essere utile agli altri – portare stabilità e coerenza al gruppo – prendersi cura delle persone.

Motivare significa saper “risvegliare” il desiderio di ciascuno all’interno del tuo Team

Collaboratore Blu:

  • È orientato al compito e introverso; è il meno compatibile per natura a lavorare in gruppo in quanto preferisce lavorare da solo (possibilmente con la porta chiusa).
  • Il suo essere riflessivo e metodico, aiuta ad analizzare in profondità ogni compito infondendo calma e sicurezza al gruppo. 
  • È prezioso per perseguire compiti complessi a lungo termine ai i quali riserverà sempre lo stesso livello di cura e impegno.
  • Il suo senso del rigore gli impedisce di lavorare e divertirsi allo stesso tempo. 
  • La sua mancanza di leggerezza e la sua eccessiva rigidità possono generare conflitti con i gialli. 
  • I rossi lo criticheranno per essere troppo perfezionista, troppo lento e poco assertivo. 
  • È colui che raccoglie tutte le informazioni necessarie prima di iniziare qualsiasi compito e verifica con estrema pignoleria le criticità di ogni progetto.

Fattori chiave: perseguire alti standard di qualità – sicurezza – analisi delle criticità – pianificazione e metodo – cura del dettaglio.

Salvaguardare I fattori chiave di ogni Personalità-Colore significa lavorare per alimentare le energie motivazionali di tutto il Team. 

Ogni volta che ogni singolo collaboratore si sentirà accettato, apprezzato e vedrà riconosciuta l’unicità del suo contributo al gruppo, sarà stimolato a contribuire al team stesso di cui fa parte o al suo benessere complessivo.

Se vuoi approfondire il Modello 4Colors® trovi un’altro articolo qui: Il Processo creativo a colori – Approcci alla creatività e al Problem solving nei Team



[1] Manager avec les couleurs; Forger son propre style. Motiver chaque collaborateur. Maitriser les situations de management – B. Boussuat, P. David, J.M. Lagache – Dunod, Paris 2008.

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Articolo estratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia – I segreti di una comunicazione efficace” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

…a volte si parla al mondo e il mondo sembra non sentire…. altre volte il mondo parla a noi e noi siamo da un’altra parte.

Danele Trevisani

L’empatia è quello stato di “presenza mentale”, dove “io sono qui, con te”, a fianco di un essere umano che vogliamo capire a fondo. 

Come tale, ha una possibilità di durata limitata, quella di un colloquio, ma il suo effetto può durare per sempre, come per ogni memoria o esperienza. L’empatia si basa sul fatto di volere fortemente essere presenti, una presenza mentale che accoglie ogni sfumatura e dettaglio di quanto detto, del non verbale, del paralinguistico, cercando di comprenderne il significato, fino ad arrivare a capire la “storia” di una persona e i suoi “episodi salienti, positivi e negativi”. Può anche arrivare ad una totale comprensione dello “stato d’animo” di una persona, oltre ogni etichetta verbale, al di là di ogni possibilità di espressione.

Nel metodo ALM (sviluppo aziendale) e HPM (sviluppo personale) si elabora un modello speciale di empatia, con una tipologia esposta inizialmente nel volume Negoziazione Interculturale.

Tipi di empatia in base agli angoli di osservazione:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si àncora.
Empatia e comunicazione empatica: i quattro livelli dell’empatia nel metodo ALM/HPM

Elementi positivi e distruttivi dell’empatia:

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatiaDistrugge l’empatia
Curiosità, passione, motivazione all’ascoltoDisinteresse, ascoltare per obbligo, per dovere; scarsa motivazione
Partecipazione reale all’ascolto, non finzioneFingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Atteggiamento dello “scopritore”, del cercatore di tartufi o cercatore di pietre preziose. Vediamo cosa salterà fuori oggi!Atteggiamento burocratico, ingessato. Anche oggi, proprio adesso, un altro incontro, che noia
Riformulazione dei contenutiRecap – ricapitolazione delle “storie” e dei “temi” che emergonoGiudizio sui contenuti, commentiFlusso ininterrotto senza mai accertarsi di avere capito di cosa si parla e del senso delle cose
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)Flessibilità delle domande in funzione di come varia una sessione e il suo contestoMonotonia nel tipo di domande, staticità delle domande,  domande troppo ancorate a uno schema o scuola dogmatica
Centratura sul vissuto emotivo, ascolto emozionaleCentratura esclusiva sui fatti, ascolto robotizzato
Segnali verbali e non verbali di attenzione, segnali “fàtici” (segnali di contatto) es, uhm, ah, ok, ho capito…Body Language che esprime disinteresse o noia, apatia, voler essere altrove
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti)Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale

“L’empatia fra le persone è come l’acqua nel deserto: si incontra di rado, 
ma quando capita di trovarla ti calma e ti rigenera.” 

Emanuela Breda

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
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Articolo estratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia – I segreti di una comunicazione efficace” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Quando un’alba o un tramonto non ci danno più emozioni, 
significa che l’anima è malata.

roberto gervaso

 L’empatia è definita in mille modi diversi. 

Per il nostro scopo, è sufficiente concentrarsi, qui ed ora, sul fatto che l’empatia è uno “stato della mente”, uno stato di apertura all’ascolto, di predisposizione a cogliere i dati e le emozioni che arrivano dall’altra persona, a “sentirli”, arrivando a capire una situazione con immedesimazione, avere coscienza di ciò che vive, con gli occhi e con il cuore della persona che ce la sta raccontando. Approfondiremo il concetto più avanti. Lo abbiamo già detto, ma l’empatia per quanto profonda non equivale alla simpatia.

Chi pratica ascolto empatico deve essere molto bravo a “cogliere” e “sentire” ma non deve assolutamente cadere nel tranello del “confondere il proprio sé con quello dell’altro”. Quindi, stiamo per ora su un aspetto tecnico: la scomposizione dell’ascolto in dati ed emozioni. È fondamentale distinguere l’“ascolto attivo”, dei dati da un ascolto delle emozioni. Ascoltare dati e ascoltare emozioni sono due processi diversi. 

A volte compresenti, e spesso diventano due “task” o compiti che viaggiano in parallelo. Ma concettualmente sono diversi. 

Noi abbiamo sempre a disposizione “il tutto” mentre ascoltiamo, sta a noi saper cogliere, saper distinguere, saper “apprezzare” ed essere sensibili anche alle più sottili sfumature dell’anima e dell’emozione.

I due strati dell’ascolto possono essere visti come due fiumi che viaggiano paralleli l’uno all’altro. Due flussi di informazioni, anziché di acqua, che dobbiamo percepire, contemporaneamente.

Dati ed emozioni: i due ingredienti basilari dell’ascolto empatico

È vero che anche un’emozione è una forma di “dato”, ma dobbiamo constatare, giocoforza, che un conto è trattare dati qualitativi come il sentire piacere, o essere orgogliosi, o sentirsi tristi o depressi, e un altro conto è annotare informazioni come “Londra”, “Milano”, “50 km”, “10 kg”, “aereo”, “treno”, “100 Euro”, e altre informazioni quantitative o qualitative più tangibili. Possiamo dire che scientificamente abbiamo un “data-point” (punto dati, informazione certa) ogni volta che riusciamo ad estrarre una proposizione verificabile. 

L’affermazione “Prima delle 17 Davide ha concluso una vendita ed era felicissimo” contiene quattro data-point

Ascoltare bene assomiglia molto al processo di “estrarre e separare”, come avviene in un giacimento. Estrarre materiale e separarlo in pietre da un lato, e fango dall’altro. Nell’ascolto, i materiali sono quasi sempre congiunti, quasi incollati, ma possiamo imparare a separarli. Nell’esempio scritto di seguito sarà abbastanza facile farlo.

Figura 7 – estrazione dei dati da un brano testuale (ascolto centrato sui dati)

Davide e Lucia ieri sera verso le 19.30 hanno litigato perché c’era dell’erba da togliere dal giardino e Paolo l’ha fatto ma si è stancato, quando lo ha detto a Lucia, con orgoglio, di avere pulito tutta una zona del prato corrispondente all’ingressoLucia si è arrabbiata perché ha sentito dentro di sè che fosse come una sorta di accusa, un tono che non le piaceva, come se avesse detto “non lo hai fatto tu, l’ho fatto io”.

Figura 8 – estrazione degli stati emotivi dallo stesso brano testuale

Paolo e Lucia ieri sera verso le 19.30 hanno litigato perché c’era dell’erba da togliere dal giardino e Paolo l’ha fatto ma si è stancato, quando lo ha detto a Lucia, con orgoglio, di avere pulito tutta una zona del prato corrispondente all’ingresso, Lucia si è arrabbiata perché ha sentito dentro di sè che fosse come una sorta di accusa, un tono che non le piaceva, come se avesse detto “non lo hai fatto tu, l’ho fatto io”.

Quando passiamo a brani di video, o ad interazioni umane in tempo reale, dobbiamo diventare ancora più bravi, perché le emozioni si “nascondono” dietro a microespressioni, piccoli segnali involontari del volto, o possono invece diventare molto manifeste e verbalizzate.

Quando ascoltiamo, possiamo prestare attenzione ad uno, all’altro, o ad entrambi. Riuscire a cogliere tutti e due è sicuramente meglio. Dietro ad un ascolto delle emozioni vi è una visione dell’uomo come creatura che “sente” e non solo come creatura che “ragiona”.

Quando trattiamo con la gente, ricordiamo che non stiamo trattando con persone dotate di logica. 

Noi stiamo trattando con creature dotate di emozioni.

DALE CARNEGIE

Può sembrare strano sottovalutare la parte logica dell’essere umano, ma dobbiamo renderci conto che, secondo le neuroscienze, solo il 2% delle capacità di calcolo mentali sono a disposizione per ragionamenti coscienti e razionali, ed il resto rimane diviso tra dati necessari a far funzionare la “macchina biologica “cuore, polmoni, respirazione, e milioni di processi” e dati del subconscio, sui quali si innestano le emozioni, che vogliamo o meno. Ricordiamo che anche un’emozione è in qualche misura un dato, ma va da se che un conto è fare domande attive partendo dalla frase “ho comprato 4 kili di pesce” e altro è farlo per approfondire la frase “in questo periodo mi sento pieno di speranza ma anche di rimorsi”.

Le emozioni sono espresse sia con le parole, ma molto maggiormente tramite microespressioni del volto, segnali del corpo, e stato della voce (paralinguistica), che non tramite la componente verbale. 

Le sole parole non veicolano emozioni se non sono accompagnate da un contesto adeguato. Il modo con cui sono dette, molto di più. Ma non vengono di solito “dette”. Semplicemente si manifestano nel comportamento non verbale, nelle espressioni del volto. E anche se non dette, vanno “ascoltate”.

La cosa più importante nella comunicazione è 

ascoltare ciò che non viene detto.

PETER F. DRUCKER

Ascoltare i dati o ascoltare le emozioni qualifica la differenza tra un ascolto informativo centrato sui dati e un ascolto a forte orientamento psicologico. Ascoltare dati non equivale a cogliere stati emotivi. Possiamo infatti applicare un ascolto di tipo psicologico o un ascolto tecnico-informativo. Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.

Questo vale anche per un genitore che voglia ascoltare un figlio su come sta andando a scuola, fissandosi sui voti e dati come per riempire un foglio di Excel, o cercando di capire gli stati d’animo e le relazioni.

Imparare ad ascoltare bene è possibile, con cura, con esercizio, con passione e volontà, sbagliando, e ripartendo sempre.

Sii sempre come il mare, che infrangendosi contro le rocce trova sempre la forza di riprovarci.

JIM MORRISON

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

La memoria è la capacità di immagazzinare informazione, fissare il flusso esperienziale e i dati, e avere accesso ad entrambi. La memoria è centrale per lo svolgimento della performance, in quanto, come evidenzia Baddeley:

senza la memoria saremmo incapaci di vedere, di udire o di pensare. Non avremmo un linguaggio per esprimere la nostra situazione, e di fatto neppure un senso della nostra identità personale. In breve, senza memoria saremmo dei vegetali, intellettualmente morti[1].

Vi sono migliaia di pubblicazioni e ricerche sulla memoria, un materiale sterminato impossibile da trattare in questa sede. Per i nostri fini vogliamo evidenziare alcuni tipi di memoria rilevanti per la performance e lo sviluppo delle energie mentali, sottolineando che non esiste una memoria singola ma molte tipologie di memoria.

  • Memoria a breve temine: mantenimento dell’informazione per pochi secondi dal suo ingresso.
  • Memoria a lungo termine: la funzione di immagazzinamento delle informazioni, superata la memoria a breve termine.
  • Memoria episodica: capacità di ricordare i dettagli di un evento, il ricordo di fatti particolari, come ciò che abbiamo mangiato a colazione il giorno precedente, o i dettagli di un evento anche remoto.
  • Memoria associativa: es.: ricordare i nomi delle persone vedendone il volto, associare un rumore ad una precisa auto.
  • Memoria semantica: creazione di significati associati a eventi o input. Fa parte della memoria semantica ad esempio la capacità di ricordare un certo odore e capire che si tratta di gomma bruciata.
Memoria e memorizzazione selettiva


Il movente scatenante energie mentali può essere associato alla memoria negativa o alla memoria positiva. 

La memoria negativa riguarda eventi passati negativi e il tentativo di far si che non si ripetano, mentre la memoria positiva riguarda il ricordo di eventi positivi e il tentativo di far riaccadere quelle sensazioni.

Notiamo da questo passaggio, dal film: “Proposta Indecente” di Adrian Lyne, un esempio di associazione che crea movente per un comportamento:

Ricordo una volta quando ero giovane, e stavo tornando da non so dove, un cinema o forse qualcos’altro… c’era una ragazza che era seduta di fronte a me, indossava un vestito che era abbottonato quasi fin quassù… “era la cosa più bella che avessi mai visto”…Allora ero timido, così quando lei mi guardava abbassavo gli occhi… poi dopo, quando ero io a guardarla li abbassava lei… 

Arrivai dove dovevo scendere, e scesi, le porte si chiusero, e quando il treno stava ripartendo lei mi guardò negli occhi e mi fece un incredibile sorriso… fu terribile… volevo aprire per forza le porte… tornai ogni sera alla stessa ora… per 2 settimane… ma non l’ho più vista… Questo è stato 30 anni fa… e non credo che passi giorno senza che io non rivolga un pensiero a lei… 

Non voglio che succeda di nuovo!

Dal film: “Proposta Indecente”, frase recitata dall’attore Robert Redford

La memoria di lavoro (buffer mnemonico) consente il mantenimento di uno stimolo in ingresso per pochi secondi, necessari alla elaborazione mentale (cognitiva) dello stimolo stesso. È la memoria necessaria a ricordare un informazione per il tempo necessario allo svolgimento di un compito, per poi disfarsene poiché inutile. Tutti gli “scarti di lavorazione” della memoria (i vari sottoprodotti) verranno abbandonati e dispersi.

Lavorare sulla memoria è quindi importante non tanto per aumentarne la capacità, stiparla di informazioni come un magazzino sovraccarico, ma soprattutto per aiutare a consolidare i passaggi di vita, episodi positivi e negativi, da cui si può ricavare apprendimento.

La mente non è un vaso da riempire
ma un legno da far ardere perché s’infuochi
il gusto della ricerca e l’amore della verità.

Plutarco

Uno dei problemi della psicoenergetica è la perdita di focus su quali siano le informazioni utili e quali invece trattenere. Se sbagliamo, non presteremo attenzione a dati di reale utilità, trattati come rifiuti o sottoprodotti, e ci concentreremo invece su ciò che non serve. Ad esempio, in una negoziazione sarà indispensabile cogliere anche singole parole, memorizzarle e compararle ad altre emissioni verbali dette in seguito dalla persona, per far emergere eventuali dissonanze, e usarle nella nostra strategia.

Un altro aspetto mnemonico interessante è la capacità di ricordo dei sogni, che se recuperati ed analizzati consentono di avere accesso ad una preziosissima fonte di rappresentazioni delle paure (blocchi, ansie, timori, preoccupazioni) e desideri inconsci dell’individuo. 

È stato evidenziato da ricerche sulla comunicazione interculturale che il difficile ricordo del sogno è un problema di comunicazione tra stati di coscienza. Lo stato della vigilanza parla un linguaggio diverso rispetto allo stato del sonno, e i due non possono comunicare bene tra di loro. La memoria dei sogni richiede l’acquisizione di uno stato intermedio (una sorta di terza lingua) tra lo stato di coscienza del sonno e lo stato della veglia. 

Nel metodo HPM si utilizzano tecniche di meditazione consapevole praticate in fasi specifiche del training, ma anche immediatamente dopo il risveglio, per poter portare allo stato cognitivo lucido aspetti del sogno e dell’inconscio che andrebbero altrimenti dispersi (tecniche ReMeA: recupero e metabolizzazione in stato alfagenico). Lo stato alfagenico è uno stato di rilassamento nel quale l’individuo produce onde cerebrali alfa, è tranquillo e rilassato, ed è in grado di generare un pensiero più libero, creativo e associativo.

Tra le tecniche alfageniche si colloca anche la pratica di generare ricordi guidati di eventi positivi, anche durante la giornata, riservandosi spazi appositi (tecniche RSP: Training Mentale di Ricordo Selettivo Positivo). 

Queste tecniche sono l’esatto contrario dei tentativi di fuga dai ricordi spiacevoli, o dello scorrere sopra gli eventi positivi anziché sentirli a fondo. Occorre la consapevolezza che non serve a nulla fuggire da un ricordo finché non lo si è capito e accettato. Allo stesso tempo, serve capacità per cogliere gli aspetti positivi della vita, che altrimenti ci scorrono accanto inosservati, poco gustati o assaporati. A forza di non notare ciò che di positivo ci accade o esiste, le nostre capacità di atrofizzano, e il pensiero di chiude.

Le tecniche si prefiggono di analizzare i vissuti quotidiani, i problemi occorsi in passato, i momenti positivi, e metabolizzarli in una condizione alfagenica (di rilassamento), nella quale essi possano esprimersi meglio, essere affrontati, elaborati, assaporati, metabolizzati, e portati a livello cosciente.

In questo modo i problemi non verranno lasciati alla sola metabolizzazione notturna, riducendo il carico di lavoro mentale e liberando il sonno da una dose di affanno elaborativo. Allo stesso tempo, l’individuo apprende a gustare eventi che altrimenti rischiano di andare persi e dimenticati per sempre.

Le tecniche possono andare anche verso la rivisitazione degli eventi positivi della giornata o di un periodo specifico, es., la settimana, per consolidare elementi del vissuto positivo che altrimenti verrebbero dispersi, ridotti, dati per scontati (tecniche di concentrazione sugli eventi positivi e consolidamento mnemonico di episodi positivi).

Oltre a questo beneficio, le tecniche di Training Mentale consentono di entrare nell’esperienza passata con un maggiore grado di introspezione assimilandone aspetti più profondi.

Un ulteriore problema di psicoenergetica è la connessione tra flusso di esperienza e memorizzazione selettiva. Possiamo ricordare – di una esperienza di lavoro o di vita – solamente alcuni episodi caratterizzati da fatti curiosi, oppure possiamo cercare di far uscire dalla memoria i nostri errori (ricerca selettiva), ed ancora far uscire dalla memoria, estrapolare, i comportamenti e atteggiamenti che sono stati produttivi e positivi. 

Senza questa attività di ricerca, elaborazione e fissazione, il flusso di esperienza ha valore minore e diventa meno utile per l’apprendimento.
Sempre rispetto alla memorizzazione selettiva, notiamo che essa può travalicare il punto della semplice selezione e giungere alla distorsione (immettere infor­ma­zioni che non c’erano) nel quadro memonico. 

Questo avviene soprattutto come meccanismo di auto-protezione dalla dissonanza (“devo aver fatto questo, altrimenti non sarei stato io”, “mi avrà certamente detto così, altrimenti non avrei reagito in quel modo”, e altre distorsioni di questo tipo). Le persone arrivano tranquillamente ad inventare aspetti dell’esperienza inesistenti e distorcere involontariamente (senza coscienza di farlo) interi brani di realtà, pur di mantenere in piedi i castelli di carta mentali che le sorreggono.

Un coaching finalizzato a lavorare sul funzionamento della memoria emotiva dovrà utilizzare tecniche particolari di allenamento di componenti specifiche della memoria stessa. 

Memoria e memorizzazione selettiva

Ad esempio, un “diario delle positività” aiuterà la persona a fissare quali aspetti della giornata, anche minimi, sono degni di maggiore attenzione e possono diventare qualcosa da apprezzare, piuttosto che materiale mnemonico da non trattenere o al quale non prestare nemmeno attenzione.

L’esperienzialità (experiencing) va catturata, in caso contrario la vita rischia di scorrerci via senza sentirla a pieno in noi.

Per scopi di approfondimento, è possibile ricorrere alle tecniche di focusing sviluppate da Gendlin, centrate sull’elaborazione della “sensazione sentita” soprattutto sul piano fisico, sino a sviscerarla completamente in ogni sua sfumatura. 

Il lavoro di Gendlin sul focusing e sull’experiencing (esperienzialità) è decisamente importante è ha una nutrita letteratura[2]. Ricordiamo tuttavia che queste tecniche partono da una scuola e volontà psicoterapeutica, mentre nel nostro caso le tecniche di training mentale ed esperienziale hanno volontà di crescita del potenziale umano in senso ampio, e non sono centrate solo su aspetti terapeutici. Non occorre stare male per forza per praticare focusing ed experiencing, anzi, ne avremo un beneficio anche partendo da condizioni di benessere o medianità e in azioni quotidiane, non solo competitive o manageriali. Le competenze psicologiche esistenziali devono diventare competenze sociali diffuse in tutte le persone, perché ogni persona merita di vivere a pieno e fino in fondo. Quale che sia la condizione di partenza, nello spirito del metodo HPM ogni piccolo passo ha senso. La stasi, invece, uccide.


[1] Baddeley, A. (1990), La memoria, Laterza, Bari.

[2] Tra le opere, la pubblicazione divulgativa più nota è edita solo nel 2001: Gendlin, E.T (2001), Focusing. Interrogare il corpo per cambiare la psiche, Astrolabio, Roma. Le pubblicazioni  in lingua inglese del metodo del focusing sono invece sintetizzabili nelle seguenti: 
– Gendlin, E.T. (2007). Focusing. [Reissue, with new introduction]. New York: Bantam Books. 
– Gendlin, E.T. (1997). Language beyond postmodernism: Saying and thinking in Gendlin’s philosophy. Edited by David Michael Levin. Evanston: Northwestern University Press. 
– Gendlin, E.T. (1997). A process model. New York: The Focusing Institute. 
– Gendlin, E.T. (1996). Focusing-oriented psychotherapy. A manual of the experiential method. New York: Guilford. 
– Gendlin, E.T. (1991). Thinking beyond patterns: Body, language and situations. In B. den Ouden & M. Moen (Eds.), The presence of feeling in thought, pp. 21-151. New York: Peter Lang. 
– Gendlin, E.T. (1986). Let your body interpret your dreams. Wilmette, IL: Chiron. 
– Gendlin, E.T. (1962). Experiencing and the creation of meaning. A philosophical and psychological approach to the subjective. New York: Free Press of Glencoe. Reprinted by Macmillan, 1970.

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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