Category

ascolto attivo ed empatia

Category

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

__________

L’articolo di oggi ruota attorno alle capacità e consapevolezze che tutti dovrebbero possedere per imparare ad ascoltare e vivere meglio. Per poter padroneggiare queste abilità è però necessario dedicarsi dei momenti di rigenerazione, che permettano di ricaricare le batterie e migliorare quindi il livello di attenzione.

Chi vuole praticare un ascolto attivo deve assolutamente imparare a padroneggiare le proprie energie e le proprie risorse, in particolare la propria risorsa più limitata: l’attenzione. 

L’attenzione è un bene rarissimo.  

In un’ora di ascolto, solo pochi minuti sono veramente dedicati ad una profonda connessione neurale. Larga parte del tempo dell’ascolto, infatti, è purtroppo in balia di forze superiori, come i processi interni all’individuo stesso (pensiero, digestione, respirazione, caldo, freddo, fame, sete, bisogno di andare in bagno, bisogno di muoversi), che crescono con il crescere del tempo. Le conversazioni sono dense di emozioni, di espressioni degli stati del corpo (es. stare bene o stare male) e di tutto ciò che frulla per la testa, sia di chi parla, che di chi ascolta. 

L’economia cognitiva si occupa di portare un po’ di ordine nelle conversazioni, e di sfruttare in modo efficiente le risorse mentali. Una riunione pone problemi elevati di utilizzo delle risorse, poiché esse vanno divise ed “assorbite” sia dal dibattito sui contenuti, che dalla difficoltà comunicativa generata dalla differenza di valori e posizioni. 

I problemi di economia cognitiva diventano quindi ancora più pressanti rispetto alle riunioni aziendali comuni, in cui si fa finta che le persone non abbiano un corpo, e la loro attenzione abbia durata infinita. Per questo, si arriva ad abusare delle capacità attentive, e le conversazioni si fanno sempre più improduttive. 

Possiamo quindi indicare che l’utilizzo del tempo comunicativo e delle risorse mentali diventa una meta-competenza dell’ascoltatore e del professionista. Tra le sue doti si collocano quindi le prioritization skills, le capacità di fissare le priorità.

La sfida dell’ascolto è saperlo usare come risorsa scarsa. Saper rispondere alla domanda fondamentale: di cosa è bene parlareCome gestire il tempo scarso e limitato? Come sollevare le curve di attenzione quando tendono a cadere? 

Ogni conversazione ha un costo elevato.  Proviamo semplicemente a calcolare il costo, all’interno di un’azienda, dell’orario di molti dirigenti che impiegano una mattinata, arrivando in aereo da paesi diversi, oppure pensiamo al costo delle sale e dei materiali, o a quello di preparazione, ecc… 

In famiglia, immaginiamo quanto siano rari e quindi preziosi quei minuti in cui si può parlare dopo aver dedicato tempo al lavoro e agli impegni. 

Le conversazioni quotidiane non sembrano costare, per il semplice fatto che nel nostro tempo libero non veniamo pagati. Ma se consideriamo il fatto che il nostro tempo sulla Terra è limitato, allora faremmo bene a spenderlo il più possibile per renderlo piacevole.

L’attenzione è portare il nostro focus sulle parole, sui significati, sui gesti, sugli sguardi, sulle posture, sul rapporto delle persone con gli oggetti circostanti (es. come li usano), ecc… . L’attenzione è un’arte, e forse è per questo che è così rara e preziosa. 

Ogni gruppo che si riunisce per raggiungere uno scopo può o meno darsi una strategia per ottimizzare le risorse messe in campo durante l’incontro

Le prioritization skills prevedono che il comunicatore si impegni attivamente per definire quali priorità trattare, agendo quindi anche sul formato di un incontro, impostando i termini di base da trattare. Questo significa anche fare scelte molto concrete: di cosa parlare e come parlarne.

Altre priorità riguardano la fissazione di un clima conversazionale positivo: senza il clima adeguato ogni discussione sui contenuti diviene più difficile. Per questo è necessario capire che esiste una precisa relazione tra climi emotivi e stili comunicativi.  

Alcuni stili comunicativi, come il darsi delle arie, o lo svilimento altrui, sono deleteri al raggiungimento di un risultato. Essi risultano diseconomici e disfunzionali, e vanno colti negli altri ed evitati per se stessi. 

Il tema dell’economia della comunicazione richiede quindi: 

  1. capacità di riconoscere le risorse attentive (limitate) disponibili per la conversazione (consapevolezza delle risorse); 
  2. capacità di capire i confini di tempo disponibili (consapevolezza dei tempi); 
  3. capacità di muoversi entro tali confini decidendo i contenuti più appropriati e riconoscendo quelli dispersivi (consapevolezza dei contenuti strategici); 
  4. capacità di gestire le fasi e tempi degli incontri (consapevolezza delle sequenze di interazione) 
  5. capacità di agire sugli stili comunicativi adeguati alle diverse fasi, e sugli atteggiamenti sottostanti gli stili di relazione (consapevolezza contestuale degli stili comunicativi). 

Per concludere, la qualità dell’ascolto dipende: 

  • dalla capacità di centrare i contenuti della conversazione; 
  • dalla capacità di gestire le proprie risorse attentive (ricarica e gestione delle energie personali) e cogliere gli stati altrui; 
  • dalla consapevolezza dei limiti di tempo per la conversazione; 
  • dalla capacità di segmentare i tempi conversazionali, distinguendo le fasi e i relativi obiettivi specifici, in particolare separando il tempo dell’ascolto (empatia) e il tempo propositivo dell’affermare; 
  • dalla capacità di modulare i propri stili di comunicazione, rompendo la rigidità comunicativa, sapendo adattare gli stili alle diverse fasi, ad esempio: amicale nelle fasi di warming up e small talk (chiacchiere introduttive), psicanalitico nelle fasi empatiche, assertivo nelle fasi propositive, ecc.
"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

TAGS:

  • ascolto attivo
  • communication training 
  • comunicazione assertiva
  • comunicazione autentica
  • comunicazione costruttiva 
  • comunicazione efficace
  • comunicazione interculturale
  • comunicazione aziendale
  • comunicazione positiva
  • comunicazione diretta
  • differenze linguistico-culturali
  • differenze valoriali
  • Metodo ALM
  • Modello delle Quattro Distanze
  • marketing interculturale
  • marketing internazionale 
  • marketing e comunicazione strategica
  • strategic selling
  • distanza del self
  • distanza relazionale
  • distanza referenziale
  • distanza ideologico-valoriale
  • distanza dei codici comunicativi
  • empatia 
  • farsi capire
  • imparare a capirsi
  • negoziazione interculturale
  • ponte tra diversità 
  • rispetto della cultura altra
  • strumenti e metodi della negoziazione 
  • tecniche di ascolto attivo
  • potenziale umano
  • approccio consulenziale
  • capacità comunicative
  • Ascoltare le convinzioni e i sistemi di credenze
  • evocare concetti e immagini
  • parole evocative
  • mondi semantici
  • mondi di significati
  • rete semantica
  • percezione del prodotto
  • barriere semantiche
  • valutazioni sociali
  • valutazioni culturali
  • valenze culturali
  • valenze etiche
  • valenze sociali
  • capire cosa motiva le persone
  • scegliere con cura le parole
  • training attivo
  • raggiungere risultati
  • rompere le barriere dell’incomunicabilità
  • abilità comunicative
  • abilità conversazionali
  • adattamento interculturale
  • sistemi culturali
  • dialogo tra aziende
  • approcci culturalmente diversi
  • contesti culturalmente diversi
  • “Get-Ready” Mindset
  • tecniche di gestione della conversazione
  • know-how
  • leadership
  • negoziazioni strategiche
  • pensare da professionisti
  • comportarsi da professionisti
  • conoscere noi stessi
  • conoscere gli altri
  • attenzione strategica all’interlocutore
  • identificare informazioni di importanza critica
  • Padroneggiare le energie e le risorse comunicative per ascoltare meglio
  • attenzione
  • economia cognitiva
  • capacità attentive
  • risorse attentive
  • prioritization skills
  • climi emotivi e stili comunicativi
  • consapevolezza delle risorse
  • consapevolezza dei tempi
  • consapevolezza dei contenuti strategici
  • consapevolezza delle sequenze di interazione
  • consapevolezza contestuale degli stili comunicativi

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Concedersi ascolto, concedere ascolto. Oltre la corazza caratteriale e muscolare

In genere, i software di rilevamento della menzogna utilizzano soluzioni di analisi vocale: analisi della voce a più livelli in grado di identificare vari tipi di livelli di stress, reazioni emotive e processi cognitivi riflessi nella voce del soggetto.

I ricercatori hanno scoperto che le frequenze della voce umana sono sensibili all’onestà. Ad esempio, quando qualcuno è onesto, il suono medio in quell’intervallo sarà generalmente inferiore a 10 Hz e sarà superiore a 10 Hz solo quando la disonestà è prevalente. Parliamo di un “grado di disonestà” o “grado di bugia” in quanto chi ci parla può immettere alcune bugie in un flusso comunicativo altrimenti onesto, ma questo non sarà per lui o lei indifferente.

Tutti i muscoli del nostro corpo, incluse le nostre corde vocali, vibrano nell’intervallo da 8 a 12 Hz.

Questo è solitamente considerato un circuito di feedback ed è simile a un termostato / riscaldatore che mantiene una temperatura media oscillando tra temperature più alte e più basse. Allo stesso modo, i nostri muscoli si stringono e si allentano per mantenere una tensione costante.

Quando siamo stressati – diciamo una bugia, per esempio, e non vogliamo essere scoperti – il nostro corpo si prepara alla lotta o alla fuga (meccanismo fight or flight, attacco o fuga). aumentando la prontezza dei muscoli nel caso dovessero entrare in azione.

La vibrazione aumenterà dalla gamma degli 8 o 9 Hz (muscoli rilassati) alla gamma da 11 a 12 Hz (condizione di stress).

I livelli di stress cambiano da un momento all’altro.

Prestando attenzione allo stress vocale, teniamo a mente che lo stress può essere generato da un semplice ricordo, e che i livelli di partenza non sono uguali per tutti. Alcune persone hanno livelli di stress medio, altri alto, mentre altre persone hanno bassi livelli. Ciò che tutti hanno in comune è il fatto che i loro livelli di stress cambiano continuamente all’interno del loro intervallo abituale.

I software di rilevamento della menzogna per PC cercano cambiamenti nella voce e possono rivelarsi uno strumento di verifica della verità affidabile, in quanto dire bugie provoca stress.

Ancora meglio, se utilizzati in combinazione con software che esaminano le microespressioni facciali, e segnalano in tempo reale la presenza di emozioni e la loro intensità.

Usando registrazioni, in particolare, si può applicare l’analisi per capire quale esatta parola o quale riferimento ha fatto scattare quella particolare emozione.

Io utilizzo abitualmente questi software soprattutto per insegnare alle persone che questi meccanismi esistono ma che le persone possono diventare ancora più abili dei software, e far entrare queste abilità di percezione aumentata nel proprio bagaglio personale di risorse.

Vediamo due diverse immagini tratte dall’audizione pubblica di Marck Zuckerberg, fondatore di Facebook, al Senato USA.

In queste immagini possiamo notare il Frame in cui compare la “tristezza” (sad) per alcune frazioni di secondo, e quello in cui compaiono emozioni miste, in particolare la dominanza della rabbia (angry) mista a sorpresa (surprised).

Questi dati fanno parte dell’ascolto attivo a pieno titolo, in quanto ci offrono informazioni che le parole non stanno portando. Infatti durante questo episodio di audizione pubblica il soggetto rimaneva verbalmente impassibile e composto, ma come notiamo, gli sfondi emotivi erano prepotentemente al lavoro.

Esiste un livello di ascolto molto particolare, l’ascolto del “flusso psicofisiologico”. È un ascolto centrato su noi stessi e sui nostri processi interni. Parte prima da un livello molto basilare, l’ascolto del corpo, del flusso psicofisiologico che abbiamo dentro, di come respiriamo, di quanto siamo o meno rilassati, o agitati… e per cosa…. per poi focalizzare ancora meglio, passare a livelli più alti e di coscienza.

Corpo e mente non sono separati ma si influenzano continuamente, e possiamo partire dall’uno o dall’altro ma prima o poi dovremo fare un lavoro su entrambi.

Un altro pioniere, Reich, comprese che quando al corpo non viene concesso di esprimersi, la stessa identità e psicologia della persona ne viene amputata, ci si ricopre di una “corazza” che diventa sia corazza muscolare (nel senso di rigidità muscolari non volute), che corazza caratteriale, nel senso di chiusura verso il mondo.

Reich intuì che l’uomo è prigioniero di una “corazza” muscolare e caratteriale formata da tutti quegli atteggiamenti sviluppati dall’individuo per bloccare il corso delle emozioni e delle sensazioni organiche. L’energia si blocca in alcune parti del corpo che diventano sede di tensioni e conflitti emotivi. Con il tempo la corazza si rivela un impedimento al raggiungimento della propria identità e di una vera creatività, perché lo stato cronico di contrazione muscolare aumenta l’indurimento del carattere, riducendo la comunicabilità, l’amore e la percezione del piacere di vivere. Questa corazza si accentua di anno in anno per le tensioni che si accumulano, e non è certo facile riuscire a liberarsene, anzi, qualcuno non sia accorge nemmeno di averla. Essa limita l’emotività e la libera espressione dei sentimenti e impedisce il libero scorrere dell’energia vitale.

Ascoltare, in questo caso, significa saper riconoscere la nostra corazza caratteriale e muscolare, riconoscere quella altrui, e fare delicati passaggi per permettere alle anime più vere di esprimersi, alle identità più vere di manifestarsi oltre le difese della corazza.

Entrare in contatto tra esseri umani oltre le resistenze delle corazze, ascoltare in profondità, parlare dal profondo del sè, significa passare da comunicazioni irrigidite a comunicazioni più autentiche.

Significa passare dalle parole bloccate verso le parole libere e più vere connesse ai sentimenti più veri. Questo è un passaggio fondamentale non solo per l’individuo ma per tutto il genere umano.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Se desideriamo ascoltare bene, prima bisogna imparare a rilassarsi, centrarsi, calmarsi.

Quando pratichiamo ascolto, a qualsiasi livello, la nostra mente sta lavorando. I nostri neuroni e le nostre circuiterie mentali lavorano ad un certo livello di Hertz, così come un’apparecchiatura elettronica, e dobbiamo diventare tanto bravi dal saper cogliere a che livello sta viaggiando la nostra mente, e la mente altrui.

In termini generali, un ascolto attivo ha più probabilità quando riusciamo a praticarlo essendo rilassati, con frequenze cerebrali medio-basse.

E, per fugare ogni dubbio, affermiamo che l’ascolto attivo è uno stato di coscienza, non solo un insieme di tecniche, ma un preciso stato di coscienza dove la vigilanza è alta ma la rilassatezza di fondo permette di cogliere segnali che uno stato di tensione farebbero svanire dal campo della percezione.

La rilassatezza serve anche per ascoltare situazioni e temi delicati, emotivamente duri o difficili, e rimanere sereni internamente e ben “centrati”.

Roland Fischer ha realizzato ricerche fondamentali sugli stati di coscienza “normali” e alterati. Questi studi pionieristici pubblicati su Science, la più prestigiosa rivista scientifica mondiale, offrono una possibilità per leggere finalmente in modo grafico dove si collochino gli stati di coscienza.

Le neuroscienze hanno da allora fatto passi in avanti enormi, ma questa mappa specifica è ancora di enorme utilità per avvicinarsi all’argomento per fini pratici e formativi.

Questi studi sono fondamentali per capire l’ascolto in profondità, l’ascolto superficiale, il non-ascolto, e in quale zona della mappa sia possibile ascoltare nel modo più proficuo.

La Scala di Fisher, rappresenta il “numero di giri” del nostro motore mentale, ed evidenzia la posizione di una qualsiasi persona, nel continuum mentale tra agitazione e rilassamento, sino agli estremi: dalla meditazione profonda (sulla destra) sino all’isteria (sulla sinistra), passando per stati più ordinari come la percezione quotidiana, l’ansia, la creatività e altri.

È uno strumento molto importante.

Ad ogni posizione lungo la scala corrisponde una precisa frequenza cerebrale, scientificamente misurabile.

In ciascuna di queste zone, la modalità di ascolto cambia,

  • Ascoltare “tutto a destra” significa un ascolto prettamente interiore, un ascolto interno rivolto a se stessi.
  • Ascoltare nella zona centro-destra significa un ascolto disponibile all’altro, un ascolto aperto, un ascolto permeabile, un ascolto rilassato che non invade.
  • Ascoltare sul centro-sinistra della mappa significa un ascolto aggressivo, un ascolto che interrompe e dominato più dai propri pensieri che da altro.
  • Sull’estrema sinistra esiste il non-ascolto, l’aggressività, la non-presenza mentale, il totale sequestro emotivo in emozioni di rabbia in cui niente e nessuno può dire qualcosa senza che ci arrabbiamo o ci sentiamo in giudizio e in dovere di ribattere, o introiettiamo somatizzando e autodistruggendoci.

Fisher in questo lavoro pionieristico ci mette in guardia: siamo sempre più bombardati da informazioni, ma in taluni contesti, ulteriori incrementi si rischia la saturazione.

Negli esseri umani, un elevato input nel contenuto dei dati può non trovare corrispondenza nella velocità di elaborazione di questi dati.

In altre parole, quando le informazioni in ingresso ci bombardano, sono tante, talmente tante che la nostra capacità di elaborarle tutte progressivamente cala, rischiamo di scivolare verso gli stati schizofrenici.

Questo fenomeno era stato evidenziato negli anni ‘70, ed è da allora in crescente aumento con l’incremento dei canali interattivi e dei social media disponibili.

Dalla scala si evince che per la salute quotidiana, ogni brano significativo di vita trascorso in stato di “agitazione” o nervoso, dovrebbe essere accompagnato da uno stato di recupero, tranquillità e meditazione.

Se desideriamo ascoltare bene, prima bisogna imparare a rilassarsi, centrarsi, calmarsi.

Questo vale sempre, ma in alcuni casi questo diventa fondamentale, come momento di preparazione mentale (es, preparazione ad una gara o ad un esame,a un incontro professionale importante, un colloquio di coaching o di counseling o di terapia).

La scala di Fisher e i suoi tanti insegnamenti possibili stanno diventando un fattore di salute personale. Tutti dovremmo conoscerla, quantomeno per fare una mappatura quotidiana di come stiamo vivendo e riaggiustare il tiro sulle situazioni di vita che sviluppiamo, e sapere che per ascoltare bene bisogna saper trovare l’assetto mentale giusto per l’ascolto.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Assioma di credibilità

L’importanza della variabile “credibilità della fonte” nella persuasione è stata sottolineata già dai primi studi sulla materia, i quali avvalorano l’ipotesi seguente un’alta credibilità della fonte ha più effetto nel persuadere un’audience che una fonte a bassa credibilità (Hovland e Weiss; Hovland, Janis e Kelley).

L’ascolto attivo ha una forte componente persuasiva. Devo persuaderti che vale la pena raccontarmi le tue cose, le tue situazioni, dati, sentimenti, fatti accaduti, qualsiasi cosa sia oggetto del colloquio.

Allora, la verità comincerà a fluire e l’ascolto a funzionare.

Nel coaching, per quanto la fase di comunicare esprimendo dati sia inferiore al tempo passato nell’ascoltare, l’intero “apparato uomo”, l’intera persona come sistema, è una “fonte” che comunica qualcosa di sè, e come tale, soggetta ad esame di credibilità.

Il coach è una fonte di ascolto, una fonte di consigli, una fonte intesa anche come fonte di saggezza, un porto sicuro nel mare in tempesta. Se non fornisce questa immagine, diventa dissonante.

Se parliamo di ascolto, possiamo dire senza ombra di dubbio che – ove manchi credibilità spontanea – l’unico modo per ottenere informazioni sarebbe un interrogatorio. E questo non è certo quello che deve fare una persona che voglia praticare ascolto attivo.

Quello che ci interessa è invece riuscire a creare un ambiente collaborativo e facilitante per l’ascolto. La nostra parte in questo consiste nell’essere persone con una forte credibilità, dovuta a due specifici meccanismi evidenziati dalla psicologia sociale:

  1. Trustworthiness (o Trust): letteralmente “essere degni di fiducia”, essere persone attendibili;
  2. Expertise: essere visti come persone competenti ed esperte sul tema che trattiamo, o nel processo di coaching stesso.

Nel coaching e consulenza, la competenza ricercata è la capacità di analisi, e non tanto l’essere delle persone competenti nel campo merceologico di cui si occupa il cliente. Se ad esempio il cliente produce barche, ma noi siamo coach in azione per lavorare sulla leadership, deve emergere che sappiamo esperti in leadership, e non che siamo esperti di barche.

Lo stesso vale per il public speaking, dove il fatto di parlare in una banca, in una fabbrica, in un teatro, o in un campo di gioco, non cambia la sostanza forte delle questioni su cui lavorare.

Principio – Assioma di credibilità

  • L’efficacia della comunicazione è correlata alla credibilità reciproca dei soggetti che partecipano all’interazione
  • Le dimensioni principali della credibilità (1) competenza, expertise e (2) trustworthiness, fiducia, devono essere entrambi presenti.

La credibilità della fonte è definita da Johnson, Conklin e Pearce (1979) come una serie di percezioni provenienti da un ascoltatore riguardo la possibilità di essere creduto (believability) e accettato da questo, come interlocutore affidabile e quindi entrarvi in relazione.

Dimensioni della credibilità della fonte sono state investigate da vari autori, inclusi Hovland, Janis e Kelley (1953), Berlo, Lemert e Mertz (1969), McCroskey (1966), Tuppen (1974), Whitehead (1968), Markham (1968), e altri.

I primi contributi teorici identificarono alcuni fattori o dimensioni della credibilità tra i quali l’affidabilità (trustworthiness), la competenza (competence), ed il dinamismo (dynamism) (Johnson e altri, 1979).

Altri fattori presi in considerazione in diversi studi sono l’expertise (ovvero esperienza della fonte, competenza tecnica, dal tratto semantico similare al fattore “competence”), il “carattere”, e l’intento persuasivo (Petty & Cacioppo, 1981).

Comunque, come McCroskey e altri autori (1972) indicano, i ricercatori non dovrebbero aspettarsi esattamente la stessa dimensionalità della credibilità della fonte, dal momento che le dimensioni di valutazione possono variare a seconda di soggetti diversi, popolazioni e culture.

In altre parole, la dinamica di ascolto va adattata in funzione delle culture e delle persone.

Se facciamo ascolto attivo a livello internazionale, sappiamo che un CEO aziendale giapponese pretenderà cenni di rispetto e di cortesia estrema, e non pacche sulla spalla. Il contatto fisico sarà da evitare, almeno nelle prime fasi. Se siamo negli USA, sappiamo che avremo a che fare con una cultura molto diretta, che non apprezza i convenevoli, così come invece essi sono importanti nelle culture latine ed arabe.

Il fattore expertise (considerato come “competenza” tecnica o “qualificazione”) si riferisce alla conoscenza e preparazione tecnica della fonte riguardo i fatti presentati nel messaggio.

Il fattore Trustworthiness si riferisce alla percezione che la persona dica o meno la verità che conosce (oppure dia solo una versione parziale dei fatti), con lo scopo di manipolare le controparti a loro insaputa.

Queste due dimensioni possono essere combinate costruendo una matrice di analisi della credibilità per formare quattro diverse tipologie di percezioni della fonte.

  1. alta expertise- alta trustworthiness: la fonte più credibile, essendo percepita come competente e affidabile;
  2. alta expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile
  3. bassa expertise- alta trustworthiness: fonte inesperta
  4. bassa expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile e inesperta.

Principio 12 – Assioma di credibilità della fonte

La percezione di expertise (esperienza, competenza) e trustworthiness (affidabilità, serietà, fiducia, attendibilità) determinano la valutazione della credibilità di ogni soggetto nella relazione.

La comunicazione strategica deve utilizzare fonti alle quali il ricevente riconosca livelli adeguati di expertise e trustworthiness (relativa al tema oggetto della comunicazione). Essere introdotti da persone ad alta credibilità e note è un forte fattore di credibilità

Altre caratteristiche della fonte, come attrazione fisica, similarità, e potere, sono state trovate positivamente correlate all’efficienza (e efficacia) della persuasione (Petty e Cacioppo). La credibilità della fonte non è l’unico fattore che influenza la persuasione, ma può essere considerato un fattore facilitante.

Il concetto di “fattore facilitante” o “fattore facilitativo” è impiegato da Fishbein e Ajzen per categorizzare la classe di variabili che influenzano positivamente la persuasione, come credibilità della fonte e expertise, stile comunicativo, e altre. Fattori facilitanti come attrattività della fonte e expertise sono considerati anche nel modello ELM di Petty e Cacioppo

L’intento di passare all’ascolto attivo e non essere quindi spettatori disinteressati ci porta al tema dell’intento di coaching e intento comunicativo e stile comunicativo che ne deriva.

Tutti si rivolgono a coach, esperti, Counselor, consulenti, per risolvere problemi, o aumentare le loro prestazioni. Il problema avviene quando il cliente pretende di sapere già quale sia la soluzione, e magari cerca una scorciatoia “rapida e indolore” per un obiettivo che richiede invece impegno e continuità.

Nel momento in cui il professionista accondiscende ad offrire soluzioni che possano portare si alla performance desiderata, ma con grave danno per la persona stessa, l’etica deve far dire no.

Nel coaching sportivo, è molto meglio per un coach allenare le persone a lavorare e cercare il loro pieno potenziale, osservarle come “sistemi, piuttosto che vincere una gara con se stessi o agonistica, e rompersi articolazioni o morire di infarto.

Nel business coaching, è molto meglio dire onestamente ad un cliente che servono più sessioni di lavoro e che saranno impegnative, piuttosto che vendere un percorso di coaching come qualcosa di “facile e zuccheroso”. Se immaginiamo una competenza come il public speaking, diventare un grande oratore può richiedere esercitazioni esperienziali forti, dove ci si mette in gioco, e si esce dalla zona di comfort.

Proporsi così è un elemento fondamentale di un Brand Positioning personale, o di un Personal Branding (marchio professionale comportamentale), dove sarà chiaro che ci si sta rivolgendo ad una persona competente e che non offre bugie.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online



© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

__________

Come si può dedurre in maniera limpida dal titolo, l’articolo di oggi sarà un’introduzione agli stati conversazionali, la cui attenta gestione mostra il grado di leadership conversazionale all’interno di uno scambio comunicativo tra due o più interlocutori.

L’Analisi della Conversazione è una vera e propria disciplina scientifica. Nota nel mondo anglosassone delle scienze della Comunicazione come Conversation Analysis (CA), si occupa proprio di esaminare questo fenomeno così quotidiano eppure così complicato.  

Ne abbiamo già parlato, tuttavia servono approfondimenti perché l’ascolto, senza un’analisi del meccanismo in cui è inserito (la conversazione) sarebbe ben poco affrontabile. 

Noteremo subito che l’ascolto è un momento speciale della conversazione, è l’interruzione di un noioso ping-pong dove uno cerca di parlare sull’altro o avere sempre l’ultima parola. È in altre parole, un disintossicante delle conversazioni

L’analisi della Conversazione ci invita innanzitutto a riconoscere il formato di conversazione in corso, il tipo di conversazione che sta accadendo all’interno di un gruppo o tra due persone, attraverso un’attenta lettura dei segnali verbali, paralinguistici e non verbali che scorrono tra le persone. 

Con un adeguato addestramento ed elevata sensibilità naturale, è possibile cogliere in poche battute quali siano gli “stati conversazionali” che predominano in una comunicazione. 

Per “stati conversazionali” intendiamo qui una sequenza di mosse comunicative riconducibile a dei prototipi, ad esempio: 

  1. la confessione, 
  2. la seduzione, 
  3. le stilettate reciproche (conflitto strisciante), 
  4. la “conversazione da spogliatoio”, 
  5. l’autocelebrazione, 
  6. la ricerca di aiuto, 
  7. l’auto vittimizzazione, 
  8. l’offerta di aiuto, 
  9. l’accusa, 
  10. l’analisi scientifica di un problema, 
  11. “proviamo a capire”, 
  12. lo “sparlare degli assenti”, 
  13. lo sfogo, 
  14. il “parlar di guai”, 
  15. il “sogno ad occhi aperti”, 
  16. il litigio, 
  17. l’interrogatorio, 
  18. il giocare assieme, 
  19. il “fare le fusa”, 
  20. il “parlare tra simili”. 

Le conversazioni si spostano continuamente da uno stato all’altro, e possiamo avere conversazioni che partono in termini di “confessione” per poi spostarsi in seduzione, scivolare in autocelebrazione, e poi ancora in accusa. 

Altri formati conversazionali, quali l’analisi scientifica di un problema, o il “parlare tra simili” (es.: confrontarsi tra “padri di famiglia”) possono far emergere differenze culturali, ma con meno margini di errore. 

Ogni conversazione (negoziale e non) procede comunque lungo un format finché un altro e diverso format non prende piede.  

Quando il format cambia, abbiamo un “Cambio di Footing”, un cambio di passo nella conversazione. Può andare verso un’accelerazione, dove i climi e gli scambi si fanno più serrati e rapidi, o verso un rilassamento dove si nota più spaziosità tra i turni di conversazione, più ascolto empatico, più disponibilità e meno fretta. 

Il ruolo della leadership conversazionale è esattamente quello di spostare i format e dirigerli ove sia più produttivo. 

Ciò che risulta utile, per l’ascolto, è la capacità di capire come la conversazione sta evolvendo lungo il tracciato, e l’abilità di spostare le linee entro spazi comunicativi il più possibile produttivi. 

Per concludere, possiamo dire che questi formati conversazionali possono essere considerati come il sale e il sapore della conversazione stessa. 

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

TAGS:

  • ascolto attivo
  • communication training 
  • comunicazione assertiva
  • comunicazione autentica
  • comunicazione costruttiva 
  • comunicazione efficace
  • comunicazione interculturale
  • comunicazione aziendale
  • comunicazione positiva
  • comunicazione diretta
  • differenze linguistico-culturali
  • differenze valoriali
  • Metodo ALM
  • Modello delle Quattro Distanze
  • marketing interculturale
  • marketing internazionale 
  • marketing e comunicazione strategica
  • strategic selling
  • distanza del self
  • distanza relazionale
  • distanza referenziale
  • distanza ideologico-valoriale
  • distanza dei codici comunicativi
  • empatia 
  • farsi capire
  • imparare a capirsi
  • negoziazione interculturale
  • ponte tra diversità 
  • rispetto della cultura altra
  • strumenti e metodi della negoziazione 
  • tecniche di ascolto attivo
  • potenziale umano
  • approccio consulenziale
  • capacità comunicative
  • evocare concetti e immagini
  • parole evocative
  • mondi semantici
  • mondi di significati
  • rete semantica
  • barriere semantiche
  • valutazioni sociali
  • valutazioni culturali
  • valenze culturali
  • valenze etiche
  • valenze sociali
  • capire cosa motiva le persone
  • scegliere con cura le parole
  • training attivo
  • raggiungere risultati
  • rompere le barriere dell’incomunicabilità
  • abilità comunicative
  • abilità conversazionali
  • adattamento interculturale
  • sistemi culturali
  • dialogo tra aziende
  • approcci culturalmente diversi
  • contesti culturalmente diversi
  • “Get-Ready” Mindset
  • tecniche di gestione della conversazione
  • know-how
  • leadership
  • negoziazioni strategiche
  • pensare da professionisti
  • comportarsi da professionisti
  • conoscere noi stessi
  • conoscere gli altri
  • attenzione strategica all’interlocutore
  • identificare informazioni di importanza critica
  • fonti informative
  • filtri valoriali
  • flusso comunicativo
  • presenza mentale
  • Leadership conversazionale
  • stati conversazionali
  • Analisi Conversazionale
  • ascolto come disintossicante delle conversazioni
  • cambio di footing

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Elementi che creano fiducia ed elementi che erodono la fiducia

Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei.

 (Niccolò Machiavelli)

Ogni messaggio, ogni presentazione, ogni momento d’interazione, ha un effetto di imprinting – fissa un’immagine verso chi ci sta osservando o ascoltando. Cambiare quell’immagine iniziale, poi, è difficile.

L’ascolto è una di quelle attività che vengono bene solo se come ascoltatori veniamo considerati degni di fiducia, onesti, competenti.

Basta solo che vi sia anche solo una vaga percezione che le nostre intenzioni siano nascoste o che stiamo mentendo, per ottenere un blocco immediato della conversazione o del rapporto.

Il mondo delle relazioni è un mondo di percezioni soggettive, ancora prima che di dati oggettivi. Esaminare cosa accade a livello di percezioni, nella comunicazione e nell’ascolto, è quindi ancora più fondamentale.

Può accadere che siamo di fatto persone degne di fiducia, ma qualcosa in ciò che diciamo o nel come lo diciamo comprometta questa immagine positiva. Vi sono invece emeriti truffatori in grado di dare una sensazione iniziale di grande professionalità e fiducia.

Dobbiamo quindi esaminare numerosi elementi in grado di generare fiducia o sfiducia tra cui:

  • lo stile di movimento (velocità del passo, camminata);
  • le posture e il body language;
  • le gestualità e l’espressività;
  • il modo di stringere la mano;
  • la mimica facciale;
  • l’abbigliamento e gli accessori personali e professionali
  • tono e timbro della voce, la parlata.

Chi di noi affiderebbe i suoi segreti più intimi a qualcuno di cui – per via di alcuni elementi del mix sopra notato – di pancia, non si fida? A qualcuno che si pensa, magari, dopo pochi minuti, metterà tutto quanto su internet o lo darà ad altri?

O a qualcuno di cui scopriamo che stia registrando a nostra insaputa? O a qualcuno di cui non sappiamo le vere intenzioni?

Tutti questi fenomeni sono centrali nella comunicazione, e ancora maggiormente nella fase di ascolto, in quanto se non riusciamo ad emergere come persone “sicuramente affidabili” e competenti, nessuno ci dirà niente.

In alcune professioni poi, dove l’ascolto è l’ingrediente essenziale, come nel coaching, ma anche nella leadership, larga parte del lavoro si svolge con e tramite colloqui. E i colloqui bisogna saperli gestire, sopratutto come ascoltatori eccellenti e attivi.

Questo vale anche e soprattutto nei colloqui di gruppo, dove la complessità delle maschere in gioco è alta. Ognuno gioca un suo ruolo, e la verità si nasconde la, da qualche parte, ma raramente viene fuori se non alla macchinetta del bar o in qualche colloquio confidenziale.

Chi ha partecipato ad una riunione di Direzione o a un Consiglio di Amministrazione non potrà non averlo notato.

Tutte quelle persone avevano i volti incorniciati dal senso della loro importanza. Giocavano al gioco dell’apparire e dell’ostentare e del sopraffare con la massima serietà. Chissà in quale momento della loro vita si erano dimenticati dei loro giochi di bambini.

 (Fabrizio Caramagna)

Il coaching, essendo in larga misura basato su tecniche di colloquio a tu per tu, one-to-one, ha grande bisogno di costruire modalità di colloquio in cui si generi apertura sincera, e fuoriescano le informazioni che servono per gestire il caso e trattarlo.

La creazione dell’immagine e della credibilità, o la sua distruzione, non avvengono “di colpo” o per effetto di singole evenienze (se non estremamente forti), ma si compongono per sommatoria di:

  • micro-osservazione;
  • analisi di incongruenze e dissonanza;
  • rilevazione di segnali deboli.

Come ho evidenziato in Psicologia di marketing e comunicazione:

“Le informazioni che possono essere colte nella visita di un’azienda, nello scrutare una persona o un prodotto, si categorizzano in due classi importanti, i segnali generatori di fiducia (trust signals) e i segnali generatori di sfiducia (distrust signals)”.

  • Trust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano fiducia e rassicurazione.
  • Distrust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano preoccupazione o sfiducia.

Il percorso valutativo della nostra persona, di noi come interlocutori affidabili o meno, è costellato, in altre parole, dal ricevimento di tanti segnali e di tante informazioni.

Se questi segnali e informazioni sono positive e congruenti tra loro, nasce fiducia, se sono negative oppure emergono incongruenze e dissonanze, la fiducia cala.

Lo stesso vale quando esaminiamo chi parla con noi.

I trust signals svolgono il ruolo di elementi di rafforzamento della fiducia e dell’immagine. I distrust signals sono invece elementi di detrazione, negativi rispetto alla formazione della fiducia.

Se immaginiamo ciò che osserva un cliente all’interno di un’azienda, elementi magari casuali, quali un ordinativo di un’azienda importante, dal marchio prestigioso, collocato su una scrivania possono costituire trust-signals, mentre una lettera di reclamo da parte di un consumatore, o la ruggine sul cancello d’ingresso, o la scortesia del persona, costituiscono distrust-signals. Lo stesso vale per i commenti postati dai clienti su siti appositi di valutazione d’aziende e di prodotti.

L’azienda e il professionista orientati alla crescita devono analizzare attentamente quali elementi della propria comunicazione stiano funzionando da trust signals e quali da distrust signals.

Devono esaminare accuratamente ogni elemento di contatto con il cliente (gli elementi denominati Above The Line– cioè oltre la linea di visibilità) e queli Below the Line (al di sotto della soglia di visibilità) e fare un piano accurato per gli elementi Above The Line.

Devono mettersi con gli occhi del pubblico e del cliente ed esaminare quanto da loro trasuda, (vetrine, prodotti, cataloghi, siti web, immagine personale, ecc.) attraverso apposite griglie valutative (griglie di analisi dell’immagine visuale e griglie di emersione dei segnali negativi aziendali)

La “persona” che vuole lavorare sul proprio “Personal Branding” o immagine personale, dovrà curare altrettanto il tipo di abbigliamento (casual o rigoroso, a propria scelta, purché sia ragionata e coerente), i capelli, le unghie, come e dove è collocato il suo ufficio, cosa ha sui tavoli.

L’aspetto esteriore è un meraviglioso pervertitore della ragione.
(Marco Aurelio)

Dovrà osservare il proprio aspetto esteriore ma anche il sito web con gli occhi di un possibile cliente, persino i propri profili sui social media.

E non è sufficiente. Dovrebbe avere attenzione a farsi dare feedback da persone di propria fiducia o da supervisori (supervisors professionali) che devono occuparsi su sua richiesta di “guardarlo con occhio esterno” e offrirgli feedback, sia positivo che negativo, ove vi siano elementi che non vanno o hanno bisogno di ritocchi nella comunicazione.

Il sostegno di supervisione sulle tecniche di ascolto, vero e proprio, viene anche dall’indicare ad una persona che stiamo affiancando, che – ad esempio – tende ad interrompere troppo il cliente, o non fa dei “recap” (ricapitolazioni) durante il discorso per mettere un punto e poi proseguire.

O ancora, che le sue microespressioni facciali lasciano tradire un’incertezza o un giudizio quando questi non fossero voluti.

Un feedback onesto è sempre prezioso e non va considerato come un attacco.

La dinamica dei segnali di fiducia e di sfiducia coinvolge pienamente il professionista in ogni campo, il venditore, il consulente, i suoi comportamenti e atteggiamenti, i suoi messaggi e comunicazioni, la sua modalità di ascolto.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Le regole del colloquio e dell’intervista

L’incrocio tra le due rappresentazioni di sé crea un setting di interazione, un teatro di rappresentazioni, una serie di giochi attivi durante l’ascolto nel quale le due parti devono sapersi muovere.

Alcuni tipi di incrocio possono risultate efficaci. Ad esempio, l’incrocio tra consulente-medico e cliente-paziente è simmetrico. L’incrocio tra un cliente-nobile e un venditore problem-solver non è di facile risoluzione, richiede un ri-bilanciamento del rapporto, una vera e propria negoziazione del rapporto tra le parti.

Interpretare l’autenticità significa invece uscire da questi giochi e stare su un piano di non-bisogno di dimostrazione, ed evitare lunghi e fastidiosi giochi di ruolo che rischiano solo di confondere la verità e togliere il palcoscenico all’empatia e all’ascolto attivo.

Un buon colloquio:

  • inquadra le “maschere” che gli attori stanno interpretando;
  • esamina e comprende i “giochi di relazione” che si stanno avviando;
  • rispetta le regole di cortesia, deferenza e contegno, ad esempio nei turni di conversazione, nel rispetto dei ruoli e dell’etichetta, e sul colloquio professionale, nel rispetto della cultura dell’azienda, della nazione e del cliente presso il quale avviene;
  • è consapevole della presenza di spazi psicologici e confini dei territori psicologici, dei rischi di un’invasione prematura e aggressiva dei territori altrui, e della necessità di entrarvi gradualmente e con tatto;
  • rispetta una sequenzialità di confini della conversazione all’interno del colloquio stesso, cercando di seguire uno schema conversazionale adeguato;
  • fissa soglie precise di “tolleranza per l’ambiguità” all’interno del range negoziale fissato e della mission conversazionale in corso: questo significa capire esattamente dove e quando chi ascolta può o meno permettersi di far emergere le eventuali dissonanze e ambiguità che sente nel cliente, le incertezze e imprecisioni che rendono difficile il compito consulenziale;
  • fissa precise soglie di tolleranza per le invasioni di ruolo, definendo strategicamente i tempi e i momenti nei quali una persona sente di dover precisare e riposizionare il suo ruolo, il suo modo di agire;
  • separa con chiarezza mentale le varie fasi del colloquio, distinguendone, almeno, i tre livelli primari di seguito esposti.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.

Luigi Pirandello

Riconoscere gli archetipi che le persone interpretano

Ogni persona produce consciamente o inconsciamente una “rappresentazione di sé”.

In senso Goffmaniano (da Irving Goffman, pioniere della micro-sociologia della vita quotidiana) si è iniziato a studiare il fenomeno per cui ogni persona durante un’interazione cerca di proiettare l’immagine di un personaggio, ed espone una “faccia” pubblica, coerente con gli obiettivi che si pone. A volte la rappresentazione di sé è sfumata, in altri casi invece stereotipata e prototipica, es.:

  • il “condottiero”;
  • il “tecnico”;
  • il “supermanager”;
  • il “politico”;
  • il “malato” o “paziente”;
  • il “nobile”;
  • la “vittima”;
  • quello che “alla fine qui comando io”;
  • l’insider dei circoli che contano.

Ognuno di noi dentro di sè ha un’anima che si “agita” per essere qualcosa, per diventare qualcosa, per poter dire “io sono questo”. Gli archetipi si aggirano nell’ombra e spesso non siamo consapevoli di quali archetipi ci guidano. Pertanto, ogni comunicatore, deve prima di tutto fare i conti con se stesso, con chi veramente è.

“Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre degli altri.”

Carl Gustav Jung

Questo vale ovviamente anche per il conoscere le proprie bellezze, le proprie luci, le proprie aree che splendono e vogliono esprimersi.

Nella psicologia degli archetipi le persone vengono caratterizzate sulla base del loro bisogno primario. Sulla base dei diversi bisogni, si configurano specifici modi di essere, archetipi, modelli ispirativi, personaggi. L’archetipo è un’immagine mentale, una sorta di prototipo universale per i modi di essere, attraverso il quale l’individuo interpreta la realtà, percepisce e crea i propri bisogni.

Nel linguaggio degli archetipi, questi sono i tipi principali:

  • Ruler. La Guida, il leader. si nutre del bisogni di potere e autorità.
  • Creator. Il Creatore: si nutre del bisogno di novità e creatività.
  • Innocent. L’innocente: si nutre del bisogno di purezza, rinnovamento.
  • Sage: Il Saggio. Si nutre del bisogno di intelletto e curiosità.
  • Explorer. L’esploratore. Si nutre del bisogno di avventura ed esplorazione.
  • Magician. Il mago. Si nutre del bisogno di trasformazioni e sviluppo di sè.
  • Rebel. Il Ribelle. Si nutre del bisogno di sfida all’autorità e alle convenzioni.
  • Hero. Eroe. Si nutre del bisogno di dimostrare coraggio, sfida e determinazione.
  • Lover. L’Amante si nutre del bisogno di attrazione e sensualità.
  • Jester. Il Folle. Si nutre del bisogno di divertimento e spontaneità.
  • Regular guy/gal: Il Ragazzo/a per bene, a volte individuato anche come l’Orfano. Si nutre del bisogno di dimostrare affidabilità e lealtà.
  • Caregiver. L’Aiutante, si nutre del portare cura, sollievo, aiuto.

Ascoltare in modo attivo significa anche ascoltare che tipo di personaggio l’interlocutore stia presentando di sè al palcoscenico della vita. E se quel personaggio gli stia stretto come un vestito di parecchie taglie inferiori, o gli stia bene come un vestito su misura.

È più facile recitare e esibirsi che essere coerenti,

 più facile eccitare e distrarre che far pensare,

 più facile impressionare che convincere.

 (Enzo Bianchi)

Dietro alla maschera portata si celano realtà personali, psicologiche ed esistenziali molto diverse da quello che il soggetto tenta di far apparire.

Un ascoltatore attivo deve essere sensibile a quale rappresentazione di sé la controparte produce e utilizzare queste informazioni per i suoi scopi, che siano il counseling, la consulenza, la vendita o per il progetto cui lavoriamo.

La rappresentazione di sé dell’ascoltatore

Anche chi ascolta, che si tratti di un terapeuta, formatore, venditore o consulente. produce consciamente o inconsciamente una “rappresentazione di sé”.

Costruire attivamente un’immagine significa attuare precise strategie di “image building”, che non devono essere lasciate al caso. Anche per l’ascoltatore, la rappresentazione di sé può essere sfumata, oppure a volte molto evidente, es.:

  • il “problem-solver”;
  • il “tecnico”;
  • il “medico”;
  • lo “scienziato”;
  • il “supermanager”;
  • il “politico”;
  • l’“accusatore”;
  • il “paladino della causa…”;
  • lo “psicanalista”;
  • il “prezioso”;
  • il “bisognoso”.

L’essenza di chi pratica ascolto attivo deve essere quella dell’autenticità, unica forma che è in grado di facilitare veramente ascolto ed empatia.

Ci sono individui composti unicamente di facciata, come case non finite per mancanza di quattrini. Hanno l’ingresso degno d’un gran palazzo, ma le stanze interne paragonabili a squallide capanne.

 (Baltasar Gracián)


Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Dialogo Cooperativo (Cooperative Interaction)

Essere leader di una famiglia significa riuscire nel ruolo di “guida” della famiglia stessa, e questo si esprime nelle conversazioni di gruppo ed individuali con i familiari.

Ascoltare mariti, mogli, figli, parenti, è compito arduo, e ascoltare attivamente ed empaticamente, dimenticando i rancori, ancora di più.

Essere leader di un reparto di produzione significa assumere il ruolo di punto di riferimento per tutti i tecnici, riuscendo a gestire conflitti, riunioni, processi formativi e motivazionali.

Essere leader di una forza di vendita significa assumere il ruolo di mentore, supervisore e coordinatore di risorse e delle strategie (buon padre di famiglia, in altri termini), preoccuparsi di far crescere le persone, e applicare il ruolo in ogni comunicazione con i propri collaboratori. Al di là di quale sia il gruppo di riferimento aziendale o sociale, la leadership deve essere considerata un modo di essere che investe trasversalmente un soggetto all’interno di un gruppo di individui.  L’assunzione del ruolo è evidente nella modalità di comunicazione adottata, centrata sull’ascolto, e la sua mancanza è altrettanto evidente. Come evidenzia Tonfoni, ciascun ruolo di carica di aspettative e di comportamenti di ruolo:

Secondo la Teoria dei Ruoli, una certa sequenza di azioni previste detta appunto “ruolo”, fa capo ai singoli attori che occupano determinate posizioni all’interno di uno o più gruppi, entro i quali esiste un equilibrio determinato dal fatto che ad ogni “status” vengano attribuite distinte funzioni.

Sulla base della dinamica del ruolo, ogni individuo deve corrispondere alle aspettative relative; il ruolo è quindi definibile come un modello di comportamento sociale appropriato in relazione alle aspettative e al modo effettivo in cui un individuo si comporta in una certa situazione.

Il mancato rispetto delle aspettative e dei comportamenti di ruolo è evidente proprio nella conversazione tra persone e nei gruppi in cui il soggetto non agisce come “individuo privato” ma come “interprete di un ruolo” (Direttore, padrone, schiavo, servitore, o qualsiasi altro ruolo di copione). La leadership richiede quindi attenzione alle dinamiche comunicative di ascolto in cui si manifestano:

  • attacchi al ruolo, da parte di membri del team;
  • assunzioni di ruolo improprie, da parte di membri del team o di altri soggetti;

I comportamenti comunicativi correlati sono quindi:

  • segnalazione della percezione dell’attacco al ruolo, da parte del leader;
  • esplicitazione dei fatti, far emergere che si è capito cosa sta accadendo.
  • difesa del ruolo;
  • negoziazione dei ruoli reciproci.

Cooperare significa prima di tutto portarsi attenzione reciproca. Cooperare fa bene all’anima, al corpo, allo spirito, alla salute.

Coloro che si sentono infelici, di null’altro al mondo hanno bisogno se non di qualcuno che presti loro attenzione.

 (Simone Weil)

Il dialogo cooperativo prevede una forte concentrazione di mosse positive, di apertura, un ricorso a SIM (sistemi motivazionali) di analisi e condivisione, e l’eliminazione di mosse agonistiche, di attacco al ruolo e all’identità altrui.

Il dialogo cooperativo si compone principalmente di questi elementi:

  • praticare un ascolto attivo, evitando l’interruzione reciproca;
  • spostamenti strategici tra macro-finalità dei progetti e dettagli, con preferenza per le macro-finalità e la ricerca di una mission condivisa: ricerca del common ground, o base comune di interessi; considerare le divergenze sui dettagli come passeggere, recuperabili e andare alla ricerca di una visione comune e di ciò che condividiamo;
  • ricerca di un approccio win-win;
  • atteggiamenti di apertura evitando il giudizio altrui (sospensione del giudizio sino alla comprensione completa).
active listening and empathy

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online


© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

La leadership nell’ascolto

Il ruolo dell’ascoltatore richiede una forte attenzione ai giochi comunicativi in corso, con la consapevolezza che nelle organizzazioni e nella negoziazione i messaggi non sono prodotti per fini poetici ma soprattutto per gestire il potere. Anche nel dialogo interpersonale, l’ascolto è una forma di potere. Chi ha il potere di fare domande, ha più potere di chi risponde.

Vi sono pochi dubbi sul fatto che la comunicazione abbia a che fare con il potere, forse solo nei bambini piccoli possiamo trovare quella spontaneità pulita di chi comunica senza un fine. Per tutto il resto, la comunicazione ha anche a che fare con la ricerca di potere,

Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini

 Dante Alighieri

Come evidenzia Tonfoni, il gioco della comunicazione può assomigliare ad un gioco di scacchi o qualsiasi altro meccanismo competitivo:

Considerare invece il modello comunicativo all’interno della Teoria dei Giochi richiede l’esplicitazione previa del modello medesimo, come pure degli obiettivi.

Gli attori, all’interno della teoria, in quanto “giocatori” appunto, progettano e realizzano sequenze di azioni dirette al conseguimento di un fine prestabilito.

Tale fine è costituito dall’utile, essendo la teoria orientata al comportamento di natura prevalentemente economica.

Gli “attori” sono anche “comunicanti verbali”; in quanto tali, le loro azioni devono essere rivolte essenzialmente ad una previsione il più possibile esatta di sequenze di azioni e ad una determinazione esplicita delle cosiddette “regole del gioco”.

Gli attori operano attraverso la realizzazione di strategie opportune, volte al conseguimento del fine o alla opposizione nei confronti di controstrategie attivate dagli interlocutori, ovvero dagli altri individui che prendono parte al gioco comunicativo[1].

La leadership nell’ascolto comprende la capacità di:

  1. realizzare specifiche offerte di tema: buttare sul tavolo della conversazione argomenti voluti, non casuali, per vedere quale sia la reazione degli interlocutori; osservare se raccolgono il tema o lo lasciano andare, e notare le mosse dell’interlocutore (ignorare il tema, sminuire il tema, aggrapparsi al tema, valorizzarlo, ignorarlo);
  2. gestire il formato conversazionale: quale clima predomina durante la relazione? Siamo di fronte ad formato di “interrogatorio”, di “ricerca di una soluzione”, di “confessione reciproca”, o cos’altro? Vediamo un esempio in campo aziendale. Se durante una negoziazione di vendita il venditore si accorge che il buyer sta adottando il formato “interrogatorio”, la leadership conversazionale prevede di farlo notare e cambiare i toni, con frasi del tipo “questa conversazione assomiglia più ad un interrogatorio che ad una ricerca di soluzioni, noi vorremmo provare a dare al nostro incontro un taglio diverso, forse più produttivo. Mi chiedevo cosa lei pensa rispetto a XYZ?”. In questo modo, notate una fase meta-comunicativa (riflettiamo sul fatto che così non va bene) e una fase di role-shifting, passaggio di ruolo da parlante a ascoltatore (chi fa le domande),
  3. ribilanciare i rapporti di potere: nelle famiglie si parte spesso dal principio che i genitori debbano avere più potere dei figli, creando così grandi danni. In azienda, nella leadership accade altrettanto. Nella vendita soprattutto, si assiste ad un “non detto” nel quale chi acquista detiene il potere della negoziazione. Questo potere viene esercitato tramite atteggiamenti tipici di chi detiene il potere: controllo sui contenuti, decidere chi parla, di cosa si parla, e come si parla. A volte questo sfocia nell’arroganza immotivata. Grave segno di ignoranza. La leadership conversazionale prevede la capacità di riformulare i giochi, ribilanciare gli atteggiamenti, riportare i due soggetti sullo stesso piano, per non essere schiacciati. Fare domande è la leva più forte in questo senso.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online